Nell’articolo sono presenti alcuni spoiler, se non avete visto l’episodio FERMATEVI QUI!
E così, dopo due anni dall’annuncio di produzione della serie, il primo episodio di American Gods è finalmente disponibile. Per me, fan sfegatata del libro e dell’autore, era un momento atteso e temuto. Devo dire che, personalmente, la prima puntata ha fatto centro.
Bryan Fuller (Hannibal) e Michael Green (Logan) si sono presi il difficile compito di adattare a serie TV un libro complicato, multisfaccettato e dal fascino onirico tipico di Neil Gaiman. Con il pilot, diretto da David Slade, introducono l’universo narrativo e alcuni dei personaggi principali, rimanendo molto fedeli al libro, seppur con qualche modifica e alcune novità interessanti.
Ma veniamo al dunque! La scena si apre su una nave vichinga approdata sulle sponde americane e sui primi dei giunti con essa nel Nuovo Mondo.
Con l’introduzione del protagonista Shadow (Ricky Whittle), un galeotto rilasciato poco dopo la morte della moglie, e del misterioso Mr Wednesday (Ian McShane), entriamo nell’atmosfera effettiva della serie. Durante un volo aereo verso Eagle Point, la città di Shadow, i due uomini si trovano casualmente (?) seduti vicini, e Wednesday, che pare saperne parecchio su Shadow, gli offre un lavoro come suo aiutante. Una turbolenza impedisce all’aereo di atterrare dove previsto, quindi Shadow noleggia un’auto e si ferma per la cena presso un pub dai sobri sgabelli a forma di testa di coccodrillo… e lì ritrova un serafico Mr Wednesday, che gli ripropone l’offerta.
Da qui le cose iniziano a diventare strane, sia per lo spettatore che, soprattutto, per il povero Shadow. Prima viene incastrato nell’accettare il lavoro dopo aver perso il lancio di una moneta (che aveva pure truccato); poi si trova a sigillare l’accordo con dell’idromele (tipica bevanda americana); infine viene preso per i fondelli da Mad Sweeney (Pablo Schreiber), un irlandese autoproclamatosi leprecauno che, apparentemente, tira fuori monete dal nulla. La cosa degenera in una rissa, scena tamarra come poche, alla fine della quale Shadow ha guadagnato molti lividi e una moneta d’oro massiccio.
La mattina dopo, un dolorante Shadow si risveglia nel sedile posteriore di un’auto, con Wednesday al volante. È il giorno del funerale di Laura (Emily Browning) e Shadow, come da accordo, vi si reca per porgerle l’ultimo saluto… ma non tutto va come previsto. La moglie, infatti, è morta in un incidente stradale assieme a Robbie, il miglior amico di Shadow, probabilmente a causa del sesso orale che lei gli stava praticando in auto. Shadow ne resta distrutto. Dopo il funerale, getta la moneta d’oro sulla terra smossa della tomba appena scavata e, rifiutando le avances vendicative della moglie di Robbie, se ne va. Com’è noto, tombe e strane monete di solito non sono una grande accoppiata…
Ma per Shadow la giornata non è ancora finita. Mentre cammina per strada, viene attaccato da… una specie di face-hugger tecnologico, che lo trasporta in una limousine olografica. Lì, l’uomo viene interrogato da un ragazzo dalla strana acconciatura e dalle sneakers vistose (Bruce Langley). Il Ragazzo Tecnologico dichiara che Wednesday e gli altri sono il passato, sono finiti, e che loro sono il futuro; dopodiché, gli domanda quale sia il piano di Wednesday. Shadow, che non ci sta capendo più niente, rimane stoicamente fedele al suo datore di lavoro e non parla. La puntata si chiude con il ragazzo che ordina ai suoi sgherri (che sono un incrocio tra i drughi di arancia meccanica e l’avatar default senza volto di Twitter) di ucciderlo e con il successivo salvataggio in extremis di Shadow da parte di qualcuno (o di qualcosa?) che fa a pezzi gli sgherri in un fiume di sangue. To be continued.
Cosa dire? Innanzitutto, un plauso agli attori. Ricky Whittle è un ottimo Shadow: di etnia indistinguibile come il personaggio del libro, rende bene la sua solidità e la sua emotività nascosta. Risulta forse più umano della sua versione letteraria, dove a volte la sua personalità quasi sparisce, cambiando a seconda della persona con cui interagisce.
Ian McShane è convincente nel suo Wednesday affabulatore e imbroglione, mentre un Pedro Schreiber versione pel di carota è un buon Mad Sweeney.
Sono particolarmente curiosa riguardo al personaggio di Bilquis, interpretata da Yetide Badaki. Mi domando come la gestiranno e se intendano divergere dal libro. Come dite? Non ho ancora citato Bilquis? Beh, l’unica scena in cui compare, slegata dalla trama principale, è una scena che aspettavo di vedere da quando hanno annunciato la serie. Bilquis, reinterpretazione della Regina di Saba e, per associazione, dea dell’amore, è ridotta a fare la prostituta e ad ottenere adorazione dai suoi clienti per sopravvivere. Ah, l’adorazione comprende anche il sacrificio umano dell’adorante durante l’atto sessuale. Tramite inghiottimento dalla vagina. Direi che gli sceneggiatori ci hanno appena dimostrato che non hanno intenzione di censurare niente!
<aneddoto>
Qualche anno fa, una mia compagna di corso, che aveva iniziato a leggere il libro, parlò di questa scena con aria un po’ schifata. Ovviamente, fu una delle ragioni per cui American Gods finì nella mia lista di libri da leggere.
</aneddoto>
Passiamo ad una piccola analisi di alcuni dettagli dell’episodio.
Un aspetto che non si può non menzionare è lo stile grafico particolare, che sicuramente non incontrerà i gusti di tutti. Ma, d’altra parte, dovremmo già conoscere di che pasta è fatto Bryan Fuller, viste le atmosfere di Hannibal… Potevamo aspettarci qualcosa di meno da American Gods? Già dai primi minuti dell’episodio lo stile è evidente: le luci sono forti e direzionate, i colori quasi metallici, c’è un uso pesante della CGI e la resa è esagerata, con rallenty e sangue a fiumi palesemente finto. Scelta rischiosa, forse, ma chiaramente ragionata e voluta. Ad esempio, serve per rendere il senso di spaesamento di Shadow di fronte a cose che lui, non credendo, non sa davvero come affrontare. Questo succede sia durante i sogni o le visioni che ha, che durante momenti più “prosaici” come la rissa al pub: l’incredulità è presente senza bisogno di comportamenti o parole, in fedeltà al personaggio di Shadow. Inoltre, viste le scene cruente già presenti nella prima puntata, questo stile dà la possibilità di inserirne altre più avanti senza esagerare con la violenza realistica.
Altra cosa da menzionare è la quasi totale (per ora) aderenza al libro. Ci sono alcuni cambiamenti, ad esempio nel primo incontro tra Shadow e Wednesday, nell’aspetto del Ragazzo Tecnologico e nella scena della limousine, ma in buona sostanza l’episodio segue i primi capitoli del libro, e non solo a livello di trama. La collaborazione con Gaiman ha sicuramente dato i suoi frutti, vista l’ottima resa dell’atmosfera onirica tipica dei libri dell’autore. Del romanzo, però, è presente quasi anche lo stile di scrittura. La narrazione, infatti, è dal punto di vista di Shadow, che ha una conoscenza limitata delle cose e manca di una grande risposta emotiva, con capitoli che a volte sembrano “spezzati” l’uno dall’altro. L’episodio, infatti, lascia molti punti insoluti e non è una corsa verso la fine, bensì alterna momenti concitati a passaggi più lenti. Anche “Coming to America” e “Somewhere in America” (per intenderci: vichinghi e Bilquis) sono tratti direttamente dal libro, dove sono capitoli isolati.
Stile grafico e grande aderenza mi portano, per il momento, a una conclusione: American Gods è principalmente diretto a un pubblico che ha già letto il libro. Parlo da lettrice, quindi potrei avere un’impressione distorta, ma non ho percepito una grande volontà di creare interesse per la puntata successiva in nuovi adepti. Inoltre, la mole di informazioni che la puntata propone è grande, il che potrebbe lasciare spaesato chi si aspettava una serie più semplice.
Ecco, questo va detto: se con American Gods vi aspettavate una serie da seguire distrattamente, avete sbagliato in pieno. Sarà complicata, con alcune sottotrame e poche spiegazioni, ma, se lo standard è questo, darà davvero molte soddisfazioni. Per le prossime puntate continuerò ad avere sia timore che aspettativa, certamente… ma Fuller e Green mi hanno convinto a credere in loro.
Believe.