Roberto Saviano, il celebre giornalista autore di Gomorra, incontra una platea piena di persone accorse per conoscere meglio Sono ancora vivo, edito da Bao Publishing. Nella splendida location del Teatro del Giglio, anche noi abbiamo avuto l’occasione di prendere parte all’evento.
L’incontro
L’evento inizia con un applauso scrosciante di un Roberto Saviano incredulo: non credeva si sarebbe riempito il teatro.
Dopo qualche convenevole ha inizio l’incontro dedicato a Sono ancora vivo, graphic novel che già nel titolo afferma la resistenza della parola. “Sono ancora vivo” è un’osservazione che fa lui, sotto scorta da quindici anni, ma anche un’ammissione di paura, come ci spiegherà di lì a poco.
Il motivo per cui sceglie di raccontare per immagini la sua storia personale è che non riesce mai a essere capito fino in fondo. Sentendolo parlare si capisce quanto ci tenga a essere creduto, quanta ansia ha di farsi capire e quanto gli piacerebbe che le sue parole venissero prese per veritiere e non screditate con commenti che millantano attici negli Stati Uniti. Invece no, anziché dargli fiducia, lo screditano, e allora ci prova con le immagini: una figura ha un potere molto più forte, permette di farsi capire meglio e di entrare più a contatto con chi lo leggerà. Per questo, opta per quella scelta.
Parlando della difficoltà di farsi capire, c’è anche il problema della vergogna. Parlare dei tentativi falliti del clan, di ammazzarti, crea vergogna, perché c’è sempre il retro messaggio del “non mi crederanno”,”penseranno che esagero”,”non mi capiranno”. Ma la sua è un’infelice storia di dolore e solitudine, e il dolore reale è forse il sentimento più difficile da trasmettere. “Se gli altri non lo vivono, non lo capiscono” sentenzia Saviano, che rimarca l’importanza delle immagini, che aiutano chi legge a immergersi nella realtà dei fatti.
Subbuteo, bicicletta, diamanti e una spina: inconsapevoli oggetti transizionali
Durante l’incontro, gli si chiede di approfondire gli oggetti che compaiono all’interno di Sono ancora vivo. Il motivo per cui associa una cosa concreta e nota a ciascun personaggio, è proprio per ridurre quella distanza fra lui e il pubblico. L’ossimoro che si porta dietro è quello per cui è “ovunque” (social, televisione, giornali, telegiornali, libri, …) e contemporaneamente rinchiuso, senza la libertà di uscire allo scoperto. E come la trasmetti una realtà del genere? Pescando contenuti da un vissuto comune, che facciano da ponte fra chi legge e chi scrive.
Al padre associa una bicicletta, non perché ci vada con chissà quale assiduità, ma per via di un ricordo legato all’infanzia. Quando andavano in vacanza a Paestum, Roberto veniva messo nel cestino della bici, portato a cavallo per le vie. Nel tempo quella situazione si è un po’ trasformata, iniziando a sentirsi sempre di più come un gorilla in gabbia.
Al nonno spetta a una spina, perché quando da piccino andava a vedere le vacche partorire, un giorno gli si incastrò una spina nel piede. Nonno lo aiutò a elaborare il dolore e il brutto momento, e quell’insegnamento sulla forza del saper tenere duro gli si rivelerà poi utile più avanti.
La madre invece, che nella vita fa la mineralogista e che da sempre è affascinata da sassi e pietre, è descritta attraverso le contraddizioni del diamante. Una pietra temporaneamente preziosa che non lo è stato sempre e che non lo sarà più, tanto forte da tagliare la crosta terrestre ma tanto fragile che se cade per terra si frange in mille mille pezzi. Pur riuscendo a entrare in qualche modo in un significato profondo della vita, pur conoscendola con tutta l’esperienza e tutti i libri possibili, comunque essa rimane fragile e svanevole.
Nel Bronx come un gorilla
All’interno di Sono ancora vivo, Saviano fa un po’ di ordine su quella che è stata finora la sua vita tutta quanta. Al tempo in cui già doveva stare nascosto, arriva un momento in cui esula negli Stati Uniti, a New York, nel Bronx. Appena arrivato dopo anni di isolamento, si ritrova a spaventarsi di tutto, anche del rumore della metropolitana.
Fa una passeggiata fino allo zoo, dove vede i gorilla condannati all’ergastolo. Una bambina, lì per lo stesso motivo, vede Roberto e gli lancia una palla. Panico. In quel momento il giornalista prende coscienza di quanto sia davvero cambiata la sua vita: nessuno poteva più lanciargli niente, persino allo stadio l’avevano chiuso in una speciale teca di vetro protettiva. Ora invece una bambina gli tirava una palla, senza chiedere o dire alcun ché: è tempo di reimparare a giocare.
Ecco, è proprio per aneddoti di questa semplicità e allo stesso tempo potenza che diventa necessario l’utilizzo dell’immagine. Il fumetto, è la strada migliore. Di quella storia fra l’altro, ciò su cui si sofferma Saviano non è né la palla, né la bambina, ma il gorilla.
A quanto ci racconta, la razza umana non è fra le sue preferite: gli dispiace essere nato sapiens e se potesse, sceglierebbe di essere un gorilla (oppure un delfino o altrimenti un polpo). Ci parla molto dei gorilla silver back, di cui ci descrive i comportamenti protettivi ma anche la capacità di starsene soli e pensosi, quasi come se fossero in preda a un’attenta riflessione un po’ malinconica. Poi però è costretto a tagliare: a quanto dice, potrebbe parlarci a lungo di quegli scimmioni che con un solo grido sanno farsi capire benissimo da tutti; ma la conferenza deve proseguire, per i gorilla ci saranno altre occasioni.
In un paese in guerra, la morte è banalità
A 12 anni vede per la prima volta un omicidio: un uomo viene freddato in mezzo alla strada, braccato per via della paura che provava.
All’epoca, Roberto si trovava in una tabaccheria col padre, stavano giocando la schedina. Trambusto dalla strada, tutti escono, lui cerca di guardare, ma il padre gli trattiene la testa sulla sua pancia per non fargli vedere ciò che accade. La scena gli verrà poi raccontata: un uomo scappa, si nasconde sotto una macchina, ha paura, si fa la pipì addosso, arriva l’assassino, vede la chiazza di urina uscire da sotto la macchina, si avvicina, gli scarica addosso i colpi, se ne va.
Fra chi assiste alla scena, chi non se ne va in silenzio commenta o con sfottò o con fredda curiosità, perché “In un paese in guerra, la morte è una cosa normale”. Le persone la esorcizzano anche in questo modo, banalizzandola, rendendola più normale e accettabile. Ciò che davvero va esorcizzato in qualche modo però è la paura, è lei ciò che ti rende vulnerabile e (come all’uomo della storia) ti fa trovare.
Proprio per questo Saviano si dedica a Sono ancora vivo: “Sono debole, ho paura, ma mi fido dei lettori e delle lettrici.” La fiducia è un sentimento difficile da concedere, soprattutto nelle sue condizioni di vulnerabilità: qualunque persona che incontri e di cui ti fidi, potrebbe un giorno ritorcertisi contro. La sua è una vita spesa per inseguire un’ambizione: “Le mie parole cambieranno il destino delle cose” si ripeteva, ignaro che sarebbe stata proprio quell’ambizione a rendergli la vita impossibile.
Condivide con noi alcune riflessioni sull’odio che pullula in chi lo commenta. Quando qualcuno si avvicina ai suoi racconti, è costretto a scegliere. O continua a comportarsi come ha sempre fatto, unendosi quindi a quella realtà illecita a cui Saviano ha dichiarato guerra, oppure cambia strada, ma il cambiamento è difficile e spesso si è poco invogliati a sceglierlo. Come reagisce quindi l’utente medio, colui che non vuole cambiare ma nemmeno sentirsi in parte responsabile? Negando il fatto. Perché se Saviano ha ragione, allora bisogna scegliere, ma se ciò che dice non è vero, se viene screditato come persona allora anche le sue parole perdono valore, e allora non c’è né da scegliere, né da cambiare. È in questo modo che la verità genera odio.
Un saluto di bellezza
Prima di salutarci e iniziare una lunga sessione di firmacopie, gli viene chiesto di commentare alcune citazioni che ha inserito nel libro. Nel farlo, ne aggiunge un paio che hanno un significato proprio, ma che in virtù di quanto detto finora ne assumono anche un altro, più esteso.
La prima è su Raffaello Sanzio, o meglio, sull’epigrafe che sta sulla sua tomba. La scritta che la sovrasta è stata commissionata a Pietro Bembo, che in gioventù era un caro amico di Raffaello, da lui stesso ritratto. Dopo tre mesi a pensarci, Bembo sentenzia: “Qui giace Raffaello. Lui in vita, la natura temette di essere sconfitta; una volta morto, di scomparire insieme a lui“. Il senso di questa frase è che quando ci si lascia sorprendere dalla bellezza, in essa ci si riconosce. Ciò che è bello, geniale, creativo, appartiene a chi sa percepirne la magnificenza. Essendo quell’effigie particolarmente meritevole, ci consiglia di andare con una persona cara a leggerla.
L’altra citazione invece è di Blaga Dimitrova, con le cui parole Saviano ci ricorda che in tutto ciò che produce, getta un seme. Nonostante tutto quello che è possibile fare, a prescindere dagli errori che possiamo commettere lungo il percorso, la traccia è segnata e nulla può toglierlo. Qualunque cosa realizzeremo, non sarà cancellata.
Detta con le parole di Dimitrova, “Nessuna paura che mi calpestino: calpestata, l’erba diventa sentiero.” E su queste parole si conclude l’incontro.
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