È stato il fenomeno televisivo degli ultimi anni, ha tenuto incollati allo schermo milioni di telespettatori, ha fatto il pieno di riconoscimenti ed è riuscito a rendere la chimica improvvisamente cool: sì, stiamo parlando di “Breaking Bad”. La serie televisiva creata da Vince Gilligan e trasmessa dal 2008 al 2013 ha fatto impazzire davvero tutti durante le cinque stagioni che l’hanno composta. E io sono tra quelle pochissime persone che non l’avevano vista.
Ebbene sì, nonostante il clamore che la serie aveva suscitato durante quei cinque anni, a me era sfuggita. Un po’ perché guardavo già moltissimi titoli e non avevo voglia di aggiungerne ancora, un po’ perché ne ho sentito parlare solo quando ormai era già alla terza o quarta stagione, ho preferito rimandare sempre la visione. In realtà l’argomento mi incuriosiva molto: un placido professore di chimica che, scoperto di essere affetto da un cancro ai polmoni, si trasforma gradualmente in uno spietato produttore di metanfetamine. Come si può non essere attratti da una trama così? Eppure, la pigrizia ha prevalso fino a qualche giorno fa quando, dopo rinvii e buoni propositi di recuperare una delle pietre miliari della televisione degli ultimi anni, mi sono finalmente decisa ad iniziare.
Incredibilmente, nonostante nel periodo della messa in onda non si parlasse d’altro ed io non avessi fatto nessuno sforzo per evitare eventuali indiscrezioni, sono rimasta finora all’oscuro di qualunque informazioni riguardante “Breaking Bad”, ho dribblato spoiler e commenti ed ho quindi iniziato la mia avventura da telespettatrice senza preconcetti di sorta, come se fossi tornata indietro nel tempo al lontano 2008 e “Breaking Bad” fosse l’ultima novità televisiva. Per questa ragione, posso darvi uno spassionatissimo parere in “diretta postuma”, legato alle mie impressioni e sensazioni a scatola chiusa, che si formano man mano che procedo nella visione e mi addentro nei meandri della serie.
Ho iniziato a guardare gli episodi solamente nell’ultima settimana ma, come forse per qualcuno era prevedibile, “Breaking Bad” mi ha già conquistata, tanto da portarmi a concludere le prime due stagioni nel giro di pochi giorni. Sono partita scettica: l’idea di guardare cinque stagioni di un telefilm già concluso non mi allettava poi molto. Però avevo accumulato troppi pareri positivi per non tentare l’impresa, era arrivato il momento di farmi un’opinione personale al riguardo. La maggior parte delle persone che mi avevano consigliato la serie era concorde nell’affermare che la prima stagione è la più “lenta” e la meno avvincente. Tutti mi dicevano “la prima stagione ti scoraggerà, è un po’ noiosa. Ma tieni duro, perché poi la storia diventa fighissima!” Eppure, a me le 7 puntate introduttive sono piaciute, il ritmo è stato molto più serrato di quanto mi sarei potuta aspettare e non mi sono annoiata per niente. Ad avermi convinta di più, finora, è sicuramente la storia originale ed innovativa (se contestualizzata al 2008, prima cioè della miriade di prodotti ispirati, più o meno direttamente, a “Breaking Bad”. Un esempio su tutti? “Smetto quando voglio”) ma non solo. Il ritmo narrativo incuriosisce ed avvince, si fa seguire senza (per ora) momenti di stanca, tipici e legati alla natura stessa della serialità dei prodotti televisivi. In particolare, la commistione di dramma e di una tematica più che mai seria con una componente più divertente e leggera, talvolta surreale, funziona benissimo. Almeno all’inizio, i protagonisti si addentrano in un mondo che non è il loro e di cui non conoscono le regole e le dinamiche (la situazione cambierà, con il procedere della storia, a quanto mi dicono. E le premesse al cambiamento, in effetti, si notano già al punto in cui mi trovo). Gli effetti del loro interagire con questa nuova realtà, non tardano a manifestarsi, talvolta in modo estremamente pericoloso, altre volte in chiave quasi grottesca. I personaggi sono tutti ben caratterizzati ed estremamente coerenti e funzionali alla storia raccontata. Il Walter White di Bryan Cranston è diventato, giustamente, un’icona ed ammetto che assistere alla sua metamorfosi dal timido signor White al temibile Heisenberg è meraviglioso. L’attore che era famoso per il ruolo, decisamente diverso da quello ricoperto in “Breaking Bad” del padre di Malcolm nell’omonima serie tv e che, per questa ragione, aveva lasciato notevolmente perplessi i produttori, ha saputo superarsi. La sua recitazione è perfetta e realistica, il suo protagonista inappuntabile: oggi, la sua fama è indissolubilmente legata al personaggio di Walter White. Ma è tutto il cast a funzionare, grazie alla bravura degli interpreti e a personaggi ben delineati e “veri”. Il mio preferito, al momento, è Jesse Pinkman, l’improbabile socio di Heisenberg, ma ho apprezzato molto anche Tuco e mi aspetto molto da Hank, il cognato di Walter, e dal nuovo (per me) personaggio dell’avvocato Saul Goodman (a proposito, state guardando “Better Call Saul”? Noi sì, e presto vi daremo il nostro parere).
In conclusione, le prime due stagioni hanno saputo conquistarmi e convincermi a macinare velocemente il resto della serie. Appena sarò arrivata alla fine, esprimerò il mio parere complessivo. Nel frattempo, una piccola precisazione: qualche rigo più su ero sincera, davvero non so come va a finire “Breaking Bad”. Perciò evitate spoiler, per favore.