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DOOM: The Dark Ages – Sangue, metallo, fuoco e dragoni laser

DOOM: The Dark Ages

Doom: cos’altro chiedere?

Pochi giochi gasano come DOOM. Non serve trama, non serve lore, non servono dialoghi, non serve chissà quale gameplay. Corri, spara e se proprio devi salta. Un uomo solo contro tutto l’Inferno, armato solo di qualche fucile e un odio infinito verso i demoni. Tuttavia, dato che non ci facciamo mancare nulla, con DOOM: The Dark Ages, il terzo capitolo della saga “reboot” di id Software, si fanno definitivamente spazio una storia e un gameplay più strutturati, che cambiano per la terza volta buona parte delle carte in tavola. Ha senso? La risposta (non scontata) è un forte e possente “sì”.

Recensione

Nel 2016, id Software e Bethesda erano riuscite a riportare in auge un nome impegnativo e sacro come DOOM. Lo avevano fatto con un remake quasi modesto, a vederlo adesso, che si proponeva di riportare le stesse sensazioni di gioco che l’originale del 1993 faceva vivere nei suoi corridoi insanguinati. La base era quella: correre, sparare ai mostri e sconfiggere le schiere infernali. La direzione artistica del gioco faceva il tentativo di re-immaginazione degli stessi mostri, armi e livelli del primissimo capitolo di John Romero, con ottimi risultati.

Nel 2020, DOOM Eternal si pone un obiettivo simile, strizzando l’occhio all’omologo DOOM 2 del 1994, ma tentando di espandere il gameplay con nuove meccaniche originali: rampini, doppi salti e un sistema di upgrade molto più completo del predecessore. Il risultato era qualcosa che si avvicinava più agli stili di combattimento di Quake III Arena e Unreal Tournament, dato che nei DOOM originali nemmeno si poteva saltare.

Questo stile, per quanto poco apprezzato da alcuni, lo fa diventare per me uno degli sparatutto più divertenti che abbia mai giocato. L’adrenalina è a un livello perfetto: la sfida non è frustrante, ma incalzante. Morire non è fastidioso, è un incentivo ad alimentare l’odio verso i demoni e ti senti davvero lo Slayer. Anche la storia si espande e viene aggiunto un livello di narrazione più articolata rispetto a “demoni brutti, picchiare tutti”.

Dicevamo “demoni brutti”?

Arriviamo a oggi, con quello che si presenta come prequel della “nuova” saga, anche se solo a livello di storia. La struttura di gioco raffina ulteriormente quella di DOOM Eternal, andando però a ridurre la componente “platform“. Il risultato? DOOM: The Dark Ages è l’esperienza moderna più vicina alle emozioni e sensazioni date dai titoli degli anni ’90.

Il focus su armi corpo a corpo e scudo sposta il combattimento ad essere letteralmente con i piedi per terra, senza però dimenticare una varietà di armi assolutamente imprescindibile. Mettendo insieme attacco a distanza, corpo a corpo e difesa si creano delle combo veramente interessanti, soprattutto grazie ai potenziamenti che aggiungono nuove interazioni fra le armi. Le combo non sono particolarmente guidate e sta al guizzo istintivo del giocatore scegliere le sequenze più distruttive in base ai tipi di nemici.

Questo titolo è infatti quello con il combattimento meno frenetico dei tre più recenti, ma sicuramente il più godurioso. Ogni scontro vi porta a pensare come affrontare ogni nemico, ma anche a fidarvi del vostro istinto. Qualsiasi sia il vostro approccio, ne resterete soddisfatti.

A guarnire la struttura assolutamente valida, c’è un lavoro estetico incredibile, difficile da definire e anche per questo così accattivante. Si parte dallo stile immaginato per vari livelli e personaggi visti in DOOM Eternal, ma essendo ambientato nel lontanissimo passato, il comparto creativo ha aggiunto delle venature gotiche e medievali in salsa fantascientifica. Il risultato è una space opera a dir poco metal che, fra castelli e re, finisce per indugiare nell’immaginario dei combattimenti fra robot giganti e kaiju.

Una schermata di gioco

Non si fa mancare dragoni laser che volano e combattono come caccia stellari usciti direttamente da Star Wars e a tratti immerge in caotiche battaglie campali che sembrano essere uscite da un Serious Sam. Gli scontri fra gli inquietanti e violentissimi demoni e le super corazzate Sentinelle ricordano i combattimenti di Warhammer 40.000, senza però sembrarne una brutta copia.

Ci sono tante altre piccole chicche, come ad esempio l’icona che mostra le espressioni dello Slayer al centro dello schermo, proprio come una volta, oppure i numerosi effetti audio derivati direttamente dagli originali del ’93. Altre più sottili si trovano nel level design, che ricorda molto la struttura delle mappe dei primi giochi o addirittura, nelle aree in cui troviamo i nemici che sono congegnate anch’esse in modo simile.

Trama

Se conoscete la trama di DOOM Eternal e dei suoi due DLC, saprete che la mitologia della saga si è approfondita drasticamente. La trama di fondo non è più solamente “marine incavolato nero vuole uccidere tutti i demoni”, ma sono entrati in gioco una miriade di esseri più o meno divini che ruotano tutti intorno alla fonte energetica più importante dell’intero creato: l’energia Argent.

In DOOM: The Dark Ages incontriamo parecchi dei personaggi visti o nominati nei due capitoli precedenti, inserendo il giocatore in un contesto già consolidato. Ammetto che non ricordando benissimo tutta la trama di fondo raccontata fino ad oggi, ho avuto un attimo di difficoltà a ricollegare i vari elementi, ma essendo un prequel non è assolutamente richiesto ricordare alcunché per godersi il gioco.

La storia inizia con un assedio da parte dei demoni ai danni di un complesso minerario sul pianeta Argent D’Nur. Qui il popolo delle Sentinelle, “cugino” degli umani, così come l’UAC su Marte nel DOOM del 2016, lavora per estrarre e difendere le riserve di energia Argent, una misteriosa forma di potere che deriva in parte dalle anime torturate all’Inferno.

Un’idea della grafica

I Maykr, esseri immortali che sono di fatto emissari della divinità creatrice di tutto, si nutrono di questa energia e dunque sono molto attenti a far sì che le Sentinelle possano svolgere il loro lavoro in santa pace.

E come? Beh, quale arma migliore contro i demoni, del Doom Slayer in carne, ossa, odio e testosterone? Quando le truppe infernali attaccano e le cose si mettono male, i Maykr sganciano l’equivalente dell’opzione nucleare: voi.

La maggior parte delle missioni inizia infatti così. Troppi diavolacci in giro? È il momento di un po’ di rip and tear. La cosa più divertente è che gli stessi generali dell’esercito demoniaco sanno che devono sbrigarsi a vincere gli assedi prima che lo Slayer venga liberato e scatenato su di loro. Quando questo succede, la festa è finita. Per i demoni. Per voi è appena iniziata.

Il problema è che il grande capo dei demoni, aiutato da una strega presa in prestito da Elden Ring, sta cercando l’ultimo cuore dei Wraith, che è praticamente il power-up finale e che guarda caso è custodito dal regnante delle Sentinelle, che non è che se ne sta buono buono a casa sua, ma si butta in prima linea con i suoi soldati e quindi sta a noi risolvere tutti i problemi a suon di sganassoni. (diamine, raccontata così sembra la trama di Super Mario Bros. – il Film)

Anche se non ce n’era assolutamente alcuna necessità, il racconto che contorna gli ettolitri di sangue e budella riesce tutto sommato a intrattenere se non ad affascinare. Il mondo di DOOM: The Dark Ages si è piano piano creato nel corso di questi nove anni e ha raggiunto una caratterizzazione degna di altre grandi saghe videoludiche ben più incentrate sulla narrazione.

Si va a caccia di demoni

Sia chiaro, se volete saltare ogni singola cutscene riuscirete tranquillamente a divertirvi e godervi il gioco, ma il lavoro fatto nella realizzazione delle varie parti dialogate è ottimo e, a dirla tutta, i filmati spesso gasano e vi caricano nell’attesa di sbudellare nemici. 

Lo stile è quello di un dark fantasy che vorrebbe essere un B-movie che si prende sul serio, ma non riesce a essere abbastanza scadente e finisce per essere più figo che senza cervello. Le scene deliberatamente cariche di muscoli e azioni eroiche esagerate danno un carisma vintage a tutto il gioco. Come se fosse un Gears of War fantasy fatto negli anni ’80.

Tanto per capirsi: c’era bisogno di mettere uno scontro fra mech e demoni giganti che si prendono a cazzotti? C’era bisogno di mettere un drago, ma con le ali fatte di elettricità e che sputa laser invece di fuoco? C’era bisogno di un’arma che trita teschi e spara i frammenti ai nemici? No, ma forse sì. Queste esagerazioni sono così seriose che vanno oltre il ridicolo, fanno il giro e tornano ad essere fichissime.

Gameplay

Il punto forte di DOOM: The Dark Ages è ovviamente il gameplay. La semplificazione ha ridotto i comandi necessari all’osso, ma incredibilmente è aumentata la complessità delle interazioni fra le varie abilità dello Slayer.

Le nuove aggiunte ai poteri sono principalmente lo scudo e un sistema più ramificato di armi corpo a corpo. Lo scudo è di fatto un’arma sempre attiva e richiamabile: si può usare per lanciarsi a capofitto in mezzo ai nemici con un attacco a schianto, lanciarlo come Capitan America per tagliare in due i nemici oppure per difendersi e respingere al mittente i colpi.

Sull’altra mano, invece, abbiamo la possibilità di usare ben tre armi in corpo a corpo, non voglio svelarvi quali perché fa parte delle sorprese che il gioco vi svelerà man mano, ma sappiate solo che nel primo livello vi verrà dato un guanto potenziato in grado di sferrare, letteralmente, dei potenti cazzottoni.

Ogni arma, ha tre cariche che poi si ricaricheranno con il tempo o con le “munizioni” apposite. Il funzionamento è molto simile a quello della motosega nei vecchi capitoli, con la differenza che i mostri più grandi non verranno immediatamente uccisi, ma resteranno storditi, pronti a subire delle combo con altri attacchi in corpo a corpo o a distanza.

Ma DOOM non sarebbe tale senza una sfilza enorme di fucili, cannoni e lanciatori vari. In questo titolo le armi da fuoco sono divise in classi, in base al tipo di munizioni utilizzate. Anche qui, l’ottimizzazione ha dato i suoi ottimi frutti: non c’è bisogno di ricaricare e le armi si possono selezionare in tanti modi, adattandosi bene al vostro stile di gioco.

Le armi si adattano bene al vostro stile di gioco

L’impronta medievale si sente tanto pure nella rosa di strumenti di morte a vostra disposizione. Troverete uno spara-paletti di legno, un lanciatore di palle incatenate e molte altre armi degne di un sotterraneo per le torture. Non voglio anticiparvi troppo perché il gioco fa un ottimo lavoro nel centellinare le armi che troverete sparse nei capitoli, stimolando con l’effetto novità, dando però la possibilità di sperimentare ampiamente tutto l’arsenale.

Scudo, armi corpo a corpo e a distanza hanno tutte in comune la possibilità di essere potenziate con le tre valute reperibili in giro nei livelli, che consentono di ottenere miglioramenti di potenza proporzionale alla rarità delle risorse utilizzate. Spesso, molti di questi miglioramenti permettono delle nuove combo fra, ad esempio, scudo e mitragliatrice, oppure fra armi al plasma e da mischia.

Alcuni upgrade hanno due opzioni da scegliere e attivare alternativamente a piacere, una volta sbloccati, e permettono di cambiare certe combo in base agli scontri che ci troviamo davanti, magari in base al gruppo di mostri o al boss che stiamo per affrontare.

Parlando di mostri: come suggerisce il titolo, DOOM: The Dark Ages è ambientato in un ipotetico medioevo. Il design futuristico di alcuni demoni avrebbe stonato con lo stile del gioco che è un mix fra antico e tecnologico. Troveremo quindi tanti bestioni armati di mazze e scudi, a cavallo di Pinky Demon corazzati e con arco e frecce, ma anche tanti cannoni simil-magici e lanciarazzi.

Le caratteristiche dei mostri non sono solo estetiche, ma hanno un’importanza a livello di approccio. I nemici in armatura saranno difficili da abbattere, anche i più deboli, a meno di non arroventarne le placche di metallo e distruggerle poi con lo scudo oppure a meno di non aggirarli e colpirli da dietro con un veloce scatto. Stessa cosa per i mostri più grandi, che spesso cercheranno di colpirvi con attacchi illuminati di verde, segno che possono essere parati e rimandati al mittente per stordire o danneggiare il nemico.

Screenshot di doom

Ogni avversario può quindi essere sconfitto facilmente con una tecnica specifica che richiede armi e combinazioni diverse per ognuno di essi. Sta a voi inanellare le combo migliori per far fuori tutti i nemici dell’area, che saranno anche molto diversi fra loro.

Fiore all’occhiello di questo titolo è la struttura dei livelli. Alcuni hanno una struttura più aperta, divisa in aree esplorative e aree da “ripulire” in ordine sparso per finire la propria missione. Altri sono sviluppati più a corridoio e costringono a ripulire stanze occupate da nemici per proseguire. In entrambi i casi, il level design è sopraffino.

Tutto quello che succede è gestito con una bella regia, che contribuisce alla cinematografia del gioco, e spesso lo storytelling passa anche da quello che si muove nello sfondo del livello o dai mostri che vi vengono gettati davanti. Anche nelle sezioni monodirezionali non ci si annoia e le piccole deviazioni, estremamente ben mascherate da zone liberamente esplorabili, rinfrescano il flusso del gioco.

Uno dei capisaldi della serie è poi la grande varietà di segreti disseminati in ogni mappa. Ho sempre avuto difficoltà a stare dietro all’esplorazione in questo tipo di giochi. Trovo che spezzi il ritmo inutilmente e spesso è solo un modo per infilare del backtracking e aumentare il tempo di gioco. Qui è molto semplice completare i livelli al 100% al primo colpo.

Se siete avvezzi a un po’ di esplorazione negli FPS e a leggere la mappa tridimensionale, non avrete problemi a sviscerare tutte le zone e ottenere così collezionabili e risorse per i miglioramenti. Trovare i segreti non è solo uno sfizio, ma garantisce un vantaggio tangibile nel gioco, aiutando a potenziare le armi molto più velocemente rispetto a quello che potreste fare rushando il gioco, con buona pace del buon Tencar.

Screenshot di Doom

New entry assolute di questo titolo, sono il dragone personale dello Slayer, Serrat e i mech giganti Atlan, che sembrano usciti direttamente da Pacific Rim. Gli Atlan sono protagonisti di alcune sezioni che ricordano più House of the Dead che DOOM, ma non per questo sono meno divertenti. Guidare un robottone enorme è sempre divertente e usarlo per prendere a cazzotti diavoli alti cento metri è pure più bello. 

Le sezioni a cavallo di Serrat sono più strutturate e vi portano a fare combattimenti aerei basati sempre sulle schivate e ad esplorare sezioni aeree, atterrando per completare obiettivi nelle zone liberate dal cielo, per poi decollare nuovamente. Non c’è chissà quale complessità di gioco dato che si tratta di volare da punto A a punto B e sparare incessantemente a tutto ciò che si muove, ma l’alternanza fra movimento a piedi e su drago è una piacevole variazione sul tema.

Bisogna essere onesti però: per quanto divertenti queste due sezioni rischiano di stancare presto, ma per fortuna sono solo brevi sequenze, che non infastidiscono e non stonano con il ritmo del resto del gioco.

Un’ulteriore raffinatezza è la pagina delle impostazioni delle difficoltà dove non si seleziona solo un’opzione su una lista, ma si possono personalizzare singolarmente tutta una serie di opzioni che modificano l’esperienza di gioco. Volete nemici più forti? Parate meno permissive? Proiettili più veloci? siete serviti e potete rilassarvi se bloccare i colpi all’istante non è il vostro divertimento preferito.

Grafica e sonoro

Nonostante il mercato di schede grafiche e processori non accenni a rallentare, la grafica dei giochi degli ultimi cinque anni almeno non è stata rivoluzionata particolarmente. DOOM: The Dark Ages fa sicuramente il miglior lavoro possibile con le tecnologie odierne. Giocando con tutte le impostazioni a ultra non sono riuscito a trovare alcun difetto particolare nei personaggi e ambientazioni anche se qualcosa, naturalmente, si perde con i soggetti più distanti.

I personaggi nelle cutscene restano ancora un poco “cartooneschi”, ed è un peccato, perché con qualche lavoro sull’illuminazione e trasluminescenza della pelle si arriverebbe vicini al fotorealismo. Uniche note di demerito sono gli FPS ballerini e il ray tracing obbligatorio.

Quello che ho rilevato è una caduta enorme di frame, anche 20-30 FPS, in situazioni apparentemente poco esose di risorse, mentre su scene molto più piene di mostri, modelli e texture raggiungevo addirittura i 120 FPS in 2K ultrawide, montando Ryzen 9 5900X e RX 7900XTX.

Screenshot di Doom

Sicuramente, il ray tracing obbligatorio non aiuta e anche se si tratta di un requisito che dovrebbe essere rimosso in seguito, la scelta fa storcere il naso. Questa chiusura arbitraria all’hardware più vecchio di qualche anno non è un bene per i giocatori su PC, così come quelli su console, che nemmeno possono fare un upgrade per migliorare le performance e che quindi si trovano con un handicap alle performance obbligatorio.

La scelta è stata fatta, a detta degli sviluppatori, per velocizzare lo sviluppo della grafica, dato che il ray tracing toglie necessità di gestire il rendering a priori dei giochi di luce, a scapito ovviamente delle risorse. Ad ogni modo, si spera che con le future patch entrambi i problemi siano risolti e che anche questa piccolezza venga rimossa. 

In piena tradizione, le musiche sono ovviamente il classico metal industriale che ormai contraddistingue la saga, anche se dopo le varie controversie lavorative non è più Mick Gordon a comporre la musica, ma il team di Finishing Move. La colonna sonora è comunque un po’ meno incisiva, sia per via di un mix poco generoso all’interno delle varie situazioni di gioco, sia per un’evidente intenzione di rendere la musica meno prominente. Questo, ahimè, è forse il difetto più grande di un gioco altrimenti rasente la perfezione.

Accessibilità

E pure sul piano dell’accessibilità DOOM: The Dark Ages fa i salti mortali. Uno degli FPS più curati su questo aspetto. Sulla parte degli aiuti visivi, è stata inserita una lente d’ingrandimento integrata con il gioco che permette di ingrandire selettivamente le parti di testo a schermo.

C’è anche una modalità contrasto elevato “modulare” che permette di cambiare il colore ai vari oggetti di tipo diverso, così come sui sottotitoli dove si può inserire uno sfondo per sottolineare l’allineamento dei personaggi che parlano. Altre opzioni riguardano gli aiuti di input che permettono di facilitare l’utilizzo delle varie funzioni così come alcune funzioni della scheda delle difficoltà. 

Prezzo

DOOM: The Dark Ages è disponibile su PC, Xbox Series e PS5 al prezzo di 79,99€ ed è accessibile da Xbox Game Pass.

In conclusione

Al netto di tutto, DOOM: The Dark Ages è un gioco che forse si vuole vendere come un gioco più complesso di quello che è, ma il cuore del gioco è ben visibile. Personalmente, non raggiunge i livelli di adrenalina di DOOM Eternal, ma è comunque estremamente divertente.

Screenshot di Doom

Il ritmo è quello che fa da padrone ed è il motivo per cui viene voglia di continuare a giocare. L’esplorazione, il combattimento, i potenziamenti e i boss sono tutti coordinati per garantire un flusso veramente convincente. Spero che il DLC in arrivo espanda ulteriormente il gioco e che, magari, aggiunga qualche modalità aggiuntiva, magari una endless singleplayer perché sarebbe una potenzialità sprecata.

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Nerdando in breve

Se cercate un ottimo sparatutto vecchio stile, DOOM: The Dark Ages è uno dei più divertenti e rigiocabili dei tempi moderni. Un gameplay estremamente convincente e un carisma rinnovato nello stile e nei contenuti sono i punti di forza di questo terzo capitolo.


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