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Long Story Short – La Storia di una famiglia qualunque

Long Story Short

Introduzione

BoJack Horseman è stato un grandissimo successo Netflix e nel corso delle sue sei stagioni ha appassionato il pubblico con il suo umorismo folle, che ancora oggi viene citato, e il dramma interiore dei suoi personaggi. Pertanto, ha lasciato un grosso vuoto quando si è conclusa.

Ad agosto è approdata su Netflix Long Story Short, una nuova serie animata per adulti realizzata dallo stesso autore di BoJack Horseman e speravo che avrebbe colmato quel vuoto. Volevo a tutti i costi un perfetto sostituto, ma solo smettendo di cercarlo sono riuscita ad apprezzare questa serie e a comprenderne la sua bellezza.

Recensione

Dopo aver visto lo sfarzo di Hollywoo (per chi si ricorda la D era caduta) e una popolazione composta da umani e animali antropomorfi, ci si aspetterebbe da Raphael Bob-Waksberg (il papà di BoJack), qualcosa di altrettanto fuori di testa e inusuale, ma non è così. Long Story Short si concentra sulla banalità della quotidianità familiare, nello specifico quella di una famiglia ebrea che vive negli Stati Uniti.

Può una semplice famiglia competere con un’ex star televisiva piena di problemi e dipendenze? No. Tuttavia, solo smettendo di restare ancorati al passato si può davvero apprezzare questa serie e appassionarsi alla storia della famiglia Schwooper.

Nel corso di 10 puntate da circa 20 minuti veniamo catapultati in momenti importanti nella vita dei diversi membri della famiglia, in particolare quelli che riguardano i tre figli: Avi, Shira e Yoshi.

Long Story Short

I viaggi in auto sono spesso stressanti sia per i genitori che per i figli e la famiglia Schwooper non è da meno.

La narrazione

La narrazione non segue un ordine cronologico; vediamo i tre fratelli durante diverse fasi della loro vita e anche se non in modo lineare assistiamo alla loro crescita e a come affrontano le varie sfide dell’età adulta, il tutto incorniciato dalla cultura e religione ebraica.

Narrativamente parlando, Long Story Short non risulta sicuramente innovativa, dal momento che sono numerose le serie animate e le sit-com incentrate sulle famiglie, ma riesce comunque a distinguersi grazie al suo umorismo, per certi versi simile a quello di BoJack, e soprattutto alla caratterizzazione dei personaggi.

Nelle sit-com troviamo spesso dei ruoli fissi, per esempio le madri severe, i padri invece più permissivi e magari un figlio un po’ problematico. Anche in Long Story Short troviamo questi tropi narrativi, tuttavia quella che ci viene mostrata non è una semplice stereotipizzazione, bensì troviamo persone con cui è facile immedesimarsi ed empatizzare.

Nel primo episodio, incentrato sulla festa di Bar mitzvah di Yoshi, per esempio, lo spettatore si può immedesimare facilmente in Jen, la fidanzata di Avi, che fa la conoscenza della famiglia Schwooper in un momento piuttosto delicato e il disagio che prova sentendosi fuori posto e forse di troppo è sicuramente qualcosa che almeno una volta anche noi abbiamo provato.

Long Story Short

Scena tratta dal primo episodio dove riusciamo a percepire tutto il disagio che sta provando Jen.

I temi trattati sono maturi ed è facile rispecchiarsi nella vita di questa famiglia. Dopotutto, tutti noi siamo figli e conosciamo bene la difficoltà di dialogare con i propri genitori ma, osservando le famiglie create dai tre fratelli, tra cui quella omogenitoriale di Shira e sua moglie Kendra, comprendiamo anche la difficoltà di essere genitori.

Sebbene la serie si concentri principalmente sulle gioie e i dolori di questa famiglia qualunque, attraverso la quotidianità riesce a raccontare anche l’attualità e come in BoJack Horseman non manca la satira che evidenzia le assurdità della società moderna.

L’animazione

Lo stile dei disegni è lo stesso di BoJack Horseman, quindi non rimarrete delusi dal character design dei vari personaggi che compaiono nella serie. Tuttavia, si percepisce un minore interesse nella cura dei dettagli nella realizzazione degli sfondi, come se si volesse concentrare l’attenzione dello spettatore solo sui componenti della famiglia e sugli eventi importanti.

Non ho trovato alcuna conferma a questa mia teoria, ma mi piace pensare che, trattandosi di ricordi del passato, sia normale che non siano perfettamente nitidi. In alternativa, è molto più probabile che tale scelta stilistica sia stata dettata dal budget o dai tempi stretti di consegna.

Long Story Short

Anche se li vediamo crescere e diventare adulti, certe dinamiche tra fratelli non cambiano e la macchina rimane uno scenario perfetto per i litigi.

La serie si trova doppiata in italiano e l’adattamento non ne stravolge particolarmente l’umorismo (e soprattutto non trasforma una famiglia ebrea in italoamericana come nel caso della sit-com La Tata), quindi se non amate leggere i sottotitoli è consigliatissima anche con le voci italiane, che ho trovato abbastanza affini ai personaggi.

Conclusione

Long Story Short non si pone come sostituto di BoJack Horseman come inizialmente speravo, ma proprio come un figlio, nonostante la somiglianza di alcuni “tratti somatici”, prende la sua strada e si crea la sua identità come serie comedy.

Long Story Short è un’ottima serie animata capace di coinvolgere lo spettatore grazie alla naturalezza con cui racconta una semplice famiglia con cui pian piano si rivivono momenti importanti e lo si fa a volte ridendo e altre volte commuovendosi, finendo per sentirsi un po’ uno Schwooper.

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Nerdando in breve

Long Story Short è una serie animata realizzata dallo stesso creatore di BoJack Horseman, ma sebbene ci siano alcune similitudini, riesce perfettamente a crearsi una sua identità divertendo e commuovendo il pubblico con le vicende di una normale famiglia ebrea.

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