Recensione
Maniac non è una serie semplice. L’ho capito dal fatto che ho concluso la visione già da qualche giorno e ancora non sono riuscita a capire se l’ho adorata o se mi ha profondamente delusa.
Ho preferito, prima di esprimere un’opinione, prendermi qualche giorno per assimilare ed elaborare quello che ho visto, per cercare di comprendere meglio il complesso mosaico realizzato da Cary Fukunaga con questa serie. Un po’, in effetti, ci sono riuscita ma credo che Maniac sia uno di quei prodotti che non comprendi davvero mai fino in fondo.
Cary Fukunaga è l’ideatore, sceneggiatore e regista di questa miniserie disponibile dal 21 settembre scorso su Netflix ed è anche il motivo che mi ha inizialmente avvicinata alla visione: ho adorato la prima stagione di True Detective, i ritmi, la profondità, la costruzione della storia e delle immagini. Con lo stesso artefice dietro al progetto Maniac e con l’ambizioso obiettivo di fondere fantascienza e psicanalisi alla base, non potevo che essere incuriosita ed attratta.
E, in fin dei conti, non posso certo dire che la visione mi abbia delusa, semmai mi ha spiazzata: Maniac non è una serie semplice e, per comprenderla appieno, occorre approfondire almeno un po’ i temi della psicanalisi. Sicuramente, una seconda visione può aiutare a cogliere un maggior numero di dettagli e, probabilmente, permette di apprezzare di più il lavoro di Fukunaga, nel quale nulla è stato lasciato al caso e c’è stata una maniacale attenzione ai dettagli.
Maniac è un cubo di Rubik (senza spoiler: guardatela e capirete l’analogia), in cui ogni faccia presenta il suo disegno ma, allo stesso tempo, tutte concorrono a una visione di insieme; è una miniserie che va decodificata e “risolta” per poter regalare grandi emozioni.
Chi è appassionato di psicanalisi sicuramente riuscirà a cogliere immediatamente il ricorrere e il mescolarsi continuo dei punti cardine intorno cui ruota la serie, ma anche chi ama il grande cinema non resterà deluso (personalmente, ho notato citazioni di Shining e de Il Laureato, ma l’ambientazione futuristica mi ha ricordato più volte Blade Runner).
Il lavoro di Fukunaga è accurato, elegante, ambizioso e articolato: forse addirittura troppo e il risultato è una serie che lascia leggermente perplessi ma, allo stesso tempo, riesce a vivere di una sua identità, seppure di ardua decifrazione in alcuni punti.
Trama
Non è facile parlare della trama di Maniac senza incorrere in spoiler, tanto è intricata la matassa di connessioni all’interno della vicenda.
Senza rovinare la sorpresa, posso dirvi che i due sconosciuti Annie Landsberg e Owen Milgrim, ognuno per i suoi motivi personali, legati ad un passato traumatico, decidono di prendere parte alla sperimentazione di un nuovo farmaco. Non tutto, però, sembra andare secondo i piani.
Cast
Se la storia si rivela fin troppo complessa per riuscire a convincere pienamente, l’aspetto più riuscito di Maniac è senza dubbio rappresentato dal cast. A partire dai due protagonisti: Emma Stone e un irriconoscibile Jonah Hill non solo riescono a dare vita perfettamente ai due tormentati protagonisti, ma riescono a calarsi con altrettanta naturalezza e credibilità nelle variegate incarnazioni che via via si susseguono negli episodi, contribuendo in maniera incisiva alla riuscita della serie.
Tra i comprimari, da sottolineare l’interpretazione di Justin Theroux, sopra le righe senza eccedere come si addice al suo personaggio, e quella dei due “mostri sacri” Gabriel Byrne e Sally Field.
In conclusione
Mi sento di definire Maniac un po’ come il progetto farmaceutico al centro della sua narrazione: un esperimento ambizioso e visionario, forse eccessivo, che è ancora presto per decidere se sia riuscito o miseramente fallito.
Sicuramente è una visione che non può lasciare indifferenti, che sceglie coraggiosamente un argomento difficile e poco televisivo e lo sviluppa senza sensazionalismi. Elegante e formalmente accurata, la miniserie risulta in alcuni punti forse un po’ troppo macchinosa ma vive di un indubbio fascino, non solo visivo ma anche narrativo.
Particolarmente gustoso, comunque, il gioco di rimandi all’interno dei vari episodi: sicuramente una seconda visione, da questo punto di vista, può regalare ancora maggiori emozioni.
Nel complesso è una serie che consiglio, anche se non a tutti: di difficile comprensione, va vista nella giusta disposizione d’animo perché, a seconda del momento in cui la guarderete, potrà farvi schifo o farvi innamorare.
Nerdando in breve
Maniac è un esperimento ambizioso, complesso e non sempre al top. Non è una visione in grado di convincere tutti indiscriminatamente, ma ha un indubbio fascino.
Nerdandometro: [usr 3.2]
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