Padri e videogiochi. Una combinazione atomica nella quale non posso che buttarmi a capofitto, anche grazie alla mia storia personale.
In qualità di figlio, ho avuto un padre che non esiterei collocare a qualche galassia di distanza dal mondo nerd; per lui, che non imparò mai nemmeno ad usare il videoregistratore, il massimo dei videogame accessibili furono Arkanoid e il solitario di Windows (già campo minato era troppo).
In qualità di padre, ho il compito di essere guida verso un uso responsabile del mezzo (ovvero tenendo lontano le mie figlie da Minecraft), ben cosciente di quanto sia difficile trovare un punto di equilibrio nella tempesta del “a chi tocca giocare ora?”.
Con questo bagaglio di emozioni, eccomi quindi a narrarvi quelle che per me sono le più importanti figure paterne del mondo videoludico. In attesa che arrivi la festa della mamma, che anche lì ci sarà da divertirsi.
The last of us
Joel non solo è un padre, ma un padre che ha perso la propria figlia e si costruisce attorno una scorza di cinismo per sopravvivere al dolore. Quando si imbatte cin Ellie fa di tutto perché lei non penetri quella corazza e lo faccia sprofondare nuovamente nel dolore della perdita. Joel è quindi quel tipo di uomo che rinuncia ai sentimenti positivi pur di non soffrire di nuovo.
Ma la vita va avanti lo stesso, e una ragazzina può essere molto più maestra di tante altre avventure. Ed è così che Joel si trova suo malgrado a non poter dissolvere quel legame che si viene a creare con lei, e che lo porterà a ricordarsi cosa vuol dire, di nuovo, essere un padre.
The Witcher 3
Non è, non è stato, non lo sarà mai. Geralt, come tutti i witcher, è sterile e non potrà mai essere padre. In teoria gli sono stati anche sottratti i sentimenti e non dovrebbe sentirne la mancanza (al contrario di Yennefer), e tuttavia il rapporto che lo lega a Cirilla (frutto della Legge della Sorpresa) è quanto di più paterno io riesca a ricordare in un fantasy su console.
Geralt investe tempo, energia, ogni risorsa fisica e mentale per addestrare Ciri e per salvarla una volta smarrita. Se non è un padre questo.
Bioshock
Anche qui siamo un po’ borderline, ma il Big Daddy è in effetti una figura paterna per le “sorelline” che deve proteggere ad ogni costo contro coloro che vogliono sottrarle il prezioso ADAM.
In maniera metaforica ci ricorda il rapporto che si viene a creare tra un padre amorevole e una figlia con problemi o disturbi di qualche genere (fisici o cognitivi che siano). Ci si costruisce una corazza (vera nel gioco, metaforica nella vita) per poter sostenere sulle proprie spalle non solo il proprio mondo, ma anche quello dei figli che non hanno la forza o i mezzi per farlo da soli.
God of War
Alzi la mano chi non vorrebbe avere un dio come padre. No, non uno figo e fiero come Zeus, ma più uno tipo come Kratos: violento, irascibile e anaffettivo. Uno di quelli che non ti credono quando gli parli e che qualunque cosa tu faccia non va mai bene.
Diventa subito meno appetibile vero? Eppure è proprio quello a cui assistiamo nel bellissimo quarto capitolo della serie God of War in cui dovremo gestire nostro figlio Atreus, aiutandolo a rendersi autonomo e contenendone l’esuberanza e la assoluta mancanza di percezione del pericolo.
Difficile dire se Kratos sia o meno un buon padre, di sicuro è una figura potente di quelle che rischiano di diventare troppo alte da scalare (come cantava il poeta) e con una figura così ingombrante, è difficile immaginare come possa evolvere un rapporto padre-figlio, in cui a farla da padrona è sempre il testosterone.
Anche in God of War abbiamo la metafora del viaggio, dell’esplorazione e della scoperta: non solo del mondo esterno, ma anche e soprattutto di quello interiore, con l’eterna lotta contro i propri fantasmi del passato e il disperato bisogno di trovare una spiegazione a tutto. Anche alle cose che, semplicemente, capitano.
Horizon Zero Dawn
Uno dei miei titoli preferiti su piattaforma Playstation (ed uno dei motivi per cui ho affiancato la console di casa Sony alla mia fedele Xbox): Aloy è una giovane donna che, in un modo post-apocalittico retto sul matriarcato, si trova emarginata dalla sua tribù in quanto “senza-madre”.
Ad occuparsi di lei sarà un altro reietto, Rost, che la istruirà su come difendersi dalle macchine (nuova specie dominante), come andare a caccia e, in breve, come sopravvivere nel pericoloso mondo di questo futuro distopico.
Rost, anche in questo caso, non è il vero padre di Aloy ma svolge un ruolo fondamentale per la nostra protagonista, che passerà il resto dell’avventura, dopo il doloroso distacco con quest’ultimo, a cercare la verità sulla proprie origini.
The walking dead
Il rapporto tra Lee e Clementine è uno dei più belli e puri che io ricordi nel mondo del videogioco. Non il vero padre, ovviamente, ma ne copre le funzioni alla perfezione. Lee accudisce, protegge e soprattutto istruisce Clem: la prende per mano nel momento più cupo della sua vita e la conduce attraverso un percorso che, con la classica metafora del viaggio, la condurrà verso l’indipendenza. La fine (una delle più drammatiche che ricordi) di Lee ad opera della medesima Clem è quanto di più potente possiamo avere per il suo valore simbolico. Un figlio deve uccidere (psicologicamente) il proprio padre per potersi liberare del suo confortevole abbraccio ed affacciarsi finalmente nel mondo quale essere adulto compiuto e autonomo. Così che poi il cerchio possa chiudersi con l’assunzione del ruolo da parte del figlio (che in Clem vediamo con R.J. nelle ultime serie).
Contenuti