In un’afosa giornata di Agosto ho visitato il Comiket. “E checcos’è il Comiket?”, vi starete giustamente chiedendo.
Il Comiket, sagace abbreviazione di Comik Market (コミックマーケット), è una fiera di fumetti che si svolge biannualmente a Minato, distretto di Tokyo che si affaccia sulla Baia.
Sebbene nella forma non sia così differente da tante fiere nostrane, è decisamente unico nella sostanza. Infatti, il Comiket è (quasi) esclusivamente una fiera per artisti indipendenti che, riuniti in circoli, sono lì per presentare i loro lavori, prodotti e stampati di tasca propria.
Com’è andata
Ma andiamo per ordine, parlando di cose importanti, cioè il sottoscritto.
Il Comiket come tante altre fiere si svolge su tre giorni, da venerdì a domenica. Nel caso del Comiket 94 questo significava dal 10 al 12 di Agosto, il che implicava che per me era possibile recarmici solo la mattina del 10.
Armato di buona volontà, uno zaino vuoto e una Calpis mi sono quindi avviato e dopo un’ora e mezza circa di viaggio (un requisito minimo o quasi se ci si vuole spostare verso le estremità di Tokyo purtroppo) sono arrivato di fronte al celebre Tokyo Big Sight.
Lo definisco celebre, perché chi come me è abituato a leggere manga o vedere anime, si sarà prima o poi imbattuto in una serie che tira in ballo il Comiket e l’immediatamente riconoscibile edificio dove si svolge, come avviene ad esempio in Steins Gate o in Hayate the Combat Butler.
La fila per entrare, nonostante l’impressionante numero di persone presenti, scorreva senza troppi problemi, grazie anche all’assenza di biglietterie (sì, è una fiera gratis, roba dell’altro mondo eh?) ed inutili controlli agli zaini, giusto il tempo di dare uno sguardo agli svariati gadget che venivano regalati all’uscita dalla stazione.
All’interno il Tokyo Big Sight non è altrettanto appariscente e non è molto diverso dai padiglioni di Roma Fiera dove si svolge il Romics. La dissonanza immediata che si nota però è come, fedelmente alla natura della fiera, nella maggior parte dei padiglioni non vi siano grossi stand con insegne, brand, divise e quell’immagine da negozio in fase di smaltimento.
Invece si possono vedere file interminabili di tavolini dove gruppi di tre o quattro persone espongono il proprio prodotto, solitamente in vesti normali, talvolta in costumi più o meno interessanti.
Nonostante la mia totale ignoranza in fatto di produzione artistica indipendente giapponese, era immediatamente intuibile chi fossero gli artisti più attesi. Infatti, in pieno stile giapponese, piuttosto che lasciare che si creassero resse incontrollate davanti agli spazi occupati dalle star della fiera, gli organizzatori avevano preparato dei cartelli per far sì che si formassero naturalmente delle code all’esterno dei padiglioni stessi e che potevano accedere solo quando vi era lo spazio per presentarsi davanti all’ambito banchetto.
(Ammetto anche che all’inizio non avevo ben capito cosa stessero facendo e mi sembrava solo un mucchio di tipi che faceva file a caso, un’occorrenza non rara in Giappone. Perdonatemi per aver dubitato di voi, organizzatori-san).
Dopo un lauto pranzo a base di patatine e pollo fritto ho avuto anche l’occasione di visitare la parte più banale della fiera, ovvero quella dove si trovavano le produzioni su licenza e che più di tutte rassomigliava a una fiera qualunque.
In circa tre ore sono riuscito quindi a girare una buona parte del Comiket, grazie alla relativa facilità con cui ci si spostava nonostante la fiumana di persone.
Impressioni (del mese prima) di settembre
Il Comiket rappresenta indubbiamente un’esperienza interessante, non solo per l’emozione di poter visitare un evento ammirato così tante volte disegnato e animato.
Normalmente in una fiera mentre ci aggiriamo tra un banco e l’altro rimaniamo colpiti quando intravediamo la presenza di qualche autore. In questo caso invece si ha la coscienza di essere sempre di fronte al creatore dell’opera che stiamo guardando e sfogliando, il cui sguardo non è quello del negoziante che spera di ripagare il costo dell’affitto dello stand, ma di una persona che sta vedendo il frutto della propria mente giudicato.
Allo stesso tempo però, il Comiket presenta due problemi considerevoli.
Il primo è comune a quello di altre fiere, ovvero l’essere improntata esclusivamente all’acquisto. Non aspettatevi eventi, mostre, show, nemmeno una gara di cosplay (giustamente, visto che non possono avere il buon Zeno2K come giudice). Al Comiket, la gente ci va perché è quasi letteralmente l’unico modo di acquistare molto di quello che vi si trova (che, è bene ricordarlo, sebbene siano prevalentemente fumetti, include anche libri, videogiochi, guide, musica e altro).
La cosa in sé non è eccessivamente un problema, se non fosse che personalmente non conoscevo nessuno degli autori esposti né le loro opere, anche volendo tralasciare il problema linguistico. Di conseguenza tutto quello che potevo fare era girare e vedere copertine o disegni che potevano sembrarmi più o meno interessanti, ma che non mi richiamavano praticamente niente alla mente.
Il secondo problema è uno che probabilmente vi aspettate se siete anche solo leggermente a conoscenza della cultura doujinshi (ecco, se sapete che significa doujinshi, ovvero 同人誌, fumetto indipendente, è già sufficiente per capire dove sto per arrivare). Ovvero, la maggior parte dei fumetti esposti nella fiera è di natura apertamente erotica e non nella versione più artistica del termine, come un fumetto di Manara, ma in quella più banale ed appariscente.
Questo implica che personalmente la presenza di una buona metà, se non di più, degli albi esposti era per me del tutto ridondante, se non quasi fastidiosa da trovarsi costantemente sotto gli occhi.
Oltre a ciò, il Comiket è stato in generale il primo evento di questo tipo a cui ho assistito qui nella Terra del Pollo Fritto (se credete che sia quella del sushi vi sbagliate di grosso). A tal fine mi fa piacere notare come l’organizzazione fosse in tutto e per tutto eccellente, a dispetto di folle numerose e orari striminziti.
Inoltre ho avuto modo di constatare qualcosa di cui ero già vagamente a conoscenza, ovvero la diversa concezione del cosplay che si ha qui: non si trovano infatti decine e decine di cosplay come accade a Lucca, la cui maggior parte è abbozzata o preparata all’ultimo minuto; al contrario, se ne trovano ben pochi e quasi tutti femminili, ma con costumi particolarmente curati.
Oltre a ciò, i personaggi rappresentati sono quasi sempre degli originali (o quantomeno a me del tutto sconosciuti), piuttosto che incarnazioni di personaggi famosi di cartoni e fumetti.
In generale, è stata un’esperienza che è ben valsa il tempo ed il denaro, ma non penso la ripeterò né la consiglierei a chi non ha una certa passione per la produzione fumettistica e d’animazione giapponese. Per esempio se siete di Pisa ed avete di recente installato Pokemon Go “per avere una scusa per andare a camminare” potreste mandare in corto circuito ogni vostro neurone in pochi minuti dall’orrore.
Ora mi ritiro nel mio antro per dedicarmi a, uhm, studi sul fumetto che ho comprato.
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