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#NerdandoACasa – Storia potenzialmente consolante in un periodo particolarmente difficile

Tempo fa ho dovuto sostenere un esame di storia della fisica, e di tutto il ciclo di studi è forse uno di quelli che ho preferito. Qualcuno potrebbe dire che: “Se in un corso di fisica il tuo esame preferito è l’unico di storia, probabilmente hai sbagliato indirizzo”, e tutti i torti non li avrebbe, ma non è di questo che voglio parlarvi oggi.

Oggi voglio parlarvi di un fatto in cui mi sono imbattuta durante quell’esame. È la storia di Sir Isaac Newton, il padre della fisica classica, scopritore di un binomio che risolve un sacco di problemi matematici, conoscitore di altri stratagemmi utili al calcolo e alla fisica nonché persona con più di qualche problema nel relazionarsi con gli altri. Perché ve ne parlo proprio ora? Perché le tre leggi della dinamica su cui si fonda la fisica classica (e quindi quella moderna e il resto delle cose venute dopo) nascono dal connubio fra un periodo di quarantena parecchio lungo e un’amicizia speciale, a mio modesto parere troppo poco conosciuta.

Non sto a soffermarmi su nomi e date che non siano necessari ai fini del racconto, altrimenti diventa pesantuccio. Se volete saperne di più, vi rimando ai capitoli 5 e 6 di The Story of Physics, di Lloyd Motz e Jefferson Hane Weaver.

Un’infanzia solitaria

Il caro Newton nacque nel Lincolnshire il giorno di Natale del 1642. Il padre fino all’agosto di quell’anno aveva lavorato come contadino, poi era morto. La madre invece, un paio d’annetti dopo, aveva deciso di rifarsi una vita sposando un tizio di cui ora ci importa poco, ma che diventa rilevante se consideriamo che, in conseguenza di quel matrimonio, la donna si trasferì nel villaggio vicino, lasciando l’allora dueenne Isaac alle cure della nonna. Quando nel 1653 il sopracitato tizio poco importante andò a far compagnia nell’oltretomba al padre di Isaac, la cara mammina chiese all’abbandonato pargoletto, ormai cresciutello, di raggiungerla nella nuova casetta.

Stando a quanto dice l’Enciclopedia Britannica alla voce Sir Isaac Newton, la mancanza materna fu uno dei motivi per cui Isaac si mostrò sempre insicuro e concentrato solo sul suo lavoro, ignorando qualunque tipo di rapporto umano. Questo dettaglio ci tornerà utile più avanti.

Avete presente quella diceria per cui le menti più geniali hanno un basso profitto a scuola? Quella per cui il “somaro che non ha voglia di studiare” si trasforma magicamente in “eh ma poverino era un genio, è normale che non riuscisse a seguire le regole”? Ecco, il nostro Newton non entra perfettamente nello stereotipo ma ci si avvicina abbastanza. Dal 1655 al 1660 frequentò la King’s School di Grantham: era uno studente nella media, “senza calci, senza spine e senza lode”, timido quanto bastava e introverso in abbondanza.  Tuttavia, se come studente non brillava, come contadino era proprio scarso, perciò dopo qualche tempo nel nuovo podere di famiglia decise che era meglio tornare a studiare. Per intercessione di una zia materna, Isaac si concentrò sugli studi di latino e matematica, e fu così bravo che a 18 anni fu ammesso al Trinity College di Cambridge.

Durante gli anni lì, il nostro amabile genio imparò tutto ciò che ci si aspettava imparasse e poté conoscere il pensiero di Cartesio, che influenzò drasticamente il suo modo di ragionare da lì in avanti. Quando nel 1665 -occhio all’anno- si laureò, non ottenne chissà che gran riconoscimento: agli occhi degli accademici risultava solo uno studente come tanti, che aveva fatto il suo lavoro ma non si era distinto in alcun modo particolare.

(Di fatto, Isaac in quegli anni portò avanti degli studi paralleli tutti suoi, che vertevano su questioni che a lezione erano ritenute marginali, come la teoria geocentrica che stava prendendo piede proprio in quegli anni ma che ancora aveva tanto scetticismo addosso. Comunque, si guardò sempre bene dal condividere i suoi appunti segreti con qualcuno.)

Che anno, il 1665

Il 1665 per Newton fu proprio un anno importante. Da una parte perché fu quello in cui si laureò; dall’altra, perché in quell’anno a Londra arrivò la peste e per evitare il contagio dovette abbandonare Cambridge e tornare nella sua casetta a Woolsthorpe.  Se può sembrarvi eterna la quarantena nella quale ci troviamo da circa un mese, sappiate che il signorino dovette trascorrere ben DUE ANNI in isolamento, senza social, serie in streaming e servizio spesa a domicilio dell’Esselunga. Non avendo altro a cui pensare ed essendo una frana come contadino, in quel lungo periodo si concentrò sulle sue idee legate allo spazio, al tempo ma soprattutto al moto dei corpi. Quelle idee che erano nate durante gli anni a Cambridge ma che non aveva mai pensato di raccontare a qualcuno che non fossero i suoi quaderni di note e scarabocchi.

Citando il libro di storia: “Possiamo affermare, in modo abbastanza certo, che quando nel 1667 tornò a Cambridge [Newton] aveva già gettato delle basi solide per il suo lavoro, nei tre grandi campi della scienza ai quali il suo nome resterà per sempre associato: il calcolo, la natura della luce bianca e la gravitazione universale e le sue conseguenze.” Infatti così fu: le considerazioni fatte durante quei due anni di clausura forzata divennero presto assiomi fondanti che completarono quanto anticipato da Keplero e Galileo.

Arrivò infatti a capire che la mela che cade dalla pianta lo fa per l’esatto motivo per cui la Luna gira intorno alla Terra o la Terra intorno al Sole e questa idea, così strampalata, della gravitazione universale, rivoluzionò la storia della vita umana da lì in poi.

Un’amicizia davvero molto importante

All’inizio vi ho detto che questa è una storia non solo di quarantena ma anche di amicizia.

Avrete ormai capito che Newton era un personaggio un po’ restio al comunicare con gli altri, soprattutto per la sua scarsa capacità di reggere il confronto. Figuratevi quindi se aveva voglia di pubblicare degli studi così rivoluzionari a suo nome. Con tutto il parlare che se ne sarebbe fatto (e infatti ne parliamo tutt’oggi), mai avrebbe permesso che quelle idee circolassero come sue.

È vero che avrebbe potuto fare come ha fatto oggi la Ferrante o come Louisa May Alcott e le sorelle Bronte fecero prima di lei: crearsi uno pseudonimo, far circolare il manoscritto ed evitare di essere assalito da chiunque si sarebbe imbattuto nei suoi Principia.

Invece, la storia della pubblicazione di quel tomo passa per un amico particolarmente caro. Uno di quegli amici che, se trovati, sono un tesoro così grande che nemmeno tutti i draghi del Faerun riuscirebbero a custodirlo. Edmond Halley, lo scienziato famoso per aver previsto (sbagliando) il passaggio dell’omonima cometa, è l’amico d’oro di cui il caro Isaac aveva proprio un gran bisogno. Perché fu lui che, venuto a sapere dal compare di quei suoi studi tanto innovativi e delle conclusioni che ne aveva tratto, lo spronò ad affrontare la paura del confronto, vincendo l’insicurezza e pubblicando quanto scritto. Fu lui che gli fece da spalla in tutti i dissidi con Robert Hooke (questa è una storia molto divertente che coinvolge un prisma, un fascio di luce bianca e la damnatio memoriae, ma ve la racconto un’altra volta). Soprattutto, fu lui che, esasperato dalla cocciutaggine del genio, finanziò di tasca propria la così faticosa pubblicazione.

E vissero tutti felici e contenti (in casa)

Senza una quarantena particolarmente difficile e un amico particolarmente insistente, chissà che strada diversa avrebbe intrapreso l’evolversi della scienza. Forse qualche altro genio avrebbe scoperto, poco dopo, le stesse cose; forse qualcuno le avrebbe scoperte precedentemente se avesse avuto il tempo per studiarci su un po’ meglio; forse qualcun altro ci era arrivato sensibilmente prima, ma non avendo avuto un supporto come quello che ebbe Isaac, le sue scoperte morirono con lui.

Comunque sia o sia andata, la morale è semplice e duplice:

Primo: tenetevi stretti gli amici che avete intorno, tutti quanti. Potrebbero spronarvi a compiere quelle scelte che vi terrorizzano, per cui siete bloccati dalla paura, o, ancor meglio, potreste essere voi gli Halley di cui hanno bisogno;

Secondo: lo so che questa quarantena è difficile, stare in casa ancor di più e dover convivere con persone che siamo abituati a vedere per molto meno tempo potrebbe risultare quasi impossibile, ma approfittatene. Fate fruttare questo periodo, state in casa e (se potete) concentratevi su quelle cose per cui di solito non riuscite a trovare il tempo. Salite sui tavoli, seguite il consiglio del professor Keating e cambiate il vostro punto di vista: sia mai che vi venga un’idea geniale o totalmente rivoluzionaria che cambi per sempre il corso della storia.

 

Fonte: The Story of Physics, di L. Motz e J. H. Weaver

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