Dopo mesi di sofferenza, abbiamo potuto finalmente gustare al cinema il nuovo episodio della saga di Star Wars e avete potuto leggere nel nostro articolo quanto io fossi eccitato da un evento del genere.
Guerre Stellari fa parte della mia vita da quasi 20 anni, ed essendo stato, soprattutto in adolescenza, un mega fan da praticamente subito, ho spaziato sui vari media per godere più che potevo dell’universo creato da Zio George.
Ovviamente non ho tralasciato i videogiochi, e ci mancherebbe: ne sono usciti davvero di tutti i gusti e i generi durante gli anni, e oggi voglio parlarvi non di un singolo titolo ma addirittura di una saga… nella saga, quella di Jedi Knight.
Nel 1995 uscì, sull’onda lunga del successo dei primi FPS (Duke Nukem, Doom e Hexen andavano davvero fortissimi), Star Wars: Dark Forces, che all’uscita fu erroneamente bollato come un semplice clone di Doom, ignorando le innovazioni che portò al genere degli sparatutto in prima persona, in primis una trama “forte” che legava le missioni, e un motore grafico (chiamato Jedi Engine) che portava la possibilità di alzare ed abbassare lo sguardo, ed effetti come la nebbia ed i livelli multipiano. In cotanta cubettosa magnificenza, impersonavamo Kyle Katarn, un ex-agente imperiale convertitosi alla causa dell’Alleanza Ribelle.
Grazie all’ottimo successo di Dark Forces, ritroviamo il buon Kyle due anni dopo, nel dicembre del 1997, nell’atteso sequel, Star Wars: Dark Forces II – Jedi Knight.
Eh sì, quel titolo gasa fortemente ed è proprio da lì che parte la saga di cui parliamo oggi.
Sostanzialmente il genere è ancora quello degli FPS, ma la grande, grandissima novità che ci regalano gli sviluppatori è farci scoprire che in realtà Kyle può usare la Forza. Ebbene sì: a dirlo pare facile, ma in termini di gioco ciò significa che per la prima volta potevamo impersonare seriamente un jedi, con spada laser e poteri, attraverso una trama molto bella e meravigliosamente raccontata con cut-scene girate con attori reali, che ci portava, un anno dopo la fine dell’Impero, alla ricerca dell’uccisore di nostro padre e della leggendaria Valle dei Jedi. Non potete immaginare cosa significò per il piccolo padawan che era in me una cosa del genere. Mi pareva di essermi meritato un nuovo film di Guerre Stellari, ben due anni prima di Jar Jar Binks.
Il motore grafico, il Sith Engine, era finalmente pensato per le schede acceleratrici, e potevamo persino scegliere tra il lato oscuro e il lato chiaro della Forza in base alle azioni compiute nel gioco (questo è un elemento che diventerà canonico per la serie).
Giocai e rigiocai la demo allo sfinimento, non potendomi permettere l’acquisto fino ad almeno quattro anni dopo. Intanto era anche uscito un pacchetto d’espansione (no niente DLC allora, solo roba sostanziosa ed inscatolata), intitolato Mysteries of the Sith, ed era stato annunciato un seguito, sulle cui immagini ed articoli d’anteprima sbavavo ogni santo mese. Ah, in Mysteries of the Sith Kyle passava al lato Oscuro, e noi impersonavamo nientepopodimeno che Mara Jade, che nell’Expanded Universe è la futura moglie di Luca Cavalcacieli. Era. Ora è arrivato JJ, e aspettiamo di capire cosa ne è stato del buon Luke.
Era il 2002, e finalmente, proprio a ridosso del mio esame di stato, LucasArts pubblicò Jedi Knight II: Jedi Outcast, sviluppato da Raven e costruito grazie al potente (per l’epoca) motore grafico di Quake III: Arena. Il protagonista era sempre il buon Kyle, che si trovava nella condizione iniziale di dover recuperare i suoi poteri e la sua spada, abbandonati dopo la redenzione dal lato Oscuro. Dopo i primi livelli da FPS classico, succedeva una roba grossa: ci riprendevamo la nostra spada laser, e il gioco da bello diventava semplicemente leggendario. Da quel momento in poi, fino alla fine, non ho più utilizzato mezza arma da fuoco, perché ero un cavolo di Jedi, e i Jedi non sanno che farsene di rozzi ed erratici fulminatori, né della prospettiva in prima persona.
Non so se si evince, ma questo è il mio titolo preferito della serie, e tuttora quando sento citarlo (molto poco in realtà) o me ne ricordo, mi sovviene il gasamento assoluto provato giocandolo.
La storia, che ci faceva persino visitare la Cloud City di Lando Calrissian e l’Accademia Jedi su Yavin IV, si chiudeva con un finale che faceva presagire una nuova fase nella vita del caro Kyle, e che la serie non si sarebbe conclusa lì.
E infatti un anno dopo, quasi come fosse un presagio, finita la sessione d’esame settembrina, sugli scaffali trovai Jedi Knight: Jedi Academy, ultimo (per ora) capitolo della saga. Impersonavamo non più Kyle, ma un suo allievo/protetto all’Accademia Jedi: un pretesto per permetterci di personalizzare maggiormente il personaggio, e darci la possibilità di provare un sistema di duello con la spada più avanzato del predecessore, essendo il gioco molto più focalizzato sui combattimenti. Un livello non me lo dimenticherò mai: c’era un dannato Rancor da sconfiggere. Un Rancor ENORME, in uno spazio ristretto. Che sudata. Poi non parliamo del multiplayer, che in LAN Party assumeva contorni epici, e lì altro che Codice Jedi.
Non so se la scomparsa della LucasArts significhi che questa saga nella saga debba essere abbandonata per sempre, ma io fossi nella Disney la rispolvererei eccome: non ci sarà mai nulla di figo quanto essere un Jedi, e falciare a colpi di spada laser e spinta di forza orde di Stormtrooper, e eventualmente scegliere di diventare un nuovo Darth. Ah già, Kyle Katarn ora non sarà sicuramente “canonico”. Uff.
Qualcuno di voi mi starà sicuramente ricordando, con il suo ditino saccente puntato contro, che negli ultimi cinque anni è uscita un’altra saga, denominata “The Force Unleashed” che permette di vivere bene o male ciò che ho scritto nell’articolo. Forse, ma The Force Unleashed è tamarro, è il Jedi burino, quello caciarone che entra e giù schiaffi, lamiere, uomini volanti, esplosioni e mortiuccisi. Divertentissimo, e qui siamo tutti d’accordo, ma Jedi Knight era proprio un altro livello.
In sostanza, #RidateciKyle.