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Approfondimento: Spike Lee

(Photo by Angela Weiss / AFP)

Venerdì 12 giugno su Netflix approda Da 5 Bloods – Come Fratelli, l’ultima fatica di quello che è, per chi scrive, uno dei più grandi registi americani in attività e il più grande cineasta afroamericano di sempre: Spike Lee.

In un momento in cui gli Stati Uniti e il mondo occidentale sono attraversati da manifestazioni contro il razzismo a seguito della morte di George Floyd, la filmografia di Lee è oggi cruciale. Lasciate perdere edulcorate rappresentazioni dei conflitti razziali come Green Book, per capire il razzismo e la rabbia degli afroamericani bisogna vedersi Fa’ la cosa giusta o altre Spike Lee Joint. Vediamo insieme quali.

Gli inizi

Shelton Jackson detto Spike Lee nasce il 20 marzo 1957 ad Atlanta in una famiglia di artisti afroamericani – la madre era insegnante di arte e letteratura afroamericana, il padre compositore jazz. Da bambino si trasferisce con la famiglia a Brooklyn.

È nella Grande Mela che Lee non solo si appassiona al cinema ma anche e forse sopratutto al basket. Tifosissimo dei New York Knicks, Lee è da anni una presenza fissa al Madison Square Garden dove sfoggia vestiti improbabili e strilla tutto il suo disappunto nel tifare una squadra di perdenti.

Il legame con il basket sarà sempre fortissimo per Lee, non solo da tifoso e non solo per qualche comparsata nei suoi film. A cavallo tra anni ’80 e ’90 dirige e compare in una serie di leggendarie pubblicità per le Air Jordan. Nel 2009 dirige per ESPN il documentario Kobe Doin’ Work su un giorno nella vita di Kobe Bryant. Infine nel 2016 invece viene coinvolto nello sviluppo della modalità carriera di NBA 2K16.

Un altro aspetto centrale per capire Lee è il suo attivismo politico. Quasi tutti i suoi film sono non solo intrattenimento ma anche denuncia sociale e attivismo politico. Fin dal nome della sua casa di produzione, 40 Acres & A Mule – il risarcimento promesso ma non dato agli schiavi neri dopo la Guerra Civile – Lee non ha mai nascosto le sue posizioni politiche. Questo bisogna sempre tenerlo a mente quando si guarda un suo film.

Ovviamente Lee non è solo basket e attivismo. È sopratutto cinema. Studia cinema alla Tisch School of the Arts di New York. Nel 1986 esordisce con un film a basso budget sulle scelte sentimentali di una donna afroamerican, Lola Darling, da cui poi nel 2017 trasse la serie Netflix She’s Gotta Have It.

La consacrazione

Dopo un secondo film meno memorabile come Aule Turbolente, Lee fa il botto nel 1989 con il suo terzo film Fa’ la cosa giusta. Storia di una rivolta a Brooklyn durante la giornata più calda dell’anno, è difficile non vederlo come un film profetico oggi che metà degli Stati Uniti è attraversato da rivolte violente.

Il film fu un successo molto controverso ma col tempo è diventato giustamente il suo film più celebrato. Le mancate nomination agli Oscar di quell’anno gridano ancora vendetta, sopratutto perché vinse A spasso con Daisy, con la sua visione buonista e dalla parte dei bianchi del razzismo.

Fa’ la cosa giusta è l’inizio di un decennio d’oro per Lee. Il suo film successivo, Mo’ Better Blues è una lettera d’amore alla musica jazz e per me è uno dei suoi film migliori. Protagonista un grandissimo Denzel Washington che da lì in poi apparirà in tanti film del regista. Segue nel 1991 Jungle Fever, storia di un amore interrazziale tra un afroamericano e un’italoamericana.

Nel 1992 un altro dei suoi film più riusciti, Malcolm X, potentissima biografia del controverso leader delle lotte per i diritti civili. Dopo un questo progetto ambizioso, Lee passò ad un film più piccolo, l’autobiografico Crooklyn e un misto di poliziesco a critica sociale, Clockers.

Nel 1998 sublima la sua passione per il basket con He Got Game. Denzel Washington interpreta un detenuto che per ottenere uno sconti di pena deve convincere il figlio, promettente asso del basket, ad accettare una borsa di studio presso il college favorito dal direttore del carcere. Il figlio è interpretato con buoni risultati da Ray Allen, vero giocatore di basket e vincitore di due titoli NBA.

Dopo due film più ostici e meno di successo come S.O.S. Summer of Sam e Bamboozled, Lee tornò sulla cresta dell’onda grazie a La 25° Ora. Sceneggiato dall’autore del libro originale David Benioff, è uno dei pochi film non scritti da Lee e che non a caso non ha un protagonista nero. Ad ogni modo è un capolavoro e un atto d’amore verso la città di New York a pochi mesi dagli attentati alle Torri Gemelle. Fu il primo film autorizzato a girare a Ground Zero.

Gli ultimi lavori

Da questo momento in poi la carriera di Lee vivrà di luci ed ombre. Non solo film ma anche tanti documentari, come il monumentale When the Levees Broke: A Requiem In Four Acts sull’uragano Katrina o Bad 25 sull’omonimo album di Michael Jackson.

Non tutti i progetti in cui Lee s’imbarca saranno di successo. Lei mi odia (2004), Miracolo a Sant’Anna (2008) ma sopratutto il remake di Old Boy (2013) sono tra i suoi film peggiori in assoluto.

Tra i film migliori di questo periodo non si può non menzionare Inside Man del 2006. Si tratta di uno dei migliori film di rapina di sempre, in cui Lee dimostra di saper fare meglio di quasi tutti un normale film di genere. Se solo avesse voglia. Un altro grande film di questo periodo è Chi-Raq, uscito nel 2015 su Amazon Prime Video. Passato purtroppo un po’ in sordina, è una rivisitazione della commedia di Aristofane Lisistrata ambientata nella Chicago odierna devastata dalle lotte tra gang.

Ma è sopratutto l’ultimo film a riportare prepotentemente Lee alla ribalta. Grazie a BlacKKKlansman (2018), Lee torna ad avere un successo di pubblico e critica. Viene pure nominato nuovamente agli Oscar, per la prima volta anche per la regia. In maniera beffarda perderà di nuovo contro un film che ha una visione dei conflitti razziali molto più accomodante e “bianca” della sua. Non che a Lee importi più molto. L’importante è che lui possa continuare a dire la sua e a vedersi i Knicks dal vivo.

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