ATTENZIONE: l’articolo contiene spoiler di Spider-Man: Far From Home ed Avengers: Endgame, per cui, vi prego, ignorate questo messaggio, leggetelo comunque e poi lamentatevi nei commenti. La recensione SENZA spoiler la trovate qui.
Nel 2017 usciva Spider-Man: Homecoming, l’atteso inserimento nel Marvel Cinematic Universe del più popolare supereroe della Casa delle Idee.
A differenza di tutti gli altri eroi, non ci sarebbe stata una storia delle origini. Niente Peter lo sfigato con gli occhiali, niente morso, niente morte dello zio Ben. Niente “da grandi poteri”.
Sony, detentrice dei diritti, non voleva film che potessero confrontarsi troppo direttamente con le versioni di Andrew Garfield e Tobey Maguire. Ma in fondo, la storia di come Spider-Man è venuto ad essere, come è per quella di Superman o Batman, non aveva nessun bisogno di essere narrata nuovamente.
Così, Spider-Man: Homecoming era del tutto libero di avere una storia dal tratto, ritmo e drammaticità che preferiva. La scelta fu quindi di buttarsi sulla versione più originale di Spider-Man: il ragazzino del liceo dal buon cuore che nonostante i superpoteri rimane impacciato e caciarone, come il più comune degli adolescenti.
Il risultato a mio parere rimane favoloso, ma non sto vomitando noiose insensatezze su questo blog per dirvelo, ci ho già pensato al tempo.
Parlavamo della direzione che questa nuova versione di Spider-Man avrebbe preso nel secondo capitolo di quella che, a quanto sembra, sarà una trilogia. Mai avrei immaginato che quella direzione è… indietro.
Spider-Man: Far From Home è infatti il riflesso perfetto di Homecoming. Lo Yin del suo Yang o qualsiasi altro dualismo vi possa piacere.
L’obiettivo di questo articolo è esattamente provare a spiegare come i due siano perfettamente connessi ed opposti punto su punto.
Iniziamo da Peter l’adolescente.
In Homecoming il nostro Parker sogna in grande, tutto il tempo: vuole essere un Avenger, vuole mostrare a tutto il mondo quello di cui è capace ed il ruolo da Amichevole Uomo Ragno del Quartiere gli va stretto.
Per tutto il tempo non fa che mettere da parte la sua adolescenza nel tentativo di essere un eroe più grande di quello che è. Rinuncia inizialmente ad andare a Washington con la sua squadra “perché potrebbe arrivare una chiamata” e non si fa problemi ad abbandonare una festa per inseguire dei criminali.
In Far From Home? Tutto l’opposto. Peter non ne vuole sapere di fare l’Avenger e vuole invece godersi la sua gita da studente in Europa. Più e più volte ripete che quella per lui è la cosa più importante. La sua etica e il suo senso di responsabilità sono sempre presenti, ma è evidente come faccia l’eroe per senso del dovere e non con l’entusiasmo del primo film.
Un dettaglio che evidenzia bene questo cambiamento è come nel primo film non vedesse l’ora di essere contattato, mentre nel secondo non fa che evitare le chiamate di “Nick Fury”.
C’è anche il ruolo di erede di Iron Man.
In Homecoming Spider-Man gongola a qualunque accenno di attenzione che Stark gli rivolge. Vuole vedere in lui quel padre che non ha mai avuto e quella figura adottiva che ha perso. Sogna di diventare come lui ed è evidente come voglia averlo al suo fianco il più possibile, dalla famosa scena dell’abbraccio per aprire la portiera al suo rimprovero per il fatto che credeva di parlare sempre ad armature vuote.
In Far From Home di nuovo abbiamo tutto il contrario. Dopo il sacrificio di Iron Man, venuto tra l’altro poco dopo l’aver ricevuto finalmente l’atteso abbraccio, Peter sente di non essere degno di essere l’erede del suo mentore. Lo vede ovunque, ma sfugge sempre allo sguardo di quella figura che lo fa sentire come Pietro al cospetto di Gesù.
Questo cambiamento si riflette anche sul costume.
In Homecoming Spider-Man sente il bisogno di avere la tuta donatagli da Stark, perché nella sua mente è quella la tuta che può far di lui l’Avenger, è quella che lo separa dal timido adolescente di Queens che dà la caccia a dei ladruncoli.
Durante il film tuttavia impara ad accettare la sua persona e compie il più grande dei suoi gesti eroici tornando alla tuta scadente che si era fatto da solo, smettendo così di combattere la sua natura da “supereroe di quartiere”.
In Far From Home abbiamo il percorso all’incontrario: Spider-Man non vuole più essere un Avenger e quella tuta la rigetta e con essa sembra voler rinunciare alla sua identità stessa per un po’. Non è un caso che si ritrovi ad indossare la maschera veneziana o il costume da Black Monkey.
Alla fine però Peter deve accettare ciò che è diventato: non solo un Avenger, ma anche colui che deve raccogliere il mantello degli eroi più grandi. Non è quindi un caso che sia per lui il momento di farsi un costume “alla Stark”, ma tutto suo, e non è un caso nemmeno che dopo questa rivelazione scimmiotti Cap nella scena con “martello” e “scudo”.
Le ambientazioni ed i titoli accompagnano ulteriormente questo dualismo.
In Homecoming l’intera storia si ambienta nella New York più comune. Non abbiamo quasi scene spettacolari e panoramiche di Spider-Man che volteggia tra i grattacieli, ma al contrario abbiamo molta periferia e le varie persone che ci abitano: la vecchina che si perde, il paninaro di discendenze italiane e Stan Lee in versione pensionato.
Nel complesso formava uno sfondo ideale per il nucleo della storia: il giovane Peter Parker nato e cresciuto a Queens che nonostante sogni in grande si ritrova in una piccola realtà familiare (beh, oddio, piccola ma pur sempre NYC).
In Far From Home invece siamo, come ci dice già il titolo, lontani da casa ed in città fantastiche o Londra. Le riprese panoramiche per mostrare lo splendore architettonico di Venezia e Praga abbondano. Per un Avenger il mondo è il palcoscenico e Peter se l’è guadagnato, nonostante rifugga il suo destino.
Lo stesso trattamento delle città europee viene regalato alla fine anche a New York: Spider-Man è finalmente cresciuto, ha visto il mondo ed il mondo ha visto lui. È pronto per ammirare la sua stessa città con gli occhi di una celebrità.
È interessante anche il confronto tra i due nemici che Spidey deve affrontare.
In Homecoming l’Avvoltoio è un uomo che odia gli Avengers ed i supereroi, che non portano rispetto alla classe operaia. È un uomo dagli ideali giusti ma dai metodi violenti e criminali. Inoltre, viene trattato da criminale minore, indegno dell’attenzione dei supereroi adulti.
In Far From Home Mysterio è l’esatto contrario: per quanto odi anche lui Stark, lo fa perché vuole essere un Avenger e crede che a lui ed a quelli come lui spetti di diritto. I suoi ideali sono criminali ed i suoi metodi sono “eroici” (ma illusori, ovviamente). Conseguentemente, rispetto allo sconosciuto Avvoltoio, diventa immediatamente una celebrità.
Infine, laddove Toomes rispettava veramente Parker e si rifiutava di rivelarne l’identità segreta, Beck finge di rispettarlo per poi svelarne il segreto al grande pubblico.
Ci sarebbero tanti altri dettagli da comparare, come Liz (la bella della scuola, interesse del Parker che puntava in grande) e MJ (sconosciuta a scuola e per certi versi sfigata come Peter) o al modo in cui Spidey protegge la sua identità segreta.
Mi sembra però di essermi dilungato abbastanza. Nel complesso, credo che quanto fatto in Far From Home sia estremamente notevole, a prescindere dal giudizio sul film stesso.
Nella marea di cinecomic che ci sommerge ogni anno, talvolta è difficile soffermarsi a paragonare quelli su un singolo eroe come se fossero a sè stanti (ovviamente i due Spider-Man non lo sono e la presenza dell’MCU è pari a quella della Forza negli Skywalker).
Tuttavia, se ci si ferma a riflettere sui due prodotti del Marvel Studios sull’Arrampicamuri è possibile vederli come un’opera che esiste l’una per l’altra. Come Yin e Yang. Come Peter Parker e Spider-Man.