Recensione
Se metti insieme un mondo in rovina, un paio di draghi nei sogni, la danza come arma e la coltivazione intensiva di rapporti umani e pomodori, finisci con qualcosa che assomiglia parecchio a Rune Factory: Guardians of Azuma. Che non è semplicemente “il nuovo Rune Factory”, ma una virata bella decisa dentro una serie che sembrava destinata a vegetare tra raccolti automatici e storielle da harem da discount.
Qui, invece, si balla per combattere. Sul serio.
La danza salverà il mondo
Il gioco parte col botto – letteralmente. Un oggetto celeste si schianta sulla terra di Azuma, la natura impazzisce, gli dei spariscono, e i villaggi si svuotano. Noi ci svegliamo lì in mezzo, senza memoria, con la voce misteriosa di turno che ci affida il potere dell’Earth Dancer. Che, per inciso, è un guerriero che combatte danzando. Un concept molto interessante, sicuramente innovativo.
Però questo sistema è meno tamarro di quanto suoni, e funziona. I combattimenti, più action che mai, prendono una piega originale grazie a un set di armi vario (anche talismani e archi, in linea con l’ambientazione) e alle mosse coreografate che trasformano ogni scontro in qualcosa di molto ritmico, che lo rende veramente piacevole. Un’idea strana, ma coerente col tono del gioco, che fonde spiritualità giapponese e gameplay con una grande dignità.
Villaggi da coltivare, non solo pomodori
In Guardians of Azuma, la parte gestionale è una colonna portante del gameplay. Dimenticatevi la casetta con campo e staccionata – qui si parla di ricostruire interi villaggi devastati dalla corruzione, pezzo per pezzo. Non è solo estetica, ma infrastruttura vera: ogni edificio ha un ruolo chiave, ogni NPC riportato in città contribuisce attivamente, sbloccando risorse, servizi e quest secondarie.
C’è un comodo sistema modulare per piazzare strutture, con una libertà che strizza l’occhio ai city builder senza scivolare nel micro-management ossessivo tipico del genere. Vuoi un mercato per vendere più roba? Serve costruirlo e convincere un mercante a tornare. Vuoi migliorare l’allevamento? Devi bonificare il terreno, costruire la stalla e convincere un esperto a trasferirsi. Tutto questo si lega a doppio filo al combat system e alla narrativa: finisce che niente è niente è davvero “opzionale”.
La ricostruzione non è fine a se stessa: più sviluppi un villaggio, più il mondo prende vita, letteralmente. Le stagioni tornano, i festival si riattivano (con minigiochi nuovi e rinnovati), gli dei si risvegliano e iniziano a fornire bonus concreti alla produzione e al combattimento. Una struttura circolare ben pensata, che premia il giocatore che vuole investire tempo e risorse nella rinascita del mondo.
Sì, puoi ancora piantare pomodori, ma almeno stavolta lo fai per rimettere in piedi una civiltà.
DLC: più kimono, più combattimenti, meno fuffa del previsto
I contenuti scaricabili previsti per Guardians of Azuma non si limitano a skin cosmetiche buttate lì per monetizzare l’entusiasmo dei primi giorni. Al lancio e nelle settimane successive, il piano DLC include:
Costume & BGM Packs, che sbloccano outfit alternativi per i protagonisti ispirati ai giochi precedenti della serie (Frontier, Tides of Destiny, ecc.) insieme a musiche classiche selezionabili come colonna sonora per le zone principali. Niente di rivoluzionario, ma una bella carezza per i fan di lunga data.
Festival & Marriage Candidate Packs, con nuovi eventi stagionali e – cosa non da poco – personaggi aggiuntivi con cui interagire, stringere legami o portare all’altare. Un’aggiunta che estende davvero la longevità, soprattutto per chi vive di dialoghi doppiati e storie da visual novel tra un raccolto e l’altro.
Extra Dungeon Pack, in arrivo post-lancio, con nuove aree ad alto rischio, loot esclusivo e boss non presenti nella main quest. Un DLC pensato per chi ha già completato la campagna base e cerca una sfida più seria, magari con l’equipaggiamento finalmente craftato come si deve.
Non è tutto oro, certo: il rischio che parte di questi contenuti fosse già pensato come “vendibile separatamente” c’è (e si sente), ma almeno parliamo di roba che aggiunge valore concreto. Se siete il tipo di giocatore che in Rune Factory cerca tutto – farming, romance, e anche quel dungeon che ti oneshotta se sbagli danza – i DLC non sono solo estetica: sono una seconda infornata.
Un passo coraggioso, non sempre sicuro
Guardians of Azuma non è perfetto. La curva di apprendimento è un po’ sbilanciata, alcune sezioni “story-driven” rallentano troppo e, come spesso accade nei giochi giapponesi che vogliono fare tutto, c’è una leggera crisi d’identità. Ma almeno ci prova. E quando ci riesce – e succede spesso – ti ritrovi coinvolto in un loop appagante: combatti, coltivi, ricostruisci, ti innamori, salvi un dio, poi torni a piantare cipolle.
È un po’ più del solito Rune Factory ed è tutto strano. Prendetelo come un complimento.
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Nerdando in breve
Rune Factory: Guardians of Azuma, sviluppato da Hakama Inc. e pubblicato da Marvelous Europe, è il capitolo più ambizioso della serie. Combat system rinnovato, gestione che passa dal giardinaggio alla vera urbanistica, atmosfera giapponese ben curata e DLC che valgono qualcosa. Si balla per combattere, si costruisce per sopravvivere e si flirta come nei vecchi titoli. Un esperimento riuscito, nonostante qualche sbavatura.
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