Se c’è una storia che tutti gli informatici conoscono, è quella di Alan Turing. Il padre di tutta l’informatica moderna e il padre putativo di ogni nerd che si rispetti. Sì, perché se è vero che ci sono molti amanti dello steampunk (come il sottoscritto) e delle macchine teorizzate da Charles Babbage (computer antesignani che vanno a vapore), tutti (ma proprio tutti) i nerd conoscono a chi devono l’esistenza della loro amata informatica, e della storia triste del primo informatico moderno.
Molti avranno sentito parlare dei test di Turing (nel caso contrario, preparatevi al pippone): due test molto semplici che, se superati, possono identificare inequivocamente una macchina come “intelligente” (o pensante, senziente… fate voi).
Il primo è che parlando con un interlocutore posto in un’altra stanza, non dobbiamo essere in grado di capire se stiamo parlando con un umano o con una macchina. Il secondo è che una macchina sia in grado di battere a scacchi un uomo.
Rasserenatevi, amanti di Siri e Cortana, non siamo neanche lontanamente vicini al superare il test di Turing: tutto quel che possiamo fare è creare un software (badate bene, software… non macchina/hardware) capace di capire cosa diciamo e dare risposte più o meno sensate… il tutto programmato a priori: non esiste la possibilità di uscire dallo schema e inventare una risposta non precedentemente ipotizzata dallo sviluppatore (anche il videogioco per Amiga Ullisprik, creato da un mio personale amico nel 1992, rispondeva “tu, tua madre e tua sorella” se lo insultavi).
Ma non c’è bisogno di andare a scomodare gli ultimi smartphone: i tentativi di chiacchierare con un PC risalgono agli anni ’80, dove un software di pochi Kb era in grado di fingere di essere uno psicanalista. Ma funzionava solo in inglese, dove la grammatica è minima, e con lo stratagemma dell’analista:
PC: come stai?
Umano: bene, ma ho litigato con mia moglie.
PC: davvero? parlami un po’ della tua famiglia…
Moglie – famiglia. Tutto qui. Associazioni di concetti pre-programmati e frasi ribaltate per sembrare domande.
Ma torniamo ad Alan Turing. Gli informatici lo conoscono per i suoi test, i nerd lo conoscono anche e soprattutto perché ha contribuito a far finire la seconda guerra mondiale, creando una macchina in grado di decriptare il famoso codice Enigma, usato dai nazisti per comunicare messaggi criptati al proprio esercito.
Alan Turing, matematico e crittografo, riuscì a concepire (anche se con l’aiuto di alcuni colleghi) una macchina che analizzasse le milioni di combinazioni possibili in tempi brevissimi e diede così un vantaggio tattico agli Alleati senza il quale la Seconda Guerra sarebbe potuta durare molto più a lungo e mietere molte più vittime. Senza Alan Turing è facile pensare che molti di noi non sarebbero qui a leggere questo articolo, ora.
Per tutta riconoscenza il governo inglese e l’MI6 (si, quello di James Bond) secretarono tutto l’operato di Turing fino agli anni ’70, e nel 1950, scoperto che era omosessuale, lo processò e condannò per “indecenza”. Potendo scegliere tra 2 anni di prigione e la castrazione chimica, Turing optò per quest’ultima… e dopo un anno di farmacoterapia che definire barbara è un eufemismo, optò per il suicidio ingerendo una mela aromatizzata al cianuro.
L’Inghilterra, tramite le parole di Gordon Brown, ha riabilitato la figura di Turing alcuni anni orsono.
Questa la storia, ora vediamo il film.
Da buon nerd ho appreso le vicende di Turing molto presto, e ho atteso per anni che venisse trasposta al cinema. Sono quindi entrato in sala con enormi aspettative e questo, normalmente, genera anche grandi delusioni.
A dar vita a Turing è Benedict Cumberbatch, attore britannico noto per il ruolo di protagonista nel serial Sherlcok e per quello di Khan nel reboot di Star Trek (oltre ad essere la voce originale di Smaug ne Lo Hobbit). L’impatto è notevole, fin dalla prima inquadratura il pensiero è stato: si, è lui. Perfetto con quell’espressione supponente e superiore, alienata dalla società come solo i matematici posso essere, asociale e allampanato… uno Sheldon formato maxi, ma nell’accezione migliore del termine.
Il film mostra tre linee temporali: Alan da ragazzo, al college, e la sua amicizia/amore con Christopher; Alan negli anni ’50 in una liberamente ispirata analisi del post guerra e della sua condanna per “indecenza”; Alan durante la guerra, la parte del leone, come e con quali difficoltà ha “crackato” Enigma. A spalleggiare Cumberbatch l’odiosa, bruttissima e come sempre bravissima Keira Knightley: nell’ennesimo ruolo da paladina della donna fuori dagli stereotipi che ragiona e lavora meglio degli uomini. Da segnalare anche Charles Dance: il vecchio Lannister de Il Trono di Spade, qui nel ruolo da ottuso piantagrane che si contrappone ai metodi alieni di Turing.
Le quasi due ore di film scorrono in un attimo, senza sosta, senza grandi colpi di scena o salti sulla poltrona, ma in un crescendo godibilissimo fino allo scioglimento dell’enigma, alla vittoria della guerra e alle lacrime finali degli spettatori.
Splendida anche la fotografia, mai sopra le righe, e la colonna sonora, che accompagnano e si mettono al servizio della storia e della narrazione, senza soffocarla. Perché in questo film le cose importanti sono solo due: l’uomo e la sua storia.
In conclusione, otto nomination agli Oscar non si prendono per caso… The imitation game è un film per tutti, non solo per informatici e addetti al settore. E non solo perché è narrato in modo comprensibile anche ai neofiti, ma anche e soprattutto perché è impensabile che in un mondo così permeato dall’informatica, esistano persone che non conoscono la favola triste di Alan Turing, e di come ha salvato le chiappe a tutti noi.