Recensione
Ho avuto la possibilità di vedere It – Capitolo 2 in anteprima stampa. La curiosità era alle stelle: It (libro, creatura, immaginario collettivo) non è facile da gestire: il testo originale è complesso, i fan agguerriti.
Sarà riuscito Andrés Muschietti a rendere tutti contenti? Avranno saputo Warner Bros. e New Line Cinema rendere il giusto tributo?
Ecco le mie impressioni a caldo.
Trama
Sono passati 27 anni dagli avvenimenti del primo capitolo e la creatura extra-dimensionale conosciuta come Pennywise, o It, si è risvegliata dal suo torpore.
Scoperto di aver solo sconfitto ma non ucciso il proprio avversario, la banda dei Perdenti ormai cresciuta fa ritorno a Derry per quello che sarà lo scontro finale.
Questa la trama, nel caso foste vissuti su un eremo negli ultimi 30 anni. Se non avete letto il libro, non vi occorre sapere altro.
E ora che abbiamo smarcato le formalità, veniamo alle cose serie.
Tutto
Ognuno di noi ha qualcosa di sacro e intoccabile. Una canzone, un film, un libro. Io ne ho uno per genere, e per quanto riguarda la letteratura, indovinate? È It.
Non solo perché si tratta di un’opera immensa, un testo perfetto sotto ogni punto di vista, emblema sia del passaggio del tempo, con le sue mille metafore sulla crescita, ma anche un monumento dedicato alla perdita e all’abbandono: delle persone, dei sentimenti, della memoria. Un testo di contrasti e ambiguità complesse come la vita reale, di amicizia e sacrificio, di morte e rinascita.
Non solo per tutto questo, ma anche perché io sono sempre stato refrattario alla lettura. Odiavo i libri e odiavo leggere. Poi, un giorno, nel corso dei miei 15 anni, sono stato convinto da un amico a tentare questa lettura. Primo libro, oltre mille pagine.
Mi ha cambiato la vita e da quel giorno ho iniziato a divorare decine e decine di libri, diventando un avido lettore di qualsiasi cosa.
Date queste premesse e la sacralità che ricopre It nella mia vita, potete ben immaginare con quali sentimenti abbia approcciato il film. La serie degli anni ’90, per quanto sviluppata low budget e nonostante le molte licenze, qualcosa di buono aveva, e con i giusti accorgimenti sono riuscito ad apprezzarla; ma (diciamocelo) era un’altra cosa.
Fin dal primo capitolo, invece, era chiaro che Muschietti aveva ben altre ambizioni. Un restyling completo della creatura, interpretata magistralmente da Bill Skarsgård, e il dispiego in campo di nomi eccellenti come quelli di James McAvoy (X-Men, Split) e Jessica Chastain (Interstellar, The Martian, X-Men – Dark Phoenix) nei ruoli chiave, lasciava presagire grandi cose.
Va bene, smetto di girarci attorno: It – Capitolo due è un maledetto capolavoro sia come film in sé che come omaggio all’opera di sua maestà Stephen King.
Fa paura? Sì, fa una paura fottuta. Chi mi conosce sa che ho una fervida immaginazione e quando masteravo a D&D i miei giocatori sono rimasti spesso shockati dalle perversioni che buttavo sul tavolo.
Ebbene: nemmeno io sarei riuscito ad arrivare a tanto. Nel film ci sono scene che mi hanno messo davvero in difficoltà: crudeli, disturbanti, raccapriccianti; scene che ti si appiccicano alla mente e difficilmente ti lasciano andare.
Cosa c’è
Una delle cose più grandiose dell’opera letteraria è il parallelismo tra le vicende dei bambini e quelle degli adulti, 27 anni dopo. All’inizio è timida e accennata, ma andando verso il climax del libro, questa sovrapposizione si fa quasi indissolubile, con capitoli che si rincorrono l’un l’altro senza soluzione di continuità al punto che il lettore ha la netta sensazione che tutto stia avvenendo contemporaneamente.
La divisione dell’opera in due parti: prima i bambini, poi gli adulti, sacrifica giocoforza questo aspetto, ed era la cosa più dolorosa della miniserie del 1990. In questo caso, invece, Muschietti è riuscito a fare la magia: con un’opera di fino come raramente se ne vede in giro, presente e passato si fondono, mescolandosi, dando vita a quell’alchimia propria del libro. Vediamo i protagonisti vivere le proprie vicende amalgamate col flusso di ricordi che pian piano si fa strada in loro, riportando in vita gli episodi chiave della loro infanzia a Derry.
Stupendo.
Ma non è tutto qui: ci sono molti dei particolari che fungono da cardine dell’opera, anche se magari solo accennati. Compare la Tartaruga, compare Silver (la mitica bicicletta di Bill), compaiono i rapporti malati di Eddie e Bev coi loro compagni di vita, compaiono (finalmente) i Pozzi Neri e il rituale di Chud.
Certo molte di queste cose sono accennate, sussurrate, magari modificate e adattate alle esigenze cinematografiche. Ma ci sono, e chi ha letto il libro, le riconoscerà e le apprezzerà.
Ad essere onesti King indugia molto (troppo?) sul rapporto morboso tra Ed e sua madre, come su quello tra Bev e il padre, così come risulta evidente che entrambi scelgano da adulti compagni che ne ripropongano le dinamiche. Dopotutto si tratta di uno dei tanti temi cari all’autore.
Nel film tutto questo è appena sussurrato, magari da una sola scena, con una sola battuta. Ma c’è, e va bene così.
E ancora: il tanto amato (auto)citazionismo di King è riportato con una scena talmente folgorante che ho fatto fatica a non alzarmi in sala ad applaudire. Credo sia una delle volte in cui mi sono più emozionato davanti ad una pellicola in tutta la mia vita.
E tanta, tanta autoironia: fa strano crederlo, ma c’è più di una scena in cui si ride di cuore.
Cosa non c’è
Naturalmente è una riduzione. Molte cose sono state tagliate o modificate.
Personalmente non avevo compreso perché Georgie, nel primo film, facesse una fine diversa rispetto al libro, ma con questo secondo capitolo diventa molto più chiaro l’intento di Muschietti e Gary Dauberman (autore della sceneggiatura) di premere l’acceleratore sui sensi di colpa di Bill, e nel climax finale questo emerge con forza enorme.
Manca tutta la parte di Audra, la moglie di Bill, e quella splendida scena in cui lui usa la magia residua di Derry per farla uscire dal coma in cui la visione della vera forma di It l’ha sprofondata.
Oggettivamente è un peccato, ma già così siamo davanti a quasi tre ore di film tiratissimi e a qualcosa bisognava pur rinunciare.
Anche la parte di Henry Bowers è nettamente ridimensionata, ma è evidente come la pellicola scelga di sacrificare aspetti di “contorno” per concentrarsi sulle dinamiche dei personaggi, la loro evoluzione e trasformazione.
Allo stesso modo i temi dell’omosessualità e dell’omofobia (che nel libro hanno grande rilevanza), qui sono solo accennati.
Mancano anche le scene di sesso presenti nel romanzo. Si è già fatto un gran parlare durante il primo capitolo del celebre passaggio in cui Bev dona (a modo suo) la luce per poter fuggire dalle fogne. Non mi dilungherò qui sugli aspetti sociali di una scena che oggi sarebbe molto difficile da far digerire al pubblico, forse anche più di quanto non fosse negli anni in cui è stata scritta.
La cosa fondamentale è la connessione tra passato e presente (o se preferite, tra presente e futuro in base a come volete guardarlo): nel libro quello è il momento in cui avviene il passaggio tra fanciullezza e maturità.
Siamo, ancora, nel campo di quelle potenti metafore che solo King riesce a creare e in un medium come quello cinematografico vigono regole differenti. Oltre a questo c’è la giusta osservazione dell’autore, su come tanto scandalo abbia creato quella scena (oltretutto incentrata sull’amore), mentre nessuna parola è stata spesa sui molti bambini brutalmente macellati dal mostro.
Manca però anche l’incontro amoroso tra Bill e Bev, qui ridotto ad un bacio ma che porta con sé la medesima funzione.
Ognuno di noi ha certamente una parte del libro che ha amato e che avrebbe voluto vedere nel film. Non si può oggettivamente accontentare tutti, ma ad essere onesti le cose fondamentali ci sono.
Il finale
Veniamo alla parte più tosta. Come rendere su schermo un finale metafisico come quello di It? La forma aracnide della creatura, resa grossolanamente nella miniserie, aveva lasciato tutti di stucco (nel senso negativo), oltre alla svolta devastante della scoperta che si tratti di un ragno femmina (sapete quante uova depongono i ragni?).
Il rito di Chud, la chiave per entrare nella mente di It e affrontarlo sul suo piano, viene qui riportato dando origine ad una battaglia di volontà forse un po’ lunga, ma incredibilmente magnetica.
Se c’era un modo di rendere su schermo la lotta tra le menti dei Perdenti con quelle del mostro, credo che sia stato fatto al meglio. Dopotutto è noto che la vera forza di It non è quella fisica, brutale, ma quella psicologia, mentale. Lui ci legge dentro, conosce le nostre paure più recondite, le usa contro di noi. E non c’è nulla di più difficile e devastante che lottare contro se stessi.
Ma al di là dello scontro finale, a cambiare è l’impronta che viene data alla conclusione della vicenda.
Sì c’è il crollo della dimora, ma nel testo a collassare è la città stessa, lasciando intendere che Derry e It siano due facce della stessa medaglia, due aspetti della stessa entità.
Ma, soprattutto, il libro ha finale molto più amaro che dolce: la magia sparisce e con la scomparsa di It è venuto meno anche l’unico elemento che teneva uniti i Perdenti. La naturale conclusione, per chi ha preso strade così differenti, è di perdersi di nuovo, per sempre, e tornare a dimenticare.
Lo stesso Mike, che ha la funzione di memoria storica, deve rinunciare a conservare i ricordi del gruppo: il suo scopo è terminato e con la magia di Derry scivola via anche la memoria.
Il film è meno amaro, lascia più spazio alla speranza di conservare i ricordi bella della propria infanzia.
Questo tradisce lo spirito kinghiano: l’autore non ha fatto mistero del credere che nessuno si ricordi, realmente, di quanto accadutogli durante l’infanzia. Siamo convinti di sì, ma la verità è che la nostra mente ci inganna continuamente: non ci ricordiamo com’era la nostra vita da ragazzi.
Questo è riportato, nel libro, con la scomparsa non solo dei ricordi, ma anche dei nomi, dei numeri di telefono, il cui inchiostro si assottiglia fino a sparire sulle pagine della rubrica di Mike.
E anche sforzandosi di riportare quei nomi su nuove pagine, su nuovi quaderni, prima o poi quei nomi sarebbero diventati vuoti, privi di significato e senza la controparte reale.
È un’immagine potente, una metafora micidiale di quello che l’autore vuole raccontare del processo di crescita, della perdita dell’innocenza e del diventare adulti: essere bambini è una cosa bellissima ma, prima o poi, tutti dobbiamo rinunciarvi.
Quanti di voi hanno una vecchia agenda telefonica di quando andavano a scuola? Provate a prenderla ed aprirla. Io l’ho fatto: è stato atterrente rendersi conto che nel 90% dei casi, ai nomi non corrisponde più una faccia, un contesto, un ricordo. Sono stati miei compagni di viaggio, almeno per un po’, ma ora sono andati perduti per sempre.
Questo nel film manca ed è forse l’unica cosa che mi sia dispiaciuta.
Vero è, però, che dopo tanto orrore una nota di amara speranza forse era quello che ci voleva.
Conclusioni
Nel caso non fosse chiaro: ho amato alla follia questo film e già non vedo l’ora di rivederlo (cosa rarissima per me).
Ne ho amato la fotografia, molto più che ispirata: perfetta. Ho amato l’interpretazione di Skarsgård e McAvoy (fatevi un regalo: guardatelo in inglese). Ho amato la regia e la scenografia.
Non sono amate dei film horror e qui di orrore ce n’è molto, ma non ha nulla di gratuito o di fine a se stesso. Anche le scene più crudeli (e da padre di due bimbe piccole vi assicuro che non è stato facile vederle) hanno la loro economia, la loro funzione specifica.
Questo film contiene tutto: andatelo a vedere; comprate il blu-ray; trasferitevi a Derry, almeno per un po’.
E, già che ci siete, leggete il libro.
Di nuovo?
Di nuovo.
Nerdando in breve
It – Capitolo due racconta in modo magistrale la fine della creatura più terrorizzante di sempre.
Nerdandometro: [usr 4.9]
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