Ecco, ora che mi sono tolto questo peso, vi spiego pure perché ho usato quel termine, “maturo”, che all’uomo comune sembrerà stridere con la dicitura “film d’animazione della Disney/Pixar”.
Spero che i lettori di questo sito siano immuni alla classica associazione “Film d’animazione = Film per bambini”, perciò lo do per scontato (che lo so, siete personcine intelligenti) e vado avanti.
Io adoro la Pixar, tanto che ogni volta che al cinema esce una sua nuova pellicola mi ci fiondo per gustarmela: sono praticamente sicuro che non mi deluderà.
Anche Inside Out rispetta questo canone, ma stavolta la sensazione, dopo i titoli di coda, è stata un po’ diversa. Alla consapevolezza di aver assistito all’ennesimo capolavoro partorito dai geni dello studio californiano, si è unita in sottofondo, come eco distante che risuona nell’anima, una sensazione di malinconia e consapevolezza.
Dite che sono esagerato? D’altronde le opere migliori sono proprio quelle che sotto sotto ti smuovono qualcosa, come un piede nel mare con il fondale sabbioso.
Inside Out parla di crescita, di emozioni, della potenza con cui certi avvenimenti, inevitabili, inattesi, indesiderati, si abbattano sulla nostra vita, e ce la cambino per sempre. Ancor peggio se ciò avviene quando ci troviamo proprio in quella età meravigliosa e schifosa al tempo stesso in cui non si sa quale ibrido strano di adulto e bambino siamo e in cui, appunto, la nostra personalità è una melma primordiale dalla quale può scaturire qualunque cosa.
La costruzione del mondo della mente di una bambina è semplicemente geniale, ed è reso in modo tale da non scontentare nessuno: i più piccoli vedranno un mondo colorato e favoloso, gli psicologi e gli addetti ai lavori riconosceranno chicche e citazioni in ogni angolo (Minnesota anyone?), i grandi capiranno al volo che sì, la mente non è fatta esattamente così, ma cavolo, se lo fosse sarebbe dannatamente plausibile. I personaggi sono perfetti, con Gioia e Tristezza che la fanno (giustamente) da padrone: il passaggio tra la fanciullezza ed un’età di maggior consapevolezza è reso in modo talmente efficace che meglio non si poteva; rendere l’idea del funzionamento di un meccanismo complesso come la mente umana non è facile, e sicuramente Pixar non è la prima a provarci, ma di sicuro lo fa in modo semplice e accattivante, ma oggettivamente anche molto profondo. In particolar modo le isole della personalità mi sono piaciute moltissimo, così come l’antro delle nostre paure più recondite, altrimenti noto come subconscio, e gli studi cinematografici di produzione sogni.
Vorrò rivederlo tante volte questo film, per notarne le sfumature e gustare anche i piccoli dettagli, come le locandine raffiguranti i sogni ricorrenti, la parte del pensiero astratto, i momenti in cui si ride di gusto (la sezione dei titoli di coda è da Oscar).
Inside Out è un film sui valori, sulle pietre fondanti del nostro essere, su quello che mai ci aspetteremmo possa accadere nella mente di un bambino. Sì, ci sono i pupazzi buffi, ci sono le gag, ci sono i momenti più tristi, come da canone dei film d’animazione occidentali: ma sono incastrati e costruiti in maniera talmente intelligente ed efficace che questo film ti colpisce quando meno te lo aspetti e, non lasciando nulla al caso, si presta a moltissimi livelli di lettura. Io non sono proprio per nulla un critico cinematografico, ma parlo di quello che ho potuto percepire: ho riso, mi sono intristito, e alla fine ero a bocca aperta. Siamo tutti un po’ Riley, e lo siamo stati: quanto è stato duro, e quanto lo è tuttora, accorgerci di aver lasciato molto indietro, dimenticato, quello che un tempo credevamo fondamentale ed irrinunciabile? Sono contento che Pixar abbia scelto una ragazzina come coprotagonista, perché a mio avviso rende molto meglio la complessità di una età così delicata: d’altronde anche loro si sono resi conto che i maschi rimangono bietoloni per qualche anno in più rispetto alle ragazze (o anche per sempre).
Un articolo che ho letto qualche giorno fa si chiedeva se paradossalmente questo Inside Out fosse un film pensato più per i genitori, piuttosto che per i figli, che forse non riescono ad apprezzarlo completamente, se non ad un livello molto molto base. E dopo aver visto le lacrime di una ventottenne molto sensibile, e aver sentito di un bambino, anch’egli molto sensibile, uscire impaurito e confuso per il terrore che quegli sconvolgimenti prima o poi sarebbero toccati anche a lui, non posso che dargli ragione.
Allora, li sdoganiamo questi premi del cinema che conta anche per l’animazione, o vogliamo continuare a far finta che sia sempre cinema di serie B?
Andate a vedere Inside Out, qualsiasi età voi abbiate, perché sono certo che saprà smuovervi qualcosa: che sia nostalgia, affetto verso la vostra famiglia, consapevolezza della fragilità e della delicatezza dell’età di vostro figlio.