Videogames

Into the breach – Viaggi nel tempo, mostri e robottoni

Potrei iniziare questo articolo in due modi.

Ad esempio, potrei chiedervi, proprio per attirare immediatamente la vostra attenzione, se vi è piaciuto Pacific Rim e se le botte da orbi tra mostroni alieni e robottoni umani vi eccita oltremodo.

In tal caso, continuate a leggere, perché qui c’è roba che potrebbe sconfinferarvi.

Il secondo modo, un po’ più istituzionale, parte dal chiedervi se vi ricordate di un bellissimo titolo indie di qualche anno fa, tale FTL – Faster than light, una piccola droga digitale: sappiate che Into the breach è il secondo lavoro dello stesso team, che ha nome Subset Games ed è composto da ben due – ripeto, due – persone (Matthew Davis e Justin Ma, per la cronaca).

Dato l’incredibile successo di FTL, che uscì quasi all’alba della meravigliosa invasione indie sul mercato videoludico, questo nuovo gioco era atteso con grandi speranze, ovviamente.

Quindi, se con FTL ci avete passato dell’ottimo tempo, rimanete con noi perché anche in questo caso abbiamo tra le mani qualcosa di molto interessante.

Recensione

Io confesso che non sapevo che i Subset Games (che ringraziamo per averci fornito il materiale per la recensione) fossero al lavoro su un nuovo titolo, ma sapendo quanto tempo ho perso con la loro opera prima e quante maledizioni gli ho tirato appresso, non potevo che esser quantomeno curioso di cosa avrebbero tirato fuori questa volta.

Saputo poi che si trattava di un tattico a turni, l’acquolina è salita oltre il livello di guardia.

Valeva l’hype?

Scopriamolo insieme.

Trama

Un roguelike con robottoni che picchiano alieni ha davvero bisogno di una trama per essere vincente?

Ma soprattutto, quanto ha bisogno di essere interessante quell’eventuale trama, con una premessa del genere?

Ecco, fermiamoci un momento su quest’aspetto: Into the breach è un rogue-like (ovvero, una volta che muori sei morto e basta), basato sostanzialmente su una serie di scontri tattici.

Si poteva scegliere di narrare una storia, mettendo al centro la narrazione della vicenda e asservirvi il gameplay, oppure scegliere un modesto pretesto per ambientare il tutto.

La scelta di Subset Games è stata quella di convocare sua maestà Chris Avellone (vi dicono nulla Fallout e Planescape: Torment?) per scrivere la trama di Into the breach: quello che ne è venuto fuori è apparentemente un collante per le nostre battaglie ma in realtà risulta molto più profondo di quanto non richiesto.

Il menù principale mostra un mech intento ad osservare le rovine fumanti di una terra ormai senza speranza, ridotta in macerie dall’invasore, un collettivo di mostri alieni noto come The Vek.

Ad un certo punto, una comunicazione radio: “Apri una breccia”. Spaziotemporale, s’intende. Si torna indietro nel tempo per tentare di rimediare a questa fine spaventosa.

Perciò si viene a scoprire che siamo viaggiatori del tempo con una squadra di soldati d’élite, che deve scongiurare la fine del mondo. Hai detto nulla.

Ogni fallimento nella campagna provocherà la fine del mondo perché gli invasori l’avranno vinta, ma non potremo demordere: tornare indietro nel tempo ci permetterà di provare ancora ed ancora a salvare il nostro pianeta.

Quindi roguelike si, ma con un pretesto.

Semplice e geniale.

A rimarcare ancor meglio questo filo sottile che unirà i nostri tentativi, ogni volta che falliremo e ci toccherà ricominciare potremo portare con noi uno dei tre piloti, con tutta la sua esperienza e le sue abilità accumulate, per poterlo schierare di nuovo in campo nella nuova campagna.

Inoltre, per dare un tono drammatico all’invasione, avremo sul groppone la responsabilità pesante di essere i custodi delle vite di migliaia di abitanti delle città invase: anche questo aspetto è legato a doppio filo ad una delle meccaniche di cui parleremo nel prossimo capitolo.

Pensate alla differenza che intercorre tra Pacific Rim e Edge of Tomorrow, il film con Tom Cruise in cui un soldato impegnato a combattere invasori alieni al momento della morte si risvegliava all’inizio della giornata, per riviverla da capo.

Ecco, se ci pensate la tematica di fondo è stata affrontata in due modi completamente differenti, e non è un mistero che io preferisca immensamente il secondo.

Gameplay

Il gameplay di Into the breach è definibile con due splendidi aggettivi: semplice e profondo.

Sto ripetendo semplice un po’ troppe volte, lo so, ma non è affatto vero che semplice si traduca in mediocre, anzi.

Scelta la nostra squadra di tre mech (questo quando le avremo sbloccate terminando una partita, all’inizio disporremo soltanto di una squadra), saremo trasportati sulla prima isola da affrontare: il nostro mondo ha fatto una brutta fine ancor prima dell’arrivo dei Vek, evidentemente. essendoci solo 4 isole da affrontare per salvare il mondo.

Le isole sono sempre le stesse, con quattro ecosistemi differenti, e divise in 8 settori, ciascuno dei quali corrisponde ad una battaglia da affrontare: la generazione di tali settori, dei campi di battaglia, degli obiettivi di missione e delle ricompense è gestita in modo procedurale, quindi ogni partita sarà assolutamente differente dalla precedente.

Dopo una mini introduzione, dovremo scegliere da quale settore dell’isola iniziare la liberazione: a disposizione avremo un mini briefing che ci informerà degli obiettivi opzionali da portare a termine che, se completati, ci daranno accesso a ricompense di tre diverse tipologie.

La mappa di selezione missione, con il briefing e gli obiettivi di missione.

L’obiettivo principale di tutte le battaglie sarà quella di proteggere il Power Grid, ovvero la griglia energetica che dà energia ai mech: essa è formata dagli edifici civili presenti nelle mappe. Ogni volta che i Vek riusciranno a distruggere un edificio, moriranno delle persone e saremo un passo più vicini alla sconfitta.

Se l’indicatore di Power Grid finirà a zero, la partita sarà terminata e ci toccherà tornare indietro nel tempo per tentare di salvare un’altra linea temporale.

Leggasi, si ricomincia la partita da capo, d’altronde è un rogue-like.

La scelta del settore dove combattere è importantissima in virtù delle ricompense. Tutti e tre i tipi di ricompense ottenibili saranno estremamente desiderabili: i punti Reputazione servono per acquistare miglioramenti dei mech al termine di un’isola, i punti Power Grid servono per ripristinare l’indicatore energetico che, come detto in precedenza, è quello che se finisce a zero ci porta a sconfitta immediata, e i Reactor Core, moduli da installare sui mech per farli migliorare ed evolvere.

La scelta è complicata perché una volta affrontate 4 battaglie (su 7 disponibili), saremo costretti ad affrontare una battaglia finale dopo la quale quell’isola si considererà conclusa.

Coperta cortissima, come piace a noi.

Andiamo dunque a sporcarci le mani di sangue: il campo di battaglia è costituito da una mappa divisa in 64 quadrati (8×8, esattamente come una scacchiera), che conterrà anche gli edifici, le montagne, eventuali fiumi, mare, foreste, eccetera.

Schierati i mech, schierati i Vek, si comincia con le botte.

Lo schieramento dei nostri mech sulla mappa.

Ciascuno dei 3 mech corrisponde ad una diversa categoria di esoscheletro ed è in grado di muoversi ed attaccare in modo differente dagli altri due: se vi ricorda gli scacchi, sappiate che lo ricorda anche a me, e anche in giro per internet il paragone è uscito fuori molte volte. Lo ricorda perché è sostanzialmente la differenza che intercorre tra i pezzi degli scacchi: l’alfiere muove in un modo, la torre in un altro, e così via.

Vi faccio un esempio: la prima squadra utilizzabile è composta da un mech che attacca in mischia (cazzottoni!!!), un altro che attacca nelle direzioni orizzontale e verticale ed un altro che può colpire solo a distanza. Vi sembra poco?

Si muove, si attacca: 2 sono le mosse possibili ad ogni turno, oltre ad una terza possibilità, quella di perdere il turno per ripararsi.

Volete sapere qual è l’aspetto che rende secondo me Into the breach geniale?

Il fatto che quando i Vek si muoveranno, voi saprete esattamente come e dove attaccheranno al turno successivo, e dovrete sfruttare questa conoscenza per correre ai ripari.

Durante il nostro turno possiamo vedere dove i Vek attaccheranno e dove ne arriveranno altri al turno successivo. Spoiler: alcune di quelle montagne crolleranno quando il nostro mech che tira i cazzottoni prenderà un grosso insetto a schiaffi sul muso.

Un mostrone minaccia un palazzo? Dovrete fare in modo di spostare quel mostrone, o di ucciderlo prima. O ancora meglio, di spostarlo in modo che quello stesso attacco infligga danni ad un suo pari.

Un colpo d’artiglieria da voi sparato potrebbe uccidere due mostri, ma al contempo distruggere un palazzo. Che fate?

Un vostro mech piazzato nella linea di fuoco potrebbe salvare un palazzo o permettere la conquista di un obiettivo secondario, costando la perdita del mech e del pilota (magari anche con skill particolari). Che fate?

Ogni mossa è fondamentale, ogni scelta un macigno che può definire il confine tra la vittoria e la sconfitta.

Un gioco di estremo tatticismo, nervi tesi e previsione delle mosse, ma anche molto rapido: solo 4 turni per terminare la battaglia. Vi sembra risicato? Lo è, ma è anche dannatamente divertente. Più turni sarebbe stato lesivo per la tensione che si genera in ogni maledetta battaglia.

Non vorrei aver scatenato un allarme di noia in tutti coloro che reputano gli scacchi un gioco troppo lento (anche se non sapete cosa vi perdete, de gustibus), ma vi assicuro che qui non mancano imprevisti che mandano all’aria tutto, montagne che crollano e momenti di esitazione nel premere il pulsante di fine turno. I nemici non sono così stupidi sapete? Il livello di difficoltà normale è bello tosto e anche quello “easy” non scherza mica.

Tutt’altro che lento, tutt’altro che noioso, un potenziale titolo da “un altro turno e poi smetto”, fino a giungere al proverbiale chiaror dell’alba fuori dalla finestra.

Gente, Into the breach mi ha conquistato sin dalla prima battaglia e continuo a pensarci anche mentre lavoro.

Molto male per me, molto bene per il gioco.

Grafica e sonoro

In perfetta continuità con il loro precedente titolo, Subset Games ha optato per una bellissima pixel art, essenziale ma molto fascinosa: l’aspetto è pulito ed elegante, ravvivato dagli intermezzi dialogati disegnati in stile fumetto (come potete vedere anche negli screenshot decorativi dell’articolo).

Dal punto di vista sonoro, apprezzabile è la colonna sonora ad opera di Ben Prunty, che trasporta il giocatore nel vivo della lotta e del dramma dell’invasione, donando al contempo la giusta carica per le botte da orbi che si vedranno a schermo.

Conclusioni

Into the breach è, senza mezzi termini, un titolo incredibile.

Alla loro seconda prova i Subset Games fanno di nuovo centro, regalandoci un’altra droga digitale che porta una ventata d’aria fresca nel mondo dei rogue-like: semplice, profondo, intrigante, ci scommetto quello che volete che piacerà anche a quel vostro amico che dice “No, guarda, io i giochi a turni li odio”.
Certo, certo.

Into the breach è disponibile su Steam, GOG.com, Humble Bundle e tanti altri siti al prezzo di 14.99. Stavolta vi potete fidare, non ve ne pentirete.


Nerdando in breve

Into the breach è un piccolo grande gioiellino: semplice da imparare, tosto da padroneggiare, difficilissimo da smettere di giocare.

Promosso a pienissimi voti.

Nerdandometro: [usr 4.5]

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