La questione razziale
Nelle settimane che stiamo vivendo gli Stati Uniti sono a ferro e fuoco e, come mai prima d’ora, la questione razziale è (finalmente) al centro dell’attenzione pubblica.
La scintilla è scattata a causa della morte di George Floyd, avvenuta a Minneapolis il 25 maggio scorso in seguito all’arresto: è l’ennesima vicenda che mette in evidenza come le forze di polizia negli Stati Uniti spesso abusino del loro potere e ha dato il via a manifestazioni in tutti i 50 Stati.
La questione razziale, che covava da tempo sotto la cenere, è esplosa, portandosi all’attenzione di tutti a livello politico, sociale, civile e istituzionale. Ma anche il mondo dello spettacolo negli ultimi tempi ha affrontato l’argomento e continua a prendere provvedimenti in questo senso sempre più spesso.
È proprio di quest’ultimo aspetto che intendo parlarvi; non entrerò nel merito delle questioni politiche ma mi limiterò al campo che conosco meglio: quello del cinema. E lo farò attraverso mie riflessioni personali, condivisibili o meno, che non hanno la pretesa di ergersi a verità assoluta ma attraverso le quali spero di dare uno spunto di riflessione a un dibattito più che mai aperto.
È giusto censurare la storia, riscrivendola attraverso i film, eliminando i prodotti realisti a favore di quelli di fantasia? O piuttosto non sarebbe meglio conoscere il passato, imparando da esso e creando un futuro diverso e più equo?
Il caso Hollywood
Riflessioni, queste, che avevano già affollato la mia mente il mese scorso, quando su Netflix è uscita Hollywood, miniserie creata da Ryan Murphy e ambientata nello scintillante mondo dello star system del secondo dopoguerra.
Una serie sul cinema e sulla storia, per di più creata da Ryan Murphy (di cui mi ero artisticamente innamorata ai tempi di Scream Queens): come potevo perdermela? E infatti mi sono tuffata immediatamente nella visione, senza nemmeno aspettare il doppiaggio e, inizialmente, la serie mi stava anche piacendo molto.
Hollywood (di cui vi ha già parlato approfonditamente Gattiveria qui) è stata apprezzata da molti ma ha fatto storcere il naso ad altrettanti spettatori per la sua revisione storica. E io faccio parte di quest’ultima fetta di pubblico.
Chiariamoci subito: la fantastoria esiste da sempre e non ho nulla in contrario. Qui però si maschera da versione storica, con tanto di personaggi realmente esistiti, una rilettura completamente fantasiosa degli Stati Uniti e della Hollywood degli anni Quaranta. Sarebbe stato bello vedere davvero un’attrice protagonista di colore, in un film in cui il personaggio principale non doveva necessariamente esserlo, vincere un Oscar in quell’epoca. Sarebbe stato bello vedere una donna a capo di uno studio cinematografico di punta. Sarebbe stato bello vedere un progetto cinematografico ambizioso e in anticipo sui tempi avere un successo clamoroso. Sarebbe stato bello vedere l’omosessualità sdoganata liberamente già all’epoca, per di più durante la notte degli Oscar.
Sarebbe stato bello. Ma nella realtà non è andata così. E dimenticarlo è pericoloso.
Nella realtà avremmo dovuto aspettare il 2001 per vedere un’attrice nera vincere l’Oscar come migliore interprete principale (Halle Berry, per Monster Ball. La prima afroamericana a vincere nella categoria non protagonista, invece, era stata Hattie McDaniel nel 1939 per il ruolo di Mami in Via col vento). Nella realtà Rock Hudson, attore apprezzato e amato, ha sofferto tutta la vita per la propria omosessualità, che era costretto a tenere nascosta. Ma è stata proprio la sua morte per AIDS a scuotere l’opinione pubblica nei confronti di questa malattia.
Cambiare il ricordo di anni di sofferenza e lotte, cancellarlo per sostituirlo con un passato idilliaco e perfetto, in cui le ingiustizie non sono mai esistite, a mio modo di vedere non aiuta ad appianare le criticità che viviamo ancora oggi ma, anzi, mi suona più come un lavarsi la coscienza, spostando l’attenzione dal problema. Un guardare il dito e non la luna, cosa che oggi avviene troppo spesso.
Il caso Via col vento
In Hollywood un’ottima Queen Latifah interpreta Hattie McDaniel, prima afroamericana a vincere un premio Oscar per il ruolo interpretato in un kolossal indiscusso: Via col vento.
È curioso che proprio in questi giorni sia questo grande classico ad essere sotto le luci della ribalta a proposito della questione razziale.
Via col vento, diretto nel 1939 da Victor Fleming e interpretato da Clark Gable e Vivien Leigh si è dimostrato un film dal grandissimo e duraturo successo, vincitore di ben 8 premi Oscar.
La storia è ambientata durante la Guerra di Secessione americana e Rossella, la protagonista, vive in uno stato del Sud, la Georgia. Non solo, la sua famiglia è proprietaria di una piantagione di cotone: come è prevedibile aspettarsi, i personaggi di colore che compaiono nel film, tra cui la già citata Mami, sono rappresentati realisticamente rispetto l’epoca di ambientazione, tramite stereotipi antiquati non solo per lo spettatore di oggi ma già per uno del 1939 (uno che fosse particolarmente progressista, a dirla tutta: gli Stati Uniti del 1939, in effetti, non brillavano per uguaglianza sociale).
Ha fatto discutere molto la decisione di HBO Max, servizio di streaming disponibile negli Stati Uniti, che in questi giorni ha “momentaneamente rimosso” Via col vento dal proprio catalogo per “contenuti razzisti“. La piattaforma ha chiarito che il film verrà reintrodotto (in un futuro imprecisato) con l’aggiunta di una discussione sul suo contesto storico.
Non un vero e proprio episodio di censura (il film esiste ancora, non è che ne sia stata data alle fiamme la pellicola, come in un fin troppo celebre rogo di libri di storica memoria e contestualizzare il periodo storico per uno spettatore che non lo conosca è senz’altro una buona idea) ma sicuramente un segnale su cui riflettere. L’operazione di HBO Max, per quanto compiuta in buona fede, non può che portare alla mente episodi di censura tristemente appartenenti al nostro passato e che non sono mai giustificati, in nessun caso, quando si tratti di arte.
Concludendo
E quindi? Non possiamo più sognare? Aboliamo completamente le opere di fantasia? Certo che no, non è questo che dico. Dico solamente che non possiamo eliminare o rimaneggiare film realisti quando raccontano parti della Storia che non ci fa piacere ricordare.
Prendiamo il caso di Via col vento: il film rappresenta un’epoca in cui il razzismo negli Stati Uniti era una solida realtà e la schiavitù praticata senza problemi. Edulcorarne la rappresentazione nella pellicola non cambierebbe quello che è avvenuto.
Prendiamo il caso di Hollywood: negli anni Quaranta (e talvolta ancora adesso) lo star system hollywoodiano non lasciava spazio a minoranze. Fingere che non fosse così non aiuta in nessun modo le lotte per il raggiungimento dell’uguaglianza nel mondo dello spettacolo. Anzi, sembra il classico “contentino” per tutti gli attori e attrici che rivendicano di essere considerati per il proprio talento e non per l’aspetto fisico.
Ma non solo: la censura sull’arte non è mai tollerabile. Eliminare un film storico, che racconta un’epoca che era davvero razzista, perché razzista non ha nessuna giustificazione. Per lo stesso ragionamento, allora, dovremmo eliminare tutti i film sul Nazismo perché il Nazismo era sbagliato? Dovremmo eliminare tutti i film di Roman Polanski perché condannato per stupro su minore? Dovremmo privarci del talento di un attore come Kevin Spacey per via delle accuse che lo hanno coinvolto? (oh, aspetta…)
Ogni volta che si sceglie di censurare un’opera d’arte si intraprende una china scivolosa, che ci avvicina pericolosamente all’immagine che con quel gesto cerchiamo invece di sopprimere.
La rappresentazione artistica di qualcosa che abborriamo, da sempre, è spesso lo stimolo ad eliminare dalla nostra vita certi comportamenti e idee.
E inoltre, per come la vedo io, il nostro passato è importantissimo nei suoi aspetti piacevoli ed eroici quanto in quelli negativi e terrificanti: tutto quello che è accaduto può e deve lasciarci un insegnamento affinché non ripetiamo certi errori e non reiteriamo certi atteggiamenti.
Per lo stesso motivo per cui smettere di ricordare gli orrori del Nazismo sarebbe catastrofico, riscrivere il passato ci può far sentire più leggeri e con la coscienza a posto, fingere che certe cose non siano mai accadute può farci sentire meglio; ma rimuovere completamente gli eventi negativi non ci permette di migliorare, farne tesoro e scrivere un futuro migliore. Dimenticare non permette di progredire. E cancellare persone ed eventi che ci hanno permesso di arrivare alle conquiste etiche ed egualitarie che abbiamo oggi, ne offende la memoria.
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