Siamo andati a vedere, chi prima e chi dopo, The Hateful Eight. Ecco cosa ne pensiamo!
Clack: Non è per niente facile parlare di The Hateful Eight, nemmeno dopo una nottata di sonno. Questo perché, in genere, dopo aver visto un film di Quentin Tarantino, esco dal cinema estasiata ed ammirata e, invece, stavolta stranamente non mi è successo. Intendiamoci: se amate lo stile del cineasta, in questa nuova pellicola troverete tutti gli elementi che lo hanno reso celebre, nessuno escluso. Eppure, qualcosa manca: manca l’anima. Caratterizzato da una regia perfetta (vederlo in pellicola 70 mm deve essere stata una vera emozione per chi ha potuto farlo) e interpretato da ottimi attori, The Hateful Eight rappresenta sicuramente la prova finora più matura di Tarantino, un’evoluzione naturale e necessaria. Se, però, da una parte conquista autorevolezza, dall’altra va a perdere la freschezza dell’invenzione che aveva caratterizzato capolavori come Le Iene e Pulp Fiction. La mia sensazione personale è che, con questo film, Tarantino abbia voluto dimostrare di essere un vero regista, di quelli degni di considerazione non solo dal pubblico ma anche dalla critica. A parte molti dialoghi, sempre brillanti, il film mi da l’impressione di un “buon compito per casa”, con situazioni iconiche, personaggi che ricordano alcuni dei precedenti tarantiniani, inquadrature da manuale e splatter qua e la, dove te lo aspetteresti. La scelta dell’unica ambientazione chiusa, già riuscitissima ne Le Iene, conferisce in più un’aria eccessivamente teatrale. In definitiva, non mi ha convinta, ma sono consapevole che The Hateful Eight vada interpretato come una fase necessaria per un regista che non può e non vuole restare uguale a sé stesso, che intende evolvere nel suo stile e nella sua cinematografia. Resta da scoprire a cosa approderà.
Falloppa: The Hateful Eight è un film maestoso, un tributo meraviglioso non solo ad un genere cinematografico di cui Sergio Leone è stato indiscusso maestro, ma anche e soprattutto ad un’America che ancora oggi può essere selvaggia e sconfinata. Tutte le scene all’aperto lasciano a bocca aperta per la loro bellezza e mi hanno fatto venire voglia di scoprire quale fosse la sala più vicina per vederlo in 70mm (in tutto lo stivale sono solo tre, dislocate tra Milano, Roma e Bologna), ma la cosa che colpisce maggiormente è l’abilità di Tarantino nel mantenere la sensazione di ampiezza anche negli spazi chiusi ed angusti in cui si svolge la maggior parte della trama. La pellicola va piacevolmente contro l’ondata di buonismo e politically correct che sta invadendo il mondo dello spettacolo per aderire fedelmente ad una società molto più dura, razzista e violenta ed a personaggi che non sono altro che la feccia di quella stessa società. Il film è tarantiniano in tutto e per tutto: lo è nei dialoghi, negli omaggi e nelle citazioni, nei flashback, nel sangue e nella violenza a volte insensata (anche se a tratti sembra esserlo in maniera forzata) all’interno di una storia che scorre un po’ troppo lentamente. Non so dirvi se The Hateful Eight è la migliore tra le otto pellicole girate finora da Tarantino, pur essendo più sbilanciato per il no, ma sono certo che si tratta di un titolo complicato, che costringe lo spettatore alla riflessione e che merita assolutamente di essere visto.
Giakimo: Allora, io il film l’ho visto qualche tempo fa, approfittando del fatto di non vivere in un Paese dimenticato da Dio e dalla grande distribuzione, quindi le mie impressioni riguardano anche cosa resta dell’ottavo film di Quentin Tarantino. Il film è meno pirotecnico delle altre pellicole di Quentin e questo non piacerà a tutti, quantomeno a quelli che si aspettano monologhi sagaci, discorsi sul nulla e battute memorabili. L’unico film paragonabile è Jackie Brown, che infatti a me piace ma non ai tarantiniani di stretta osservanza.
Però. Però è sempre Tarantino, quello che il film perde nei dialoghi (che sono comunque da paura) lo guadagna nella regia. Ecco, io un film tutto ambientato in una stanza, che dura più di due ore e che non annoia minimamente non l’avevo mai visto. Ci voleva Tarantino per farlo, supportato da un cast tutto in stato di grazia (e che ignoro come possa essere stato reso in italiano). In più c’è Morricone con una musica stupenda, che compare poco, ma quando lo fa lascia il segno (come nel bellissimo inizio).
jedi.lord: Questa è la prima volta che, uscendo dalla proiezione di un film di Tarantino, non sono eccitato e non urlo “CAPOLAVOROASSOLUTOH” come primo atto alzandomi dalla sedia.
Probabilmente avrei bisogno di rivederlo per capire: per capire se Quentin stavolta ha voluto strafare creando un maxi calderone di tutti i punti principali della sua poetica, facendoli esplodere sullo schermo in grande formato ed esagerando, dilatando, scomponendo e ricomponendo, utilizzando in maniera nevrotica e pedante il suo amore per i dialoghi fiume e la musica del suo mito Ennio Morricone.
I dialoghi di Tarantino li adoro, e alcuni li so a memoria, ma mai quanto questa volta li ho trovati semplicemente troppi rispetto al necessario.
Si spiega troppo in questo film, e in modo troppo brainless, tutto viene spiattellato in faccia senza richiedere un minimo di ragionamento, come ad esempio il flashback che spiega cosa è accaduto nell’emporio di Minnie: un intero capitolo dedicato e finisce lì, sai tutto. Avrei preferito un montaggio più spezzettato all’interno del film, anche perché, a mio modestissimo ed ignorantissimo parere, avrebbe donato alla pellicola un miglior ritmo.
Perché sì, forse è proprio questo l’aspetto che mi ha dato un po’ da pensare: è un film lento e non è un problema, ma il ritmo, soprattutto nella prima parte di film, latita. E questo non mi va bene, sono abituato male perché di solito Quentin riesce a mantenere il ritmo anche solo con i dialoghi.
Forse sembro estremamente critico, perché le aspettative erano altissime come sempre. Perché per me Tarantino è sempre stato una sorta di garanzia di qualità, so che uscendo dal cinema sarò felicissimo.
Si tratta comunque di un signor film, girato in modo impeccabile (e ci mancherebbe) tecnicamente, e con degli attoroni (forse Tim Roth un po’ troppo ispirato a Christoph Waltz, quando potrebbe permettersi senza problemi di dare una sua identità al personaggio). Splende il commento sonoro del nostro Ennio Morricone, e ci mancherebbe; sono convinto però che anche qui un montaggio diverso l’avrebbe esaltato ancor più. Ma rimane meritevole di tutti i premi vinti e che vincerà.
Menzione d’onore come miglior scena: Bob il messicano che suona le musiche di natale al pianoforte mentre il Maggiore inveisce contro il Generale. Mi rivedrei il film anche soltanto per quella scena.
Tencar: A causa dei lettori della pagina Facebook di Nerdando.com avevo aspettative altissime per l’ottavo film di Tarantino e sono rimasto deluso ma – dannazione – non riesco a spiegarmi il perché.
Prima che prendiate i forconi, credo sia giusto specificare alcune cose: The Hateful Eight è bello, la regia del maestro Quentin impeccabile, il cast stellare e la colonna sonora di Morricone encombiabile, eppure…
…Eppure, all’uscita della sala, c’è stato un leggero amaro in bocca, dovuto al fatto che Tarantino mi ha abituato tanto, troppo bene; purtroppo, non c’era (per la prima volta) una scena o un dialogo memorabili, che mi hanno fatto pensare: “Ma tu guarda che genio!”.
Facendo autocritica, do la colpa a me stesso che ero provato da una giornata sfiancante e, probabilmente, privo di stimoli e senza la voglia di emozionarmi.
Non vi racconterò la trama per non rovinarvi la sorpresa ma, fondamentalmente ed inaspettatamente, il primo colpo di pistola c’è quasi della pellicola, prima di questo evento ho avuto la sensazione di avere tra le mani una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e infatti, dopo che verrà premuto per la prima volta il grilletto, nulla sarà come prima e non si tornerà più indietro: è questo l’innesco che mi porta dentro la storia, buttandomi nella tempesta Tarantiniana che finirà soltanto con i titoli di coda.
Effettivamente, riscrivendone, un po’ di emozione è salita: dovrò rivederlo una seconda volta. Voi non fate come me, recatevi al cinema ben svegli e sappiate stupirvi, sono certo che non ve ne pentirete.
Zeno2k: L’ottavo film di Tarantino, il più tarantiniano dei tarantini e, sicuramente, il più autocelebrativo e citazionista della serie.
A mio avviso non eccelle nel complesso (non arriviamo, per intenderci, alle vette de Le iene), eppure tutto funziona dall’inizio alla fine: niente fronzoli, solo storia. Storia pura.
Tarantino confeziona una sceneggiatura intrigante con dialoghi stupefacenti (alla Tarantino, per intenderci); mette in bella mostra tutti gli archetipi del western (alla Tarantino); e poi ci regala: sparatorie, fiumi di sangue, splatter, critica socio-politica, menzogne e deduzioni degne di Sherlock Holmes (alla Tarantino).
Insomma: chi ama tarantino visceralmente, non può non amare questo film che, ad un primo sguardo, sembra effettivamente un western ma che, in realtà, è un film di Tarantino accidentalmente ambientato nel tardo 1800 americano.
Il giocattolo è di quelli a lui preferiti: la storia delle storie di un gruppo di uomini tra cui, de facto, non c’è nemmeno un “buono”; abbiamo un gruppo di bastardi senza onore, ammattiti dalla dura vita di frontiera, che cercano di portare a casa la loro pagnotta; il tutto compresso in una stanza da cui non possono uscire: in pratica la scena del diner delle Iene, o la taverna di Inglourious Basterds, ma della durata di quasi tre ore.
E poi citazioni dal cinema di genere, dalle pellicole degli anni ’70 a lui tanto care, la violenza (fisica e verbale) su donne, neri, minoranze etniche e chi più ne ha ne metta.
Chi lo ha giudicato noioso, inconcludente, privo di mordente, a mio avviso non ha davvero capito il senso di questo film che, a conti fatti, è vera arte. Arte cinematografica, arte per immagine e musiche allo stato puro.