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GiappoNerdando #6: Il Paradosso di Mulan

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Mulan è, dal mio punto di vista chiaramente perfetto, indiscutibilmente ed insindacabilmente uno dei migliori lungometraggi animati della Disney.

Nonostante ciò, nella Terra del Pollo Fritto è pressoché sconosciuto: a Tokyo Disneyland & Disneysea non solo non vi sono attrazioni a tema, ma manca anche qualunque merchandise. Nella mia esperienza inoltre, la stragrande maggioranza delle ragazze, anche se appassionate della Disney, non ha mai visto Mulan ed in alcuni casi non sa nemmeno che cosa sia.

Per chi conosce i trascorsi e le tese relazioni tra Cina e Giappone non dovrebbe essere una sorpresa che una storia che celebra un’eroina della Terra di Mezzo non sia esattamente la più popolare dall’altro lato del Mare del Giappone.

Eppure, da tempo non riesco a togliermi dalla testa che da un lato Mulan narra esattamente il tipo di storia che più rappresenta lo spirito nipponico e dall’altro porta avanti uno dei messaggi di cui più il Giappone e la sua gioventù avrebbero bisogno.

Nello specifico, ci penso e ripenso da quando l’anno scorso venne fuori la notizia che alcune delle più prestigiose università del paese truccavano i test d’ingresso per favorire l’accesso a medicina ai ragazzi, a discapito delle ragazze.

Questa storia c’entra a pieno con questo paradosso che è la mancanza di popolarità di Mulan in Giappone, nonostante la rilevanza che i due aspetti cardine della storia della giovane guerriera cinese abbiano per questo paese.

Il primo di questi due aspetti, quello di cui ci sarebbe bisogno, è quello sulla disparità tra uomini e donne. Mulan infatti è, com’è evidente, una storia sul ruolo dei generi e la lotta che devono combattere le donne per poter essere considerate sullo stesso piano degli uomini.

Vediamo la nostra protagonista essere sostanzialmente inadatta ed inetta al ruolo che la società tradizionale le vuole affibbiare, mentre si rivela migliore della competizione maschile in compiti che non le sarebbero dovuti spettare.

In generale, dà un messaggio molto forte di come l’essere bloccati in preconcetti legati alla tradizione sia non solo assurdo, ma persino pericoloso ed è il pregiudizio prima ancora dei mongoli (sì, lo so, gli “unni”) l’antagonista.

Non è un caso che il climax del film veda i compagni di Mulan vestiti da donne e l’eroina vestita da uomo, in un rovesciamento dei ruoli e delle posizioni che mostra ed insegna ai giovani spettatori che non c’è niente di disdicevole o vergognoso in questo.

Questo messaggio è uno che in Giappone sarebbe necessario come una trama coerente nei sequel di Star Wars.

Il Paese del Sol Levante si posiziona infatti parecchio in basso nella classifica per l’uguaglianza di genere, con un punteggio che è 121esimo su 159 paesi (per chi fosse curioso: l’Italia, sempre competitiva quando si tratta di essere arretrati, è “solo” 76esima, penultima tra i paesi europei ad ovest di Trieste).

La discriminazione e la disuguaglianza che le donne giapponesi fronteggiano ogni giorno sono innanzitutto nel mondo lavorativo: non solo la maggior parte delle posizioni manageriali è occupata da uomini (il 93.7% nel 2018, per darvi un’idea), ma esistono addirittura lavori esclusivamente per donne che sono sostanzialmente l’equivalente della segretaria anni ’50, serva del padre padrone. Queste posizioni sono chiamate “office lady”, una wasei (parola in falso inglese originata qui) che non lascia dubbi su quale fetta della popolazione riguarda.

Oltre all’ambito lavorativo, c’è anche quello familiare, dove le donne subiscono ancora un’enorme pressione sociale riguardo temi come il matrimonio, il far figli e, soprattutto l’occuparsi di casa. Tipo la scena iniziale di Mulan, appunto.

Mi è capitato molte volte in passato di parlare con donne che mi raccontavano di come, finito il lavoro, dovessero sostanzialmente correre a casa per preparare la cena ai mariti (ed in alcuni casi anche il pranzo del giorno seguente). O anche di parlare con quegli stessi mariti, che passano i fine settimana a giocare a golf mentre le mogli portano i figli in giro o puliscono casa.

Questa netta separazione dei ruoli, questa concezione che esistano “mansioni da donne” e “mansioni da uomini” è esattamente ciò che Mulan dimostra essere insensato in maniera tanto semplice quanto efficace.

Fermiamoci un attimo qui ed andiamo sull’altro aspetto fondamentale di Mulan, che a mio parere rappresenta un valore centrale nella cultura giapponese: quello dell’impegno come mezzo per superare ogni ostacolo.

In Mulan, una scena famosissima per via della canzone, ma anche estremamente sottovalutata, è quella in cui la nostra protagonista arranca fino a cadere durante una marcia con dei pesi, che vengono presi da Li Shang.

Mulan reagisce sentendosi umiliata. Sin da piccolo, quella reazione mi ha sempre impressionato enormemente: crescendo in una cittadina dove la mentalità del “meno faccio, meglio sto” è endemica, vedere qualcuno soffrire perché gli veniva levato, letteralmente, un peso era sbalorditivo.

Stessa cosa nella scena immediatamente successiva, quando Li Shang invita “Ping” ad andare a casa, mentre lei sceglie di tornare indietro e dimostrare con disciplina e forza che può guadagnarsi quel ruolo.

In fondo, non c’era motivo per Mulan di fare dietrofront: suo padre era salvo e così lo sarebbe stata anche lei. Nonostante tutto però, compie questa scelta, per crearsi quel posto nel mondo che fino ad ora le era stato negato, tramite sforzo e dedizione.

Sotto questo punto di vista, la scelta di Mulan non è così dissimile da un Naruto o chissà quanti altri protagonisti di opere giapponesi. Proprio perché nella cultura nipponica, questo spirito di costante massimo impegno permea, a volte in modo anche negativo, l’intero paese.

Da qui il paradosso della mancanza di popolarità di Mulan: uno dei suoi due aspetti fondamentali coinciderebbe perfettamente con un ideale cardine della nazione, mentre l’altro sarebbe qualcosa che avrebbe assolutamente bisogno di assimilare.

Quando scoppiò il caso delle università che favorivano gli uomini nei test d’ingresso, in molti non se la presero perché era in tutto e per tutto una discriminazione di genere, ma perché era un’offesa al lavoro duro che gli studenti avevano messo nel preparare l’esame.

In questo senso, la reazione non è dissimile da quella di Li Shang quando scopre che Ping è una donna: aveva ammirato il soldato che si era impegnato durante l’addestramento, ma non era pronto ad accettare anche l’irrilevanza del genere di quello stesso soldato.

Per questo, mi piacerebbe tanto che Mulan potesse un giorno acquisire la popolarità che merita anche in Giappone. Anche perché insomma, i karaoke hanno bisogno di “Farò di te un uomo”.

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