Considerato il fatto che una delle prime cose scritte per Nerdando parlava della Apogee e dell’epopea dei giochi shareware (se siete curiosi, potete trovarlo qui), non vi stupirà vedermi parlare di questa perla del 1992, partorita dal genio di John Romero. Il mio personalissimo mondo videoludico all’epoca era definitivamente passato al mondo PC, dopo aver abbandonato l’amatissimo Commodore 64, e si divideva principalmente tra le avventure grafiche della Lucas Arts ed i giochi della id Software.
Descrivere in modo asettico e imparziale giochi del genere sarebbe per me impossibile, questi sono i giochi della mia infanzia, i miei passatempi e descrivere uno di questi titoli implica ritornare con la mente a quei momenti magici. Quindi, Wolfenstein 3D non è solo la storia di un prigioniero che fugge dalla prigionia nazista per finire, dopo mirabolanti avventure, a distruggere un Hitler corazzato e armato fino ai denti; è anche la storia di un bambino che si trova ad affrontare i primi cagotti di uno sparatutto in prima persona, i cani maledetti (che sono tra i nemici che ho odiato più in assoluto nella storia dei videogiochi), il terrore maledetto nel trovarsi di fronte ad un fottutissimo robot con la testa di Hitler! Ora vi direte “Che palle! Saranno almeno 3 volte che nomina sto Hitler-bot in poche righe!”. Effettivamente avete ragione, ma quello scontro, alla fine del terzo capitolo, rimarrà per sempre impresso nella mia memoria videoludica. A parte questa digressione, non c’è davvero molto da dire sulla trama del gioco, d’altronde era stato curato da un uomo, John Carmack, che all’epoca la pensava così:
Story in a game is like story in a porn movie. It’s expected to be there, but it’s not that important.
Che tradotta sarebbe qualcosa tipo: “La trama di un videogioco è come quella di un film porno. Tutti si aspettano che ci sia, ma alla fine non è poi così importante.” Rielaborando mentalmente questa frase, capirete perchè questo fu il primo sparatutto in prima persona a suscitare clamore nel mondo dei videogames, si trattava di un gioco controverso, violento, frenetico la cui trama era fondamentalmente la seguente: ecco un coltello e una pistola con 8 colpi, ora finisci l’episodio. Il gioco era tutto lì, sopravvivere, uccidere i nemici, prendere nuove armi, uccidere nemici più forti e arrivare al boss di fine episodio; eppure, il modo in cui queste cose si facevano, totalmente innovativo, ne decretò il grandissimo successo. L’ambientazione del gioco fu un altro elemento che fece molto scalpore: nonostante la simbologia e i personaggi nazisti fossero talmente esagerati e grotteschi da suscitare più che altro delle risate, il gioco venne bloccato in Germania. Per evitare altri problemi del genere, alcune versioni successive del gioco, come quella per SNES, furono totalmente stravolte e videro l’eliminazione del sangue, delle svastiche e dei dannati dobermann.
Spero che anche voi, come me, vi siate fatti un bel viaggio nostalgico indietro nel tempo. Ce ne saranno altri, non mancate!