In occasione dell’uscita di Crack, il quarto fumetto dell’Opera Omnia che raccoglie gli Scarabocchi di Maicol&Mirco, Bao Publishing ha organizzato un incontro a porte (virtuali) chiuse con Michael Rocchetti. Chi è Michael Rocchetti? È il tramite attraverso il quale Maicol&Mirco parlano, non il loro autore né il loro creatore ma la persona grazie alla quale i personaggi neri su campo rosso, possono trovare il modo di interagire con il mondo degli esseri umani. Un compito importante, quello di Rocchetti, che ha cercato di raccontare alla stampa presente, rispondendo con pazienza alle numerose domande.
Oltre 10 anni di Scarabocchi online trasferiti su carta
L’Opera Omnia è una pubblicazione a puntate molto ambiziosa: ha come obiettivo la creazione di una collana omogenea, dal formato compatto, quasi tascabile, con tutti gli Scarabocchi mai creati (e considerate che da anni sui social ne viene pubblicato uno al giorno, senza pause). Viene da chiedersi, come mai una scelta simile. Può una stessa vignetta trasmettere diversamente il medesimo contenuto se letta online o su carta? Evidentemente sì, ci dice Michael, riportando il commento di chi lo legge da sempre: c’è gente che trovandosi davanti una vignetta cartacea ci si sofferma di più, rispetto a quanto avrebbe fatto leggendola solo online, e c’è chi, pur avendolo seguito fin dagli esordi, scopre per la prima volta Scarabocchi già pubblicati da tempo, ma che non aveva mai letto. Infine, l’autore sostiene che radunare tutti gli Scarabocchi in un’unica raccolta cartacea vada a creare proprio un’opera diversa della solita strip online, e anche per questo l’Opera Omnia ha senso di esistere.
Un’idea editoriale vincente avrebbe potuto essere una raccolta degli Scarabocchi che avevano riscosso il maggior successo, creando una cosa come “Il meglio degli Scarabocchi di Maicol&Mirco“. Una scelta di questo tipo avrebbe però reso impossibile la scommessa di un’Opera Omnia di un autore ancora in vita, che permette di vedere cosa cambia fra l’accoglienza su internet e su carta. Cercare di capire quanto uno stesso contenuto possa passare diversamente via social o concretamente, in un’unica edizione esistente. Per questo Micheal si riferisce all’opera parlando di una scommessa fatta da Bao, la casa editrice che per questo viene definita “un po’ matta”.
Se da una parte è importante poter parlare con Micheal, però, molto più utile (secondo lui) è parlare con i personaggi che stanno all’interno dell’Opera.
L’origine degli Scarabocchi così come li conosciamo
Michael racconta di aver iniziato a scrivere perché non gli bastava quello che leggeva: serviva novità. Fin dall’inizio gli è stato chiaro che voleva un personaggio nuovo, che usasse mezzi e termini nuovi per raccontare qualcosa che secondo lui mancava. Dopo qualche tempo di disegnetti tenuti per sé e condivisi con poca gente, arriva la scelta di darne maggior risonanza pubblicandoli online, e a quel punto compare anche il rosso.
Sicuramente un colore molto difficile da usare sui social, perché spesso viene penalizzato. Gli si chiede come mai fosse stato scelto proprio quel colore, così forte, come accompagnamento di temi altrettanto tosti. “In origine” ci dice “era nato come cartaceo in bianco e nero. Dopo una prima auto pubblicazione di prova, si è scelto di provare a trasferire i contenuti online”, così ha cercato un colore che spiccasse e il rosso andava bene.
Ha sempre scritto con la stessa naturalezza con cui ha sempre respirato: lo fa spontaneamente, senza mai pensare al pubblico. Il suo scopo era creare qualcosa che lui stesso avrebbe letto volentieri, che fosse coinvolgente e contemporaneamente sorprendente. Soprattutto, voleva qualcosa che intrattenesse durante la lettura, ma che lasciasse con un senso di spaesatezza al termine. L’ormai noto “cosa cavolo ho appena letto?!”. Per questo, in generale, non crede a scelte commerciali da parte degli autori. Prende come esempio i Puffi e l’Uomo Ragno di Stan Lee: “Non ci credo che [quelle storie] sono state scritte pensando che un domani avrebbero fatto successo e sarebbero diventate classiche; secondo me le cose hanno successo quando uno le fa come se le sente, e così faccio io.”
Poi va detto che è anche figlio del suo tempo: quando ha iniziato c’era solo Linus, irraggiungibile, e il resto ancora non esisteva. Non c’era l’idea di una competizione online. Adesso, magari, qualcuno già scrive cercando un modo per portare a sé il pubblico.
“Crack” e la rottura involontaria portata da Facebook
“Che rumore definitivo! Lo è davvero?” Sì e no, dice Michael: da una parte, la passione per i suoni onomatopeici (si vedano i volumi finora pubblicati dell’Opera Omnia: Argh, Sob e Bah); dall’altra, effettivamente qualcosa si è rotto: gli Scarabocchi hanno smesso di essere un suo gioco perché sono diventati un vero e proprio prodotto che piace e che ha tanto seguito. Chi lavora su internet ha una maggior padronanza del proprio pubblico, perché nell’immediatezza sa cosa piace maggiormente.
“Le vignette sull’amore che fa schifo, o sulla droga, vanno più di quelle sull’esistenza di Dio” ci dice “ma questo non ha mai condizionato i miei contenuti. Semplicemente, sto imparando a raccontare in modo più efficace, perché dai social ho dei feedback immediati”. Quindi sì, è un punto di rottura, ma non voluto.
Come anticipato in apertura, negli Scarabocchi non è Michael a parlare, ma i suoi personaggi. Le vignette escono su Facebook, social che ogni anno ripropone post e foto pubblicate da ciascun utente negli anni precedenti. Anche alcune vignette, quindi, vengono riproposte dopo anni. Eppure non capita mai che di fronte a una riproposizione, Micheal provi imbarazzo per quanto detto in precedenza di Maicol e Mirco. Non capita, perché più che imbarazzo sporadico, l’autore prova quotidianamente un senso di sorpresa.
A volte capita che i suoi personaggi dicano e scrivano cose che lui non condivide, lascia loro delle libertà che magari non concede a sé stesso. Per questo, a distanza di anni, non si vergogna di quanto precedentemente pubblicato: perché non sono parole sue, che rilegge, ma loro, e quindi c’è quel filo di distacco che basta.
Un esempio di pareri non condivisi è una vignetta uscita proprio qualche giorno fa. Nello Scarabocchio, Maicol e Mirco prendono in giro gli psicologi. La reazione è stata duplice: da una parte, il pubblico in analisi, che si lamenta; dall’altra, pagine di psicologi che la ricondividono. Nessuno però sa che lo stesso Michael Rocchetti è andato in terapia per davvero diversi anni, e da questa breve storia ci lancia un messaggio importante: “Non confondeteci con i nostri personaggi. Nessuno direbbe che Agatha Christie è un’avvelenatrice, se vai a cena con Stephen King, non temi che ti accoltelli; allora non prendetevela con me per quello che fanno e dicono Maicol e Mirco“.
Com’è il tuo presente? Ci sono gli Scarabocchi?
L’imposizione è di fare una vignetta al giorno, impegno mantenuto per quasi 10 anni senza mai mancare. Micheal non sa stare tutto il giorno seduto a disegnare, come molti colleghi invece fanno. Scrive e disegna tutto il giorno, questo sì, ma non seduto alla scrivania.
Capita che gli Scarabocchi gli vengano in mente in momenti casuali della giornata, che guidi o stia per andare a dormire, e deve annotarli subito. Nel mentre che scrive e si dedica ad altri lavori, gli Scarabocchi esistono sempre: così come i Peanuts per Schultz, così gli Scarabocchi per lui. Non può non disegnarli, ne necessita fisiologicamente, non per internet, ma per lui come essere umano.
Non deve stare seduto al tavolo da disegno per farlo, cosa che per altri lavori fa, ma non per questo: l’idea viene in qualunque momento, annotata al volo, pubblicata in fretta, sempre. Per questo, ci dice, “Non ho portato la mia vita negli Scarabocchi, ma gli Scarabocchi nella mia vita” e per questo le interviste sugli Scarabocchi lo lasciano sempre un po’ perplesso: “Dovreste parlare con i miei personaggi, non con me: io sono solo un tramite”.
Il futurismo negli Scarabocchi
Poiché il titolo di ogni volume dell’Opera Omnia è un’onomatopea sempre diversa, gli viene domandato se l’ispirazione sia venuta dal Futurismo (avanguardia artistica del ‘900), che ne faceva ampio uso con lo stile parole in libertà. In realtà ARGH, SOB, BAH e CRACK, così come i titoli che seguiranno prossimamente, sono un omaggio vero e proprio alle onomatopee dei fumetti che da sempre vengono usate per dare espressività alle esclamazioni dei personaggi e alle situazioni.
Ragionando sull’importanza che l’arte ha secondo lui, ci dice che essa “ci permette di ragionare, non ci dice come ragionare: l’arte non impone nulla.”
Secondo l’autore, di fronte a un’opera d’arte non ci si chiede ciò che quell’artista faccia, come persona, nel mondo reale, per questo aggiunge un’osservazione che non passa inosservata: “Una persona buona che scrive cose belle è una meraviglia, ma è straordinario anche che una persona cattiva possa scrivere cose bellissime. È un miracolo che solo l’arte può fare.”
Due parole sulla copertina
“Fuori l’uomo dalla storia” era il finale di uno spettacolo teatrale nato dagli Scarabocchi. La vignetta ispiratrice è però diventata la copertina del quarto volume dell’Opera Omnia perché vi è molto legato. Benché sia minimale, è comunque una vignetta più piena delle altre. È molto affezionato a questa in particolare, che per altro calza alla perfezione con l’introduzione al volume fatta da Silvia Ballestra, così ha scelto di tenerla.
10 anni di lavoro, ma niente crescita; semmai, evoluzione.
Non si può parlare di crescita ma solo di evoluzione per diverse ragioni; una fra tutte, il fatto che riordinando gli Scarabocchi in funzione dell’Opera Omnia gli capita di trovarsi più d’accordo con il suo io passato che con quello presente, in una disposizione temporale contenutistica altalenante anziché crescente.
La crescita è un modo di sviluppo verticale, che lo preoccupa anche per quanto concerne il raggiungimento di un’ipotetica cima: quanto dovrebbe salire? E se poi cadesse? Quanto si farebbe male? Al massimo si può parlare di una crescita orizzontale, non verticale.
Il punto, come anticipato, è la novità: Micheal ha come unica imposizione quella di creare sempre qualcosa di nuovo, molti Scarabocchi che gli vengono in mente, che magari potrebbero avere successo, vengono scartati perché manchevoli d’innovazione, perché lui per primo, da lettore, vorrebbe sempre la novità.
Impennata filosofica
Inizialmente gli Scarabocchi erano molto più punk e molto meno filosofici. Quando gli si chiede se nel tempo sia diventato più consapevolmente filosofico, risponde che l’eventuale merito va a chi parla di lui con commenti e recensioni. Quelle parole lo hanno sicuramente acculturato, citando sotto le sue vignette nomi celebri che avevano detto i medesimi concetti parecchio prima di lui.
Reazioni di quel tipo costituiscono sempre una medaglia, così come le critiche costruttive (e non positive, come ci tiene a specificare). Come chi gli fa notare aspetti che per lui sono meno ovvi, come il fatto che gli Scarabocchi dimostrano che si può essere seri anche in maniera spensierata. “Un percorso decennale con una cassa di risonanza di questo tipo, con pazzia e metodicità quotidiana, non possono non cambiarti”.
Ed effettivamente, solo di Scarabocchi ci sono circa 8000 pagine di fumetti: non si può non essere cambiati.
Un contenuto più forte della forma
Chi ha preso fra e mani uno dei volumi finora usciti dell’Opera Omnia avrà notato la dicitura “consigliato a un pubblico maturo”. Questo per via di contenuti anche espliciti, come la presenza di alcune parolacce e bestemmie. Il cartaceo però arriva dopo un lungo periodo di permanenza sui social, ambiente, checché se ne dica, con una policy dalle regole rigide per cui, alla minima infrazione, partono ban e censure. Parlando di come reagisca a tali contenuti lo stereotipo dell’utente medio dei social, che legge le vignette per l’intrattenimento e non per riflettere, si scopre che in realtà il suo pubblico si autogestisce. Non è infatti mai capitato un caso di censura o di segnalazioni e ban.
L’autogestione è provata, ci dice Micheal, “con un test di 8 anni, in cui le persone, anche adulte, anche religiose, mi seguono, perché capiscono che non è un’offesa. Se devo bestemmiare, di certo non lo faccio sui social.”
Ritiene infatti ci sia un modo giusto e uno sbagliato di raccontare le cose: “con quello giusto, puoi raccontare tutto”. Così scatta il riferimento a film violentissimi o nella forma, o nei contenuti. Alcuni, pur con una forma discutibile per violenza manifesta o altra forma forte, possono raccontare una storia dolce, ma è vero anche il viceversa. Talvolta il linguaggio è una cosa, ma il messaggio è un’altra: “i miei personaggi non hanno messaggi efferati, linguaggi sì”.
Conclude l’incontro dicendoci che l’unica censura che apporta ai suoi personaggi è contenutistica, mai formale: un messaggio banale viene scartato, “ma tutti gli altri Scarabocchi, se hanno un contenuto originale, anche se detti non come li direi io, li lascio”.
Il gioco si spiega immediatamente, il messaggio arriva, lo dimostra il pubblico.
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