Finalmente in TV
Chi è che fa Geralt? Cavill? Il pomatone di Man of Steel? Ok. Non lo guardo.
Aspe’, fermi tutti! Questa è la sua foto? No, no: non sono etero. Mi sono sempre sbagliato.
Insomma: per chi ama Geralt l’arrivo della serie TV è stato un doppio colpo al cuore. Da una parte il bisogno sfrenato di vedere su schermo un antieroe eccelso come lo strigo di Rivia, dall’altro la paura che l’ennesimo adattamento Netflix avrebbe fatto scempio delle ore passate sui libri e/o videogiochi.
Ecco arrivare quindi il primo caposaldo: la serie non è tratta dai videogiochi (niente Triss rosso-fuoco e lentiggini, quindi) ma direttamente dai libri. Giocoforza un paese come il nostro dove mediamente le persone leggono al massimo le prime 3 parole del titolo di un articolo su Lercio la cosa ha creato scompiglio, a partire dal design del celebre medaglione, ben diverso da quello a cui eravamo abituati (ma vah?).
Superati questi traumi, però, abbiamo finalmente potuto immergerci nell’opera di Netflix e restarne abbagliati. The Witcher è un ottimo prodotto, con meno effetti (e minor budget) di quelli che eravamo abituati a vedere in GOT, ma dentro tutto quello che serve per essere goduto a pieno.
Gli episodi della prima stagione sono tratti (abbastanza fedelmente, seppur con ampie licenze) dai primi due libri di novelle: Il guardiano degli innocenti e La spada del destino. Veniamo così a conoscenza delle origini non tanto dello strigo, ma di Yennefer di Valember e di Cirilla, giovane leonessa di Cintra.
Gli eventi vengono narrati su ben tre linee temporali differenti che, dopo un primo smarrimento, risultano davvero facili da seguire e donano un ottimo ritmo alla narrazione.
Gli attori
Ma, ovviamente, non esiste witcher senza Geralt. Ho sempre considerato davvero di poco conto le doti recitative di Henry Cavill, ma mi sono dovuto ricredere immediatamente. Cavill è calato anima e corpo nel personaggio, anche al di fuori del set. Ha preso settimane di lezioni di spada, ha curato il fisico e girato per settimane con tre spade sempre a portata di mano per esercitarsi. Lo scopo: non avere controfigure nelle coreografie di combattimento (altro elemento chiave) e si vede.
Nei fan non arriva mai il benché minimo dubbio che su schermo ci sia l’autentico Geralt, reso perfettamente in tutta la sua sozzura, cinismo e sarcasmo. E questo con buona pace di chi ironizza sulle “uniche” due battute del personaggio (“uhm” e “fuck”): la verità è che la fisicità dell’attore ha dato carta bianca agli autori di eliminare molti dei dialoghi scritti, perché diventati superflui.
Ottimi anche i comprimari, a partire dal pettegolo Ranuncolo che ha già regalato alla Rete un tormentone del quale non ci libereremo facilmente. Splendida Yennefer: meno “bella” di quanto forse avrebbe dovuto, ma decisamente autentica. Sebbene all’inizio non mi entusiasmasse, anche Ciri devo dire che trova il suo posto nell’economia globale della serie.
A convincermi meno, forse, gli elfi le cui orecchie posticce mi risultano poco convincenti, e un po’ di delusione per Corallo, maga della quale mi sono innamorato leggendo La stagione delle tempeste e che nella serie appare molto meno affascinante di come descritta nel libro (oltre ad apparire davvero per un attimo).
Effetti speciali
Pochi ma efficaci. Siamo stati abituati a vedere cose roboanti e una saga fantasy come questa è ricca di incantesimi, mostri, e altre meraviglie. Ovvio che ci aspettavamo di vederle tutte su schermo e onestamente ho sentito un po’ la mancanza dei segni di Geralt (se ho contato bene, usa solo il segno Aard due volte in tutta la stagione). Anche sugli incantesimi si è andati in parsimonia, ma delle creature non posso proprio lamentarmi.
Certo mi aspettavo un drago d’oro possente e maestoso, ma gli altri mostri mi hanno davvero soddisfatto.
La società
Ma, sopra ogni altra cosa, la serie ha riportato in modo esemplare quello che rende The Witcher un fenomeno globale. Sì ci sono i maghi e le streghe, sì ci sono i mostri e l’eroe dannato che tanto piace. C’è sesso e c’è politica. Ma nella saga dello strigo c’è molto di più. Ci sono i drammi dell’esclusione e del razzismo. Della differenza tra le classi, della disperazione dei poveri e il menefreghismo dei ricchi.
The Witcher rappresenta una dolorosa metafora non solo del tragico passato della Polonia (e se qualcuno ha letto “nazi” sono la parola Nilfgaard non ci è andato lontano), ma del drammatico presente di tutto il mondo intero. Dove ancora c’è chi divide le persone e il loro valore in base alla razza, dove si usano le armi e gli eserciti per imporre la pace. La propria, ovviamente.
Geralt
Geralt è una figura che emerge sopra tutto questo: del tutto estraneo alle questioni umane e soprattutto a quelle politiche, finisce col restarne irrimediabilmente invischiato. Ogni volta. E più cerca di restarne fuori e più ne viene tirato dentro. Da questo o da quel re, o da qualche maga (che opera nell’ombra, come sempre). Tutti a sfruttare le sue capacità uniche per quella che considerano, alla fine, una pedina sacrificabile. O manipolabile a piacere.
Questo porta Geralt ad una profonda solitudine, in cui anche chi vuole a tutti costi essergli amico, finisce col venire allontanato per la troppa abitudine ad essere considerato un mostro, un rifiuto della società. E quando tutti pensano che tu lo sia, alla fine, finisce per convincertene anche tu.
Una creatura modificate per essere una macchia da guerra che stermina i mostri, e quindi priva di emozioni e sentimenti, che però finisce con l’innamorarsi contro tutte le logiche. E incapace a gestire questi (non)sentimenti, lo vediamo compiere scelte sempre più improbabili e discutibili, come chi sa perfettamente come staccare la testa ad un Leshen, ma non che si debbano portare fiori ad una dama, o indossare un farsetto a corte.
Sono queste grandi contraddizioni che rendono Geralt più umano degli altri, uomini elfi nani o streghe, e The Witcher quell’opera immane e meravigliosa che l’autore, Andrzej Sapkowski, ha regalato al mondo.
E ora sotto con la seconda stagione: ne vogliamo ancora e di più.
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