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#LuccaCG19 – Incontro con Giorgio Vanni

Dopo aver latitato per sette anni, Giorgio Vanni torna a Lucca Comics and Games e regala ai fan un concerto a tutto ritmo. Le sigle dei cartoni animati degli anni ’90 e 2000, che hanno accompagnato l’infanzia e l’adolescenza delle generazioni y e z. hanno animato la serata di venerdì 2 novembre con tutta la carica che da sempre le contraddistingue.

Dopo un gap generazionale, era arrivato il momento di svecchiare le sigle dei cartoni animati aggiungendo un ritmo dance che prima di allora era rappresentato solo da quella dell’Uomo Tigre. Ci hanno pensato Giorgio e Max.

L’incontro

Qual è il background musicale che avevate prima di darvi alle sigle dei cartoni animati?

Si lavora in coppia: io canto, lui scrive. Però vorrei sfatare il mito “dell’esperto di”: c’è il pubblico e c’è il cantante. Noi siamo musicisti che danno il massimo solo perché hanno voglia di comunicare qualcosa. Noi nasciamo come produttori, scrivendo i testi di Laura pausini, Miguel Bosé e altra gente. Collaborando con Mediaset, per scherzo, ci siamo messi a lavorare su una sigla. poi la cosa ha preso piede velocemente e ci ha appassionati.

Scrivere le sigle è un impegno serio, bisogna saperla fare. Deve essere orecchiabile, le melodie devono rimanere nei cuori di chi le ascolta ed è necessario tantissimo impegno. All’inizio qualche collega ci prendeva in giro, sminuendo il nostro lavoro. Anni dopo ci hanno chiesto come fare per raggiungere lo stesso risultato, ma non è una cosa per tutti.

Ora inizia a essere una cosa sdoganata, anche in tutti locali gente manda video piangendo. è bellissimo.

“Non rimpiango i Digimon” ma in che senso?

C’era la diatriba fra Digimon e Pokémon, non solo per il confronto Mediaset e Rai. Ho voluto scherzare su questo fatto, anche perché in tanti mi chiedono di cantare la sigla ma quella non è mia, non la canto mica io. In questo senso non li rimpiango: non rimpiango di non averla fatta io.

Nel vostro nuovo disco “Toon Tunz” c’è anche una parte nostalgica: è per noi o per i ragazzi?

Per entrambi, bisogna vedere com’è stata recepita. Anche la sigla di Happy Days richiamava i tempi precedenti (gli anni 60) ma non è che chi guardava il programma non la capisse e la percepisse come vecchia. Era un prodotto per tutti e noi abbiamo fatto un lavoro analogo.

Come nascono le vostre canzoni?

Abbiamo sempre sposato la causa del rock, anche se alcune sigle (Scarafaggi) hanno ritmi più raggie e ska. C’è della ricerca su suoni nuovi e arrangiamenti, ci si fa uno studio sopra. Però dipende anche dal periodo, perché a seconda di quello che ascolto vengo influenzato quando compongo. Per questo io e  Max collaboriamo: abbiamo generi diversi, lui più rock, io più ska. Dall’unione di entrambi i generi nascono le nostre sigle, ma non tutte diverse.

Quello che viene fuori dipende tantissimo da quello che ascolti. Mio figlio sente di tutto, io anche e questa è una fortuna. Poi vai in studio di registrazione e ti chiedono se hai copiato da questo e quello, e ovviamente non è così.

Cosa vi ha portato ad accettare collaborazioni con youtuber?

Mi affascina molto il mondo degli youtuber ma ovviamente non mi piace tutto. Mark the Hammer è un super musicista e ha il mio stesso modo di fare. Siccome c’è affinità allora si riesce a collaborare. Non è una marchetta, se non ci piace quello che ci chiede di collaborare, non si può fare. I Pantellas, i Pampers, Alessio e Alessandro dei The Show: è tutta gente che ci piace molto perché sono simpaticissimi, quindi c’è solo un gran piacere a collaborare con loro. In più a me torna comodo perché in televisione c’è stato il nostro prodotto e la mia voce, ma mai la mia faccia. In questo modo possiamo arrivare a più ragazzi e fare così più spettacoli possibili, che è esattamente quello che mi piace. Salire sul palco a dare e ricevere energia è la mia natura.

Alle persone creative le idee nascono nei posti più strani. Hai un aneddoto da raccontarci sulla nascita di un pezzo?

Mi sono messo a cantare la sigla di Diabolik con la quale avevamo un po’ di difficoltà. Ho chiamato Max per fargliela sentire, perché avevo avuto un’idea. Solo che ero nel camerino di un negozio, con fuori altra gente. Quella di Scarafaggi invece è nata sotto un cuscino: ero a letto disperato con il cuscino appoggiato sulla faccia, mi son messo a canticchiare e ne è uscito il ritornello.

Com’è cambiato il rapporto con il pubblico con l’avvento dei social?

Io mi diverto un casino a fare storie e video, ma la mia natura è fare live. per me è quasi terapeutico, non posso farne a meno, ne ho bisogno. ovviamente abbiamo una persona che ci aiuta con i social, perché impegnano tantissimo, e meno male. I social ci aiutano tantissimo a entrare in contatto con le persone e divertono, e senza divertimento non sarebbe la stessa cosa. Però non pensate che sia tutto rosa e fiori, perché per continuare a fare questo lavoro ci sono problemi da affrontare. Sono grato di fare questo lavoro e lo amo, ma ha anche i suoi aspetti delicati, ecco.

Come nasce la passione per il Giappone che ultimamente condividi sui Social?

Ho recentemente collaborato per un grosso evento sportivo in Giappone, in più abbiamo anche prodotto “banzai”, una canzone che in Giappone ha spopolato. Quindi abbiamo sempre avuto contatti con l’oriente, e ci appassiona molto anche al di là delle collaborazioni.

Le sigle sono conosciute anche grazie alla TV, ma ora Dragonball è in secondo piano nel palinsesto. Cosa ne pensi? C’è un altro cartone di cui vorresti fare la sigla?

Sinceramente? Chissenefrega. Una volta la sigla era importante per il cartone e permetteva di riconoscerlo, adesso dura pochi secondi, ma è una questione secondaria. Tanto ci capita di farle perché ci piace farle, senza che ce le commissionino, come abbiamo iniziato a fare con quella di Dragonball Super. Adesso stiamo lavorando a quella di Death Note e ad altre produzioni che non possiamo rivelare, collaborando di nuovo anche con Mark the Hammer e altri. Ci piacerebbe lavorare a quella di Adventure Time, vediamo.

Dici di non rimpiangere i Digimon, ma c’è qualcosa che invece rimpiangi?

Non particolarmente, ogni tanto mi piacerebbe realizzare un gruppo reggie. A Max piacerebbe mettere su un nuovo gruppo dei Toto, ma le sigle rimangono il nostro pane.

Cosa ne pensi degli otaku?

A me piacciono un po’ tutte le cose. Mi piace parlare sia con il fashion victim, sia con l’appassionato di cartoni animati. Non riesco a pensare che qualcuno sia uno sfigato, perché ciascuno è affascinante a modo suo. Gli unici per cui mi dispiaccio sono quelli che amano tantissimo le sigle originali e dicono di odiare le versioni italiane, ma senza averle ascoltate. Ecco, per loro mi dispiaccio, perché giudicano a priori, senza conoscere qualcuno. Uno non è uno sfigato perché si mette scarpe più o meno costose, perché se uno è uno ha delle Nike da 2000 euro e non è uno stronzo, va benissimo (e vale anche il viceversa). Però le persone devi conoscerle prima, e sono molto fuori dal mondo del giudizio a priori.

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