Per gli appassionati di fantascienza e di videogiochi esiste un titolo che rappresenta il sancta sanctorum… un gioco che ha dato corpo e anima a tutto ciò che di più sacro esiste per questa doppia categoria di nerd.
Era il 1993 e, tanto su Amiga500 che su PC, approda sugli scaffali Frontier: Elite II.
Come dice il nome stesso, è il seguito di Elite, e rappresenta la simulazione definitiva di… beh, di Universo.
Un Universo in cui abbiamo a disposizione un’astronave e possiamo decidere di fare… tutto. Non c’è trama, non c’è storia. Siamo noi e le possibilità che centinaia di sistemi solari colonizzati possono darci.
Si cominciava con un po’ di commercio, andando a comprare beni di prima necessità su una stella vicina e portandoli sulle colonie nel sistema Solare. Poi viceversa. E così via, finché non avevamo guadagnato abbastanza da potenziare la nostra nave, magari comprando un paio di laser belli potenti, pronti ad imbarcarci in qualche avventura più pericolosa.
Volete fare traffico di beni illegali al mercato nero? Si può, ma occhio alla polizia perché finirà a laserate.
Volete trasportare un diplomatico da un pianeta all’altro? Si può, ma pronti al possibile attacco dei terroristi.
Volete diventare pirati? Si può: comprate una bella nave con grande stiva e armi potenti e sotto a massacrare i commercianti.
Volete invece diventare cacciatori di teste? Si può.
Volete allearvi con l’Impero? Si può. Oppure con la Federazione? Si può.
E poi c’è corruzione, battaglie epiche tra le stelle, voli nell’iperspazio e sistemi solari senza il controllo delle autorità dove fare affari loschi e remunerativi.
Ogni sistema era corredato di tutte le informazioni necessarie: distanza, costo in carburante, governo, politica, beni richiesti e venduti, missioni da fare… Il giocatore doveva studiare, imparare ad equilibrare domanda ed offerta, farsi i propri calcoli sul costo del carburante, l’eliminazione delle scorie, la forza nemici, e chi più ne ha, ne metta…
Nessuna fine prestabilita, nessun obiettivo. Si poteva giocare all’infinito anche solo saltando di sistema in sistema, alla ricerca di mondi lontani ed esotici…
A tutto questo si affiancava la fisica, quella vera che si studia a scuola; il volo nello spazio si basava sulla fisica newtoniana: per fermare la nave, il momento doveva essere neutralizzato con un’accelerazione in direzione opposta; modificare la direzione della nave non influiva sul moto lineare (un po’ come mostrato in Battlestar Galactica); inoltre era possibile sfruttare la fionda gravitazionale per risparmiare un po’ di carburante e guadagnare velocità.
Sebbene molti dei pianeti fossero ovviamente frutto della fantasia, era possibile visitare moltissime stelle realemente esistenti, dalle più vicine (come Sirio e Altair) alle più lontane (come Antares, Betelgeuse e Polaris).
Una curiosità: quanto pesava questo gioco?
Un floppy, signori. Solo un floppy. Ed erano compresi grafica 3d, musiche classiche per accompagnare i voli nell’iperspazio ed un diploma di asociale del secolo…