Quando Game of Thrones uscì nell’aprile del 2011 ricordo bene la mia eccitazione: erano passati quasi cinque anni da quando avevo iniziato a leggere la saga di George R. R. Martin (che tra l’altro aveva da poco annunciato l’uscita del nuovo libro per quel luglio, bei tempi) e me ne ero appassionato come poche altre cose; tuttavia, le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco erano incredibilmente sconosciute tra le persone che frequentavo, persino tra quelle più interessate al fantasy.
Insomma, era uno di quei casi in cui avevo dentro di me questa grande passione, ma non avevo quasi nessuno con cui condividerla. Se c’era una cosa che però poteva cambiare questa situazione, e che effettivamente l’ha fatto, era l’adattamento a medium più fruibili di cinque libri (dodici nella discutibile versione italiana) come appunto una serie TV, che nel 2011 stavano iniziando a spopolare sempre più.
Di certo non mi aspettavo l’incredibile successo che una storia con quest’ambientazione e queste tematiche ha avuto, ma d’altronde nemmeno mi dispiaceva: i costi della produzione erano elevatissimi e solo un grande successo di pubblico avrebbe potuto mantenere in vita la serie, senza contare che, nella mia tenera illusione, pensavo che il puntare i riflettori sulla sua storia avrebbe spinto Martin a scrivere più rapidamente i rimanenti libri.
Ad ogni modo, le prime dieci puntate erano uscite e ne ero pienamente soddisfatto. Casting, costumi, scenografie, musiche: tutto era eccellente. Mi sorgeva solo un dubbio legato al fatto che la gran quantità di nomi e riferimenti potesse confondere chi si approcciava per la prima volta al mondo di Martin. Ad ogni modo, trovavo fosse un buon adattamento.
Questa prima impressione si andò deteriorando negli anni successivi, finché, giunti alla quarta serie, mi resi conto di che obbrobrio incoerente ed insensato stava diventando la storia della serie TV.
So cosa state pensando: “sei uno di quelli che ha letto i libri e la serie non è uguale e quindi ti lamenti!” “Vuoi solo vantarti del fatto che hai letto i libri prima che diventassero famosi!” “Stai rosicando che la serie ha passato i libri!” Consentitemi quindi di divagare un attimo e parlare degli adattamenti più in generale.
Adattare libri e fumetti in film, serie TV o cartoni non è un compito semplice ed in alcuni casi riportare perfettamente l’opera originale è impossibile, soprattutto quando l’opera originale è un libro di più di mille pagine (oltre alle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco basti pensare a Il Signore degli Anelli). I cambiamenti sono quindi naturali e da me ben accetti, anche se dovessero essere profondi, come ad esempio in Watchmen.
Quello che però Game of Thrones fa di continuo è snaturare l’opera originale (sì, nonostante Martin stesso collabori con gli autori): al cuore delle Cronache, più che la storia in sé, che procede lentamente e spesso sottotraccia, vi sono i personaggi. Questo è dovuto prevalentemente alla scelta di Martin di utilizzare una narrazione interamente fondata sulla prospettiva individuale.
Qual è la conseguenza di ciò? Che non esiste una visione precisa e perfetta, tipo narratore manzoniano, e nemmeno una prospettiva univoca su ciò che accade: ci sono sempre nuovi dettagli da scoprire, ragioni per cui qualcuno fa qualcosa e non qualcos’altro. Non ci sono i cattivi che sono cattivi perché sono cattivi e i buoni che sono buoni perché sono buoni.
Tutto ciò è chiaramente molto difficile da rappresentare in una serie TV, dove non possiamo vedere i pensieri dei personaggi che elucubrano sulle loro ragioni o dilungarci sui loro ricordi. Tuttavia, questo significa che gli autori dovevano fare uno sforzo ancora più grande nel cercare di mantenere coerenti i personaggi come ci venivano presentati, giustificando i loro cambiamenti, le loro scelte e le loro motivazioni.
Con il passare delle serie e con il progressivo distaccarsi dell’opera di Benioff e Weiss da quella di Martin, però, questa coerenza viene sempre meno. Vediamo sempre più personaggi comportarsi in maniere inspiegabili per quanto si era visto fino ad ora, spesso senza una vera giustificazione. Personalmente ho una spiegazione per ciò, ma ci tornerò dopo.
È invece ora di parlare di come queste incoerenze non influenzino il successo di Game of Thrones. Com’è possibile che uno scenario come quello che ho descritto non schifi i più? Ebbene, il motivo a mio parere è nel modo in cui la maggior parte della gente segue le serie TV, soprattutto quelle come GoT, con poche puntate e grandi distanze temporali tra una stagione e l’altra.
Io ho l’enorme difetto di essere una persona esageratamente avvinghiata ai dettagli, che cerca di metabolizzare tutto il possibile da quanto vede. Per fortuna dell’umanità e di HBO, il resto del mondo non è così: ho avuto modo di sperimentare quanto anche molti fan accaniti della serie (ma non lettori dei libri) non si ricordassero di moltissimi eventi avvenuti nelle prime stagioni, quando veniva ancora seguito più o meno fedelmente quanto scritto da Martin, e che poi vengono completamente sovvertiti nelle stagioni successive.
In altre parole, personaggi ed eventi vengono snaturati e riadattati con il passare delle puntate non rispetto ai libri, ma rispetto a quanto la stessa serie ci aveva fatto vedere. È questo il “crimine” più grande degli autori: sono partiti con un’intenzione (ripercorrere la storia dei libri, ma con i dovuti adattamenti) per poi deviare totalmente, affidandosi alla smemoratezza degli spettatori.
Avessero fatto questa scelta dall’inizio, non avrei trovato niente da ridire, fintanto che la loro versione si fosse mantenuta coerente con sé stessa, un po’ come avviene nel film di V for Vendetta.
Ma perché questa scelta? Ebbene, come detto in precedenza, Game of Thrones ha avuto un successo incredibile e le ragioni sono fondamentalmente rintracciabili in quelli che sono due elementi di attrazione da sempre: il sesso e la violenza. Tralasciando il primo, il motivo per cui la “violenza” in GoT tira così tanto non è tanto perché c’è di per sé (d’altronde c’è in milioni di serie TV e film), quanto per il fatto che i bersagli di questa violenza siano i personaggi principali, senza deus ex machina pronti a salvarli all’ultimo. Tutti ricordano lo stupore al momento della morte di Eddard Stark: quello che sembrava il protagonista della storia, interpretato da un attore di prima punta, non poteva certo morire così, senza nemmeno arrivare alla fine della prima stagione?
Questo shock, dovuto al fatto che per una volta si vedeva come nessuno fosse mai veramente al sicuro, è stato senza dubbio uno dei motivi per cui GoT ha riscosso così tanto successo (ed uno dei motivi che rende così avvincenti le storie di Martin d’altronde).
Il problema è che ad HBO se ne sono accorti ed hanno quindi deciso di fondare molta della trama esclusivamente su questo principio: c’era bisogno di accoppare quanti più personaggi importanti possibile il più spesso possibile, al diavolo la coerenza narrativa, chissenefrega di mantenere dei personaggi fedeli a sé stessi. L’importante è lo shock emotivo di vedere personaggi principali morire in modo cruento.
A questo si può aggiungere il fatto che le serie TV hanno limitazioni intrinseche, dovute ai costi di produzione, alla durata delle puntate, ai contratti degli attori e così via. Il risultato è arrivare ad aberrazioni come la parte di Dorne, dove, pur di risparmiare un’ambientazione (con tutti i costi connessi) e di mettere una scena violenta già nelle prime puntate, gli autori decidono di cancellare totalmente un concetto che è alla base di tutta la storia (l’importanza della discendenza legittima rispetto alla discendenza di sangue).
Quando iniziò il tutto nel 2011 ero contento e pieno di aspettative. Speravo che tutti potessero scoprire questa gemma che sono i libri di Martin. Oggi Game of Thrones è una delle serie più famose al mondo, quando provo ad usare nickname come “Jon Snow” o “Jaime Lannister” su forum e videogiochi, come avevo fatto per anni, li trovo invece sempre occupati.
Tuttavia, il prodotto che è diventato celebre ed ha il focus dell’attenzione di tutti è ben lontano dalla qualità originale, è cresciuto in una versione corrotta e deviata, più adatta a meme e video-reaction che come rappresentazione di un mondo fantasy crudelmente realistico. Il messaggio di Martin, di come status quo, odio e violenza siano il vero male del mondo, di come in fondo sia tutto una questione di prospettive, è smarrito. L’unica cosa che conta: “chissà chi morirà per primo in questa serie”.
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