1990.
Siamo all’inizio anni ‘90, quegli anni ‘90 che, a ripensarci, mi videro vivere bene, bastava poco per essere felice e appagato (dal punto di vista videoludico).
In quel periodo, dove giovani ragazzi erano appostati davanti alle scuole a regalare figurine alla droga ai bambini, un dischetto blu, donato da un amichetto, giunse tra le mie mani poco prima di entrare in classe, un floppy disk che, adesso, sembra uno strumento preistorico ma che, all’epoca, conteneva meraviglie; sull’etichetta, con un pennarello, erano scritte tre lettere: PoP.
PoP, che cavolo significa PoP? Mi scervellai per le 5 ore di lezione, ma non riuscii a giungere ad una conclusione.
Tornai a casa e, dopo aver mangiato ma prima di iniziare i compiti per il giorno dopo, misi il floppy all’interno del lettore del pc e, tramite i comandi del dos, mandai in funzione l’eseguibile.
Dallo speaker del pc, uscirono fuori dei suoni gracchianti che mi ricordarono una musica orientale.
Una schermata che tendeva al viola e le scritte “Brøderbund Software presents”, “a game by Jordan Mechner” e quindi, finalmente, il mistero venne risolto: Prince of Persia! L’acronimo PoP non era più un segreto.
Venne quindi svelata la trama, con un mix di scritte ed immagini, una storia di amore, inganni e morte: durante l’assenza del Sultano, il Gran Visir Jaffar inizia a governare con il pugno duro della tirannia ma, per riuscire ad ambire al trono, dovrà sposare la bellissima figlia del sovrano.
Jaffar si presenta dalla principessa, già innamorata di un altro uomo, e la mette davanti ad una scelta: sposarlo o morire; ha un’ora di tempo per svelare la sua decisione, ma lei, in cuor suo, spera che il suo amato la salvi.
A questo punto, finito il “filmato” introduttivo, mi trovai all’interno delle prigioni, con un conto alla rovescia che, angosciante, appare all’inizio di ognuno dei 13 livelli del gioco.
Le meccaniche di PoP sono semplici: guidando un giovinotto biondo vestito di bianco, bisogna arrivare dal punto iniziale A, al punto finale B di ognuno degli stage, con l’ausilio di pozioni in grado di aumentare l’energia permanentemente o di curare le ferite subite.
La prima svolta avviene dopo aver raccolto LA spada, l’unica arma a disposizione, con la quale si potranno affrontare i nemici a colpi di parate ed affondi.
Prince of Persia è un platform che nasconde delle insidie all’interno di ogni quadro, degli spuntoni appaiono dal nulla, delle mattonelle cadono improvvisamente e delle tagliole ben mimetizzate sono pronte a fare a pezzi il protagonista. Ma a pezzi davvero, uccidendolo all’istante, anche se è pieno di energia. Le trappole sono ben congeniate e fanno male visivamente, vi lascio a due screenshot significativi.
Immaginate lo shock per un bimbo di 8 anni, che passa da un videogame puccioso come Super Mario bros., nel quale, una volta persa una vita, non accade nulla di spaventoso, a Prince of Persia che, una volta morti, mostra del terrificante sangue sullo schermo.
L’assenza di un sistema di salvataggio, il dover terminare la missione in 60 minuti e la possibilità di morire sul colpo a causa di un’azione avventata, rendeva PoP appassionante e frenetico ed attualmente risulta ancora tra i miei giochi preferiti proprio per queste peculiarità.
Nota a margine: per me, la saga di Prince of Persia finisce con Prince of Persia 2: The Shadow and the Flame. Tutto il resto è noia.