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Into the Dead: Our Darkest Days – Sopravvivenza e zombie

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Quante vibes anni ’80

Era dal 30 maggio 2024 che non scrivevo qualcosa a tema zombie. Ringrazio PikPok per avermi spedito una copia di Into the Dead: Our Darkest Days e avermi fatto interrompere questa ingloriosa streak.

Recensione

Quello che mi ha colpito del trailer di Into the Dead: Our Darkest Days, sviluppato da PikPok ed edito dagli stessi con l’ausilio di Boltray Games, è stata – almeno a prima vista – una somiglianza con un indie a cui ho giocato solo un paio d’ore perché fu un vero e proprio colpo allo stomaco: This War of Mine. I sentimenti provati durante il mio test sono stati simili a quelli percepiti con il titolo di 11 bit studios ma, fortunatamente, stavolta sono riuscito ad andare avanti; d’altronde, avevo un articolo da scrivere e dei contenuti social da produrre: succede sempre così, quando qualcosa mi piace.

La serie di Into the Dead inizia nel 2012 con il titolo omonimo uscito per mobile e Windows, prosegue con l’fps Into The Dead 2 del 2017, uscito per il mercato mobile e Nintendo Switch, fino ad arrivare a Into the Dead: Our Darkest Days. I primi due capitoli hanno avuto un totale di 150 milioni di download, una cifra considerevole ma è con questo nuovo gioco, più maturo e strutturato, che PikPok prova a fare il salto di qualità.

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Prepariamo le prossime mosse dei sopravvissuti

Gameplay e comparto tecnico

La trama di Into the Dead: Our Darkest Days non è così innovativa ma funziona. Ci troviamo in Texas, nel 1980; Walton City è una tranquilla cittadina costiera che sta vivendo una crisi economica a cui si è anche aggiunta una torrida ondata di calore. Come se non bastasse, viene invasa da un’orda di non morti che lascia intrappolati i pochi sopravvissuti: con le forze politiche e di polizia che sono scappate, abbandonandoli, l’unica salvezza è la fuga dalla città.

Ed è qui che parte il gioco vero e proprio, con la scelta tra una delle varie coppie di sopravvissuti da interpretare e con cui iniziare la run: i rapporti differiscono e sono più o meno forti, dato che si spazia da un professore e il suo allievo, a un dottore e il paziente e a degli innamorati. Una volta effettuata la selezione, veniamo immediatamente catapultati all’interno di un rifugio, con le porte e le finestre barricate e gli zombie che cercano di entrare.

Un breve tutorial ci fornisce le informazioni di cui necessitiamo. Ogni giornata è scandita da due parti, il giorno e la notte, che, a loro volta, sono suddivise in due ulteriori sottofasi; la prima è dedicata alla gestione delle risorse, utili per proteggere il rifugio costantemente sotto attacco dei non morti, far mangiare, bere, curare, far svagare i sopravvissuti e per pianificare le azioni di ciascun personaggio che saranno eseguite nel passo successivo. Una mappa indicherà i luoghi di interesse da visitare (come, per esempio, pompe di benzina o negozi), utili per raccattare risorse, indizi su come scappare da Walton City o per trovare altre persone. Il raggio per effettuare queste ricerche non è ampio e così, qualora scoprissimo nuovi posti più lontani, dovremo spostare il rifugio al fine di coprire una distanza maggiore.
Nella fase di esplorazione, occorre avere freddezza perché le armi a disposizione si rompono subito, affrontare uno scontro non resta (quasi) mai senza conseguenze fisiche o psicologiche e produce rumore che, come The Walking Dead e compagnia cantante ci hanno insegnato, non fa che portare guai. Guai che possono tradursi con la morte permanente del nostro personaggio: non ci sono seconde chance, una volta morti, lo si è per sempre. O almeno, fino alla prossima run.

In termini di risorse, Into the Dead: Our Darkest Days non è molto esoso e il comparto grafico fa la sua figura, dando un tocco sporco e anni ’80 al gioco e risultando, talune volte, un po’ legnoso, come mi è stato fatto notare in fase di test, durante una live su Twitch. Credo, però, che la – e lo metto tra virgolette – “legnosità” sia funzionale con il tipo di titolo a cui stiamo giocando: una maggiore fluidità nella corsa o nei movimenti toglierebbe quella sensazione di suspense necessaria in un survival.
Anche il comparto sonoro si attesta su buoni livelli, con i suoni ben riprodotti e una buona colonna sonora.
Certo, ogni tanto ci sono dei piccoli bug ma, essendo un early access, ci può stare.

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Me li ricordavo diversi, i frequentatori delle sale giochi

Impressioni

Se con This War of Mine non sono andato oltre le prime run a causa del tema trattato che ho ritenuto fin troppo realistico, Into the Dead: Our Darkest Days mi ha intrattenuto tanto e ho ancora voglia di giocare.

Certo, il tema degli zombie è a me molto caro, quindi non era così difficile coinvolgermi. Inoltre trasuda anni ’80 da tutti i pori, sia nei personaggi, che nel sonoro, che nel font delle scritte che appaiono a schermo tra un momento della giornata e l’altro: non potevo che rimanerne colpito. Dannata nostalgia, la devi smettere di avere questo ascendente sulla mia persona.

Ho visto in Into the Dead: Our Darkest Days un’occasione unica: vi consiglio di ruolare come fosse un gdr ogni protagonista, dopo averne letto la storia (che, in alcuni casi, è toccante), facendolo agire coerentemente con il proprio background per avere un’esperienza immersiva e profonda.

Into the Dead: Our Darkest Days, come scrivevo nel precedente paragrafo, vive di due momenti fondamentali: quello più calmo in cui pianificare le mosse, gestire le risorse e i sopravvissuti, sia dal lato fisico che da quello psicologico, in cui si dovranno compiere scelte dolorose, che potrebbero portare a danni permanenti nei personaggi, e quello frenetico dell’esplorazione, che può durare pochi secondi e terminare con una rocambolesca fuga, o prolungarsi per un sacco di tempo, con parecchio stealth (per la caducità delle armi e perché i non morti sono numerosi) per poi finire con un sudato successo o con una dolorosa morte. Perdere un personaggio è crudele perché la permadeath è molto punitiva, ma spinge a provare un approccio prudente e, in caso di sconfitta, differenti coppie di protagonisti iniziali, ognuno con storie e caratteristiche differenti, aumentando così la longevità.

A questo proposito, la storia impiega una decina di ore per essere terminata e gli sviluppatori hanno rilasciato una roadmap ben definita e piena di contenuti che promettono di arricchire, man mano, l’esperienza. Ho apprezzato di rivedere meccaniche già presenti in State of Decay e nel citatissimo This War of Mine, miscelate in un ottimo cocktail.

Ma è un titolo perfetto? No. Ci sono degli aspetti che non mi sono piaciuti: innanzitutto, ogni tanto, sono presenti dei bug che fanno muovere in modo non molto coerente gli zombie, ho trovato un po’ di difficoltà nello scendere e nel salire le scale che mi ha fatto perdere tempo prezioso durante una fuga ma ciò che mi ha dato maggiore fastidio è il momento in cui i non morti sono girati verso di me ma non mi vedono o, ancora, sono a portata di arma ma non posso farli fuori silenziosamente perché non sono “sullo stesso piano” del personaggio che sto muovendo.

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Un esempio di zombie, sullo sfondo, non raggiungibili dal personaggio

Tolte queste piccole sbavature, promuovo Into the Dead: Our Darkest Days, che trovate su Steam, localizzato in Italiano, al corretto prezzo di 24,99 €: è un ottimo survival che vi darà tanto e che, se la roadmap sarà rispettata, vi regalerà emozioni anche nei prossimi mesi.

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Nerdando in breve

Into the Dead: Our Darkest Days è un ottimo titolo che promette bene, essendo in early access, e fonde in maniera ottimale delle belle storie, elementi survival e i miei adorati zombie.

Trailer

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