Recensione
Ho concluso la visione della quarta stagione di Sherlock che, dopo oltre due anni dalla precedente, ha finalmente riportato su schermo le avventure dell’investigatore e della sua fida spalla, John Watson.
Mi sembra, quindi, arrivato il momento di tirare le somme su una stagione nei confronti della quale, lo ammetto, nutrivo aspettative altissime. E che, forse proprio per questo, non mi ha soddisfatta pienamente.
Steven Moffat e Mark Gatiss ci avevano abituati ad essere esigenti, d’altronde, confezionando due stagioni praticamente perfette, in grado di fondere impeccabilmente azione e rispetto dell’originale, innovazione e tradizione. L’equilibrio si è però incrinato con una terza stagione un po’ troppo superficiale per poi riprendersi con lo speciale di Natale ambientato in epoca vittoriana.
Con queste premesse, la quarta stagione si presentava con un gran peso sulle spalle: quello di riprendere le redini della situazione e riportare la serie agli antichi fasti. C’è riuscita?
Per me, solo in parte. La recitazione dei protagonisti si è mantenuta ad altissimi livelli (Benedict Cumberbatch si conferma uno dei migliori attori viventi e la sua chimica con Martin Freeman è ormai collaudata), le scelte registiche sono coerenti con quello cui la serie ci ha abituati, l’emozione è sempre alle stelle.
Eppure resta un senso di inconcludente, che lascia l’amaro in bocca al fan più esigente.
Nelle righe seguenti cercherò il più possibile di evitare spoiler per chi non avesse ancora avuto occasione di guardare questa quarta stagione. Qualche riferimento alla trama degli episodi, però, è indispensabile per cui, se temete di rovinarvi la visione, fermatevi qui e completate la lettura solo in un secondo momento.
Le sei Thatcher
Dopo un enorme hype mediatico, la quarta stagione arriva finalmente sugli schermi e si apre con un episodio confuso che non mi ha lasciato ben sperare sul destino della serie. Le sei Thatcher mette davvero troppa carne al fuoco, senza riuscire a prendere una direzione precisa. L’impressione è quella di una totale mancanza di idee, nonostante gli oltre due anni di preparazione, e del tentativo di riempire i 90 minuti d’ordinanza fino al colpo di scena finale (in realtà piuttosto prevedibile per chi conosca il canone holmesiano).
L’unico aspetto dell’episodio che funziona davvero, almeno a livello emozionale, è proprio quest’ultima parte, che provoca una svolta nel plot ed apre la linea narrativa che farà, di fatto, da motore a tutta la stagione. Per il resto dell’episodio assistiamo ad una serie di casi che si susseguono senza soluzione di continuità e ad uno Sherlock esagerato nelle sue caratteristiche. Decisamente si poteva fare di meglio.
Il detective morente
Il secondo episodio di questa quarta stagione è, a mio parere, il migliore dei tre. Questo perché finalmente ci troviamo di fronte ad una trama sensata dall’inizio alla fine, che si inserisce nella macro linea narrativa di stagione ma, allo stesso tempo, è costruita in maniera più solida dell’episodio precedente. La narrazione, in poche parole, è decisamente più in linea con le stagioni precedenti, presentandosi dotata di un’indagine centrale ed un antagonista degno di nota. Come valore aggiunto, un Cumberbatch ispiratissimo regala a Sherlock le sfumature che erano mancate nella puntata precedente. Il cliffhanger finale, poi, completa un episodio finalmente all’altezza delle aspettative.
Il problema finale
Veniamo ora al finale di stagione (o di serie?), che ha diviso il pubblico tra chi lo ha amato e chi ne è rimasto deluso.
Personalmente, ammetto di non aver apprezzato fin dall’inizio la scelta di introdurre un terzo Holmes malvagio ma, nonostante questo, la puntata, che mantiene altissimi tensione e livello emotivo, non mi ha lasciata del tutto insoddisfatta.
Ho apprezzato in particolare la sequenza d’apertura, che è riuscita a trasmettermi un senso d’ansia che avevo provato poche volte davanti allo schermo. Degna di un plauso anche la sequenza con Jim Moriarty, che dimostra con pochi tocchi come, nell’economia della serie, il suo sia un personaggio fondamentale: da quando è stato introdotto, non è un caso che gli episodi più deboli siano stati quelli in cui lui non appariva.
Gli autori hanno cercato di supplire con il personaggio di Eurus: per quanto folle e ben interpretata, però, la Holmes in gonnella non riesce appieno nell’intento.
La sua storyline mi è apparsa forzata e, in fin dei conti, piuttosto inconcludente. La risoluzione finale, in particolare, stona con le premesse che erano state costruite durante la stagione ed in particolare nel corso di quest’ultimo episodio.
In conclusione, la funzione de Il problema finale appare quella di azzerare la serie e consentire, eventualmente, di ripartire da capo, resettando una trama che, forse, era sfuggita di mano agli autori, che non hanno visto altro modo per ritornare sui binari iniziali.
Allo stesso tempo, se l’ipotesi di una quinta stagione non dovesse essere confermata, questo finale sarebbe un perfetto commiato nei confronti del pubblico, una degna conclusione della serie che ha cambiato il concetto di Sherlock Holmes.
Nerdando in breve
La quarta stagione di Sherlock procede tra alti e bassi, con la costante di mantenere il coinvolgimento alle stelle. Non la migliore stagione realizzata, ma nemmeno la peggiore.
Nerdandometro: [usr 3.5]
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