L’archetipo dell’uomo che, naufragato su un’isola deserta, deve sopravvivere e tornare alla civiltà con la sola forza dell’ingegno. Potente, no? Talmente tanto che l’idea di Defoe è rimasta forte attraverso i secoli, proprio come sinonimo di avventura, sopravvivenza, uomo che sfida l’ignoto e come tale è stata declinata e sfruttata in migliaia di opere di qualsiasi tipo. Volevo partire da questo spunto generale e familiare a tutti per introdurvi ad una di queste declinazioni che si è affermata nei giorni più vicini a noi ma che sostanzialmente è rimasta la stessa di 300 anni fa, ovvero quella del naufrago, ma spaziale.
Se un’isola ignota e deserta come location per un’avventura è già di suo parecchio intrigante, pensate a quanto possa esserlo un intero pianeta: il naufrago spaziale è il Robinson Crusoe dell’età moderna (e futura).
Sul fatto dell’isola torneremo, perché la seconda grande fonte di ispirazione dell’opera parla proprio di un’isola deserta. So che avete già capito, che siete lettori furbi.
Le premesse di The Solus Project, opera seconda di Teotl Studio, che ringraziamo per l’opportunità di provare il loro lavoro, sono queste: siamo nei panni, anzi nella tuta spaziale, dell’unico sopravvissuto di una missione terrestre alla ricerca di un pianeta da colonizzare, miseramente schiantatasi sulla superficie di un affascinantissimo pianeta che però, come ogni buon posto dove si naufraga nella fiction, sarà un posto dove lasciare le penne.
Il primo impatto (ha fatto la battuta, ha fatto) è di quelli che colpiscono (beh, adesso basta con questo umorismo di bassa lega): ci troviamo su una spiaggia chiaramente aliena, sotto un cielo meraviglioso, su di un pianeta del quale non sappiamo assolutamente nulla tranne il nome, Gliese-6143-C.
Le premesse che adoro.
La prima parte di The Solus Project è incentrata tutta sulla questione della sopravvivenza: grazie al palmare multiuso del quale è fornita la nostra tuta, potremo e dovremo tenere sotto controllo le condizioni atmosferiche e quelle fisiche di noi stessi, per non andare incontro a simpaticissimi fenomeni di disidratazione, fame, insolazione, congelamento e così via. Fabbricheremo una utilissima torcia e dovremo imparare a portar con noi, soprattutto nelle escursioni più lunghe, borracce sempre piene e scatolette di cibo. Non spaventatevi però, perché seppur importante all’inizio, la gestione di cibo e acqua passerà un po’ in secondo piano grazie alle scorte piuttosto abbondanti che potremo trovare in giro per il pianeta, per dare un accento maggiore alle problematiche legate alle condizioni ambientali.
Su questo pianeta, infatti, troveremo un clima decisamente peggiore di Milano o Chicago: se di notte è un’ottima idea trovare un riparo dotato di falò per le temperature piuttosto rigide soprattutto se bagnati, di giorno non sarà indicato trovarsi su di un’altura baciata dal sole, con temperature oltre i 40°. Beh, questo sempre se non scoppierà una bufera di neve o ancor peggio una pioggia di meteore. E quella, ve l’assicuro, non ve la scorderete molto facilmente.
Ma cosa nasconde di più profondo, questo The Solus Project? Quindi si tratta di un survival piuttosto semplice? No, nient’affatto. Perché la parte più affascinante inizia proprio qui, quando metteremo il nostro casco fuori dalla sicura caverna e cominceremo ad esplorare e a cercare il modo per tornare a casa.
La missione principale richiede di costruire una torre radio per contattare l’astronave madre in orbita ma chiaramente non è tutto qui, poiché i ragazzi di Teotl sono stati estremamente bravi ad utilizzare a vantaggio della nostra curiosità un meccanismo molto caro agli amanti delle serie TV. Vi dice nulla la parola “Lost“? Vi dice nulla una botola, una statua misteriosa, delle enigmatiche costruzioni sparse nell’isola principale. Che vi sentiate Jack, Kate, Sawyer o John Locke non importa perché, comunque sia, nel tempo di una passeggiata in una grotta capiremo che questo pianeta non è proprio immacolato, anzi.
Pian piano, come degli antropologi o degli archeologi dell’avventura, seguiremo le tracce nascoste di questa civiltà per capire come mai siano spariti nel nulla. Gente, se vi piace un minimo la fantascienza, non vedo come possiate non innamorarvi in questo preciso istante di The Solus Project. Di contraltare al survival e alle camminate, scoprire pian piano i misteri del pianeta che si tingono progressivamente di una vena horror perfettamente calzante è il piccolo capolavoro del piccolo studio svedese: mentre lo provavo, ad un certo punto è scattato qualcosa che mi ha letteralmente incollato allo schermo. Un’emozione, quella della scoperta dell’ignoto, insita nell’uomo e nel videogiocatore, che qui troviamo declinata perfettamente, come nella migliore tradizione dell’avventura. Come sempre, no spoiler, non vi preoccupate.
Al brivido della scoperta si aggiunge un’ottimo comparto tecnico retto da un mai banale Unreal Engine 4, in grado di dipingere splendidi paesaggi alieni che sapranno affascinarci e coinvolgerci, riservandoci scorci stupendi.
Una pecca oggettiva l’ho trovata nell’interfaccia che gestisce l’inventario, bizzarra per quanto riguarda il crafting, e scomoda in generale, forse pensata con un occhio di riguardo per le console. Nulla di trascendentale, perché non avremo mai troppa fretta nell’eseguire le azioni, ma comunque scomoda.
Questo piccolo grande indie mi è proprio piaciuto e non lo nego; forse baro un po’ per il mio forte amore sia per l’avventura che per questo tipo di fantascienza ma, d’altronde, non fosse così, cosa ne starei parlando a fare?
Nerdando in breve
Se vi piace la fantascienza, se vi è piaciuto Lost, se vi affascina l’idea di un mondo alieno tutto da scoprire, avete trovato un gran bel titolo da amare e spolpare!
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