Recensione
Pensato dalla mente di Daniel Aronson e finanziato da una campagne Kickstarter dall’incredibile successo, è arrivato finalmente sui nostri tavoli l’affascinate The Island of El Dorado, board game di strategia ed esplorazione.
The Island of El Dorado è un titolo di esplorazione dalle componenti riccamente curate e che sarà capace di tenervi attaccati al tavolo da gioco davvero a lungo.
Il concept di base è abbastanza semplice: quattro esploratori si immergono nelle misteriose lande sudamericane alla ricerca della fantomatica El Dorado. Man mano che procederanno nella loro opera di esplorazione, avranno modo di assoldare eserciti, costruire roccaforti e fattorie per approvvigionare i propri uomini.
Immersi nella giungla sono presenti tre templi, che è possibile controllare versando delle offerte, ma il quarto e più importante santuario si trova nascosto nelle pericolose profondità delle caverne, che pullulano di nemici ed avversari letali.
Scopo del gioco è quello di controllare tutti e quattro i santuari: il primo giocatore che ci riesce, vince la partita.
Dinamiche
Come detto, The Island of El Dorado è un gioco prevalentemente di esplorazione. All’inizio del turno ogni giocatore lancia due dadi a sei facce: uno dei due valori rappresenta la velocità, ovvero di quanti settori può spostarsi il proprio esploratore, l’altro invece rappresenta la raccolta di risorse. Per rendere il gioco meno aleatorio è prevista la variante in cui si lancia un solo dado e i valori da applicare sono quelli delle due facce contrapposte, così che la somma sia sempre 7. Oggettivamente una variante che ha incontrato il mio gusto.
Dopo aver fatto la nostra scelta possiamo iniziare a raccogliere risorse: oro, legno e cibo, in base alla posizione del nostro esploratore o ai lavoratori che avremo assoldato nel turno precedente. Le risorse, poi, serviranno ad acquistare nuovi lavoratori, fattorie per produrre risorse, forti per potenziare la nostra capacità di attacco e difesa e, infine, presentare le offerte al tempo, condizione necessaria per “controllarlo”.
Muovendo il nostro esploratore sulla plancia, andremo a scoprire nuovi esagoni man mano che ci sposteremo nelle zone inesplorate: in base alla tipologia di territorio poi potremo decidere se collocare qui nuove strutture o lavoratori oppure procedere nel nostro incedere.
La cosa più interessante del gameplay, a mio avviso, è la gestione della Caverna.
Prima o poi uno degli esploratori scoprirà l’ingresso, un esagono dedicato, e potrà decidere di avventurarsi in questa sorta di dungeon separato dal resto della mappa.
La caverna è un luogo pericoloso, in cui i nemici sono in agguato e tremendamente difficili da abbattere. Per questo è conveniente addentrarsi solo se ben equipaggiati. In fondo alla caverna, anche qui creata randomicamente durante l’esplorazione, si troverà il quarto e ultimo santuario. Controllarlo vuol dire assicurarsi le attenzioni degli altri giocatori, che faranno il possibile per sottrarlo previo uno scontro diretto.
I combattimenti, infine, rappresentano un momento interessante delle dinamiche. Man mano che si procede nel gioco, la forza di attacco viene modificata dalla presenza di diversi fattori: i lavoratori incrementano di un punto ciascuno, i forti anche ma solo per i tre esagoni a cui afferiscono, infine gli esploratori stessi hanno una forza complessiva incrementata dal numero di santuari controllati.
Quando avviene uno scontro tra giocatori (o contro la IA), si somma il numero complessivo di forza e si lancia un dado a sei facce per ogni punto forza. Il dado può dare come risultato zero, uno o due. A quel punto non resta che sommare i punti emersi e scoprire chi è il vincitore.
L’esploratore sconfitto deve cedere metà delle proprie risorse al vincitore, mentre i suoi lavoratori e le sue costruzioni vengono irrimediabilmente perse.
Altro elemento interessante del gioco è che i santuari controllati non possono essere persi. L’unico a passare di mano, in caso di sconfitta, è il santuario della caverna su cui de facto si giocano gli equilibri di vittoria.
Materiali
Non voglio girarci attorno: The Island of El Dorado è uno dei board game più curati che abbia mai visto. La scatola è un gioiello di eleganza, grazie anche alla sua chiusura magnetica; gli alloggi interni sono perfettamente bilanciati; tessere di cartone spesso, illustrate con grande eleganza, regalano una sensazione piacevole sia al tatto che alla vista. Vedersi allargare la mappa man mano che si esplora è davvero soddisfacente mentre i token in legno, sagomati alla perfezione, fanno bella mostra di sé nella foresta o nella caverna.
Completano il tutto sacchettini in stoffa con stringhe dai colori personalizzati e dadi ottimamente rifiniti.
Davvero un capolavoro.
Considerazioni finali
The Island of El Dorado mi ha davvero colpito: le regole sono facili e immediate, ho sperimentato qualche incertezza in alcuni passaggi, ma niente che la pagina di FAQ non riesca a risolvere.
Per quanto non ami molto i giochi aleatori, l’asimmetria degli esploratori, ognuno con un potere dedicato, e la possibilità di mercanteggiare risorse, dà quel pizzico di strategia in più che rende le partite più interessanti.
Unico neo, a mio avviso, la pesante presenza dell’alea nei combattimenti. Che poi è anche il motivo per cui ho smesso da anni di giocare a Risiko!
Nerdando in breve
The Island of El Dorado è il board game esplorativo che ci getta nella mischia della giungla più misteriosa.
Nerdandometro: [usr 4.0]
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