Anno Domini 1997. Un anno importante per i nerd appassionati di fantascienza e videogiochi. L’anno del connubio. L’anno in cui uno dei più bei film mai realizzati, Blade Runner (la prima versione, quella con la voce narrante di Harrison Ford) diventa un videogioco.
Ricordo con precisione i mesi di attesa, le anteprime e i rumors che si rincorrevano (all’epoca internet era poco più che un miraggio) e le infinite discussioni nel gruppo di amici dove anche i meno nerd ed i meno malati di videogames aspettavano con ansia di mettere le mani su quello che si attendeva come il gioco definitivo.
A conti fatti, Blade Runner detiene ancora il mio record personale di scardinamascella: ho perso il conto del numero di volte in cui ho dovuta raccoglierla da terra… però ricordo perfettamente la prima. Quando il protagonista, Ray McCoy, si sveglia durante il cinematic iniziale e inizia la voce narrante… non una volce qualsiasi… la voce italia di Harrison Ford: Michele Gammino, signore assoluto del doppiaggio italiano subito dopo Carlo Valli (la voce di Robin Williams).
Blade Runner non era un gioco banale: si trattava di una via di mezzo tra avventura grafica, poliziesco investigativo e shooter in terza persona. Inoltre le nostre scelte (salviamo o ritiriamo quel particolare “lavoro in pelle”? Cerchiamo indizi qui o inseguiamo quell’androide? Lasciamo parlare o spariamo in testa?) determinavano l’esplorazione di diversi rami dell’avventura, modificado le relazioni coi personaggi e accedendo a porzioni di gioco che con scelte differenti ci erano precluse.
Il gioco poteva esser svolto senza sparare un colpo, investigando e scoprendo le personalità dei replicanti, fino ad indagare le profondità della propria anima e scoprire di essere un replicante a propria volta (come nel film); oppure si poteva girare col ferro sempre in mano, macellando ogni forma di vita non-umana e dando sfogo alla propria indole razzista e androido-fobica… Tutta l’avventura era permeata dal senso di dubbio etico, ogni decisione presa lasciava il dubbio di trovarsi sulla retta via o di essersi fatti trasportare troppo dalle emozioni: gli androidi meritano una possibilità, come gli uomini? E anche se fosse: sono tutti davvero buoni?
Come accennato, il gioco mette a disposizione numerosi percorsi diversi e prevede sei differenti finali (da quello più romantico a quello più sovversivo), garantendo un’ottima rigiocabilità, dovuta anche ad una componente di casualità sottratta alle nostre decisioni. Ma la grandiosità di questo titolo era nell’atmosfera che si respirava dal primo all’ultimo minuto: l’oppressione della megalopoli, il sovraffollamento, l’inquinamento, la pioggia scrosciante… tutti elementi che hanno reso il film il capolavoro che è e che son stati riproposti nel gioco.
Ad impreziosire l’esperienza di gioco, poi, fanno capolino un altissimo numero di citazioni dal film: personaggi come Rachel, Sebastian, Leon e Gaff (che nella pellicola era interpretato da Edward James Olmos – l’ammiraglio Adamo di Battlestar Galactica) compaiono durante lo svolgimento della trama, e con molti di loro si poteva interagire (assistiamo ad esempio alla litigata per le foto di Leon, nell’albergo in cui poi indagherà Dekar durante il film). Allo stesso modo le ambientazioni, come la casa di Sebastian con i suoi giochi grotteschi, o Chinatown con la sua folla soffocante, ci fanno calare nella realtà distopica dipinta magistralmente da Ridley Scott.
E chicca, nella chicca, nella chicca… due cose che hanno fatto bagnare anche i più frigidi dei videogiocatori: la possibilità di eseguire il test Voigt-Kampff (con tanto di analisi pupillare) e l’utilizzo della macchina per analizzare in 3D le foto, con tanto di “Dammi una copia su carta di questo” quando troviamo un indizio (DA ORGASMO!).
Blade Runner, in conclusione, era un gioco da amaro in bocca: anche il finale “migliore” era permeato di nostalgia e amarezza… come la vita reale. Un vero capolavoro che vale la pena recuperare.