Solo tre anni fa, se mi avessero detto che sarei diventato un assiduo lettore della Bonelli mi sarei messo a ridere.
All’epoca non mi perdevo una solicit della Marvel e stavo pure leggendo abbastanza assiduamente DC per la prima volta. Insomma, non c’era posto nel mio cuore (e nel mio portafoglio) per le cose Bonelli, a parte l‘incursione estiva sui Texoni.
Insomma, alla Bonelli facevano vecchiume, quindi meglio leggere di gente che non ha ancora imparato come infilarsi bene le mutande.
Cos’è successo dopo?
Per prima cosa ho capito che io (e aggiungo una larga fetta degli appassionati italiani) avevo un’idea della Bonelli distorta per stare dietro all’ennesimo reboot o eventone made in USA. Poi ho iniziato a leggere sempre più serie e storie classiche, scoprendo un mondo di avventure e di eroi che non teme rivali.
Ultimo in ordine di apparizione è Adam Wild. E io ho approfittato e sono salito a bordo, sebbene con qualche mese di ritardo.
La serie è stata creata da Gianfranco Manfredi, già all’opera per Magico Vento e le due saghe Volto Nascosto/Shanghai Devil (di cui magari prima o poi tornerò a parlare). Graficamente i personaggi sono stati creati da Alessandro Nespolino, una delle varie colonne della Bonelli, che ha anche disegnato il primo numero. Dopo di lui si sono alternati ai disegni artisti già rodati come Paolo Raffaelli e Darko Perović e nuove leve scovate principalmente nei Balcani (terreno di “caccia” prediletto dalla Bonelli, che qui scoprì Goran Parlov).
Siamo in Africa, alla fine dell’Ottocento, all’apice del colonialismo e dell’Impero britannico. Adam Wild è un esploratore scozzese che vive su un’isoletta al largo di Zanzibar. Grosso e con dei baffetti alla Errol Flynn, Adam è un esploratore legato alla National Geographic Society. Ma è anche un accanito anti-schiavista e si batte per cancellare definitivamente questa piaga dall’Africa.
Adam viene ingaggiato dal conte italiano Narciso Molfetta per viaggiare sulle orme del leggendario esploratore britannico David Livingstone. Grazie ai fondi del conte, Adam ha l’occasione per proseguire nella sua crociata anti-schiavitù e, insieme ad altri personaggi come la principessa Bantù Amina, viaggia nell’Africa sub-sahariana un po’ seguendo le indicazioni del conte, un po’ facendo di testa sua, da buon scozzese.
Diciamolo subito, così mi levo il dente. Adam Wild non è una serie rivoluzionaria. Non è un genere nuovo per la Bonelli, come Dragonero, né un progetto multimediale coi colori e le lucine come Orfani. Ma non ha nemmeno la pretesa di esserlo.
Adam Wild è una serie d’avventura e basta. Tutto qui? Tutto qui.
È un problema? No, perché dovrebbe?
Francamente non capisco perché una serie si dovrebbe giudicare in base alla sua innovatività o al suo sperimentalismo. Adam Wild è una serie classica, scritta benissimo e disegnata spesso in maniera superba e tanto basta.
Ci sono degli accenni di trama orizzontale, gli episodi sono sì autoconclusivi ma sono comunque parte di un tassello narrativo più grande. E Manfredi ha comunque detto che, da adesso in poi, la serie avrà saghe più o meno lunghe, come già si intuiva dagli ultimi numeri con il programmato viaggio di Adam alla volta di Londra.
Niente che possa spaventare un lettore Marvel di lunga data, abituato a personaggi su personaggi che fanno cose con rimandi ad altre cose successe vent’anni prima.
La semplicità narrativa, comunque sia, non rende la serie meno potente, anzi. La condanna dello schiavismo è netta così come quella del colonialismo. Si tratta pur sempre di un fumetto e di un fumetto d’avventura ma in ogni modo vengono affrontate situazioni spinose e che portano a riflettere come il bracconaggio o il razzismo. Non male per una banale serie d’avventura, no?
Inoltre, il non avere una storia a lungo termine rende le storie sempre molto variegate. Ogni numero dei dodici finora usciti presenta caratteristiche diverse e tocca argomenti diversi. Si passa dall’arabeggiante Zanzibar alla savana, a Nairobi, alla giungla del Congo fino anche al Kilimanjaro.
In particolare, ho trovato estremamente ben riuscito l’episodio L’incubo della giraffa, che è quasi un horror psicologico diversissimo dal resto della serie. Se fosse una serie solo interessata alla trama principale non ci sarebbe spazio per questi isolati gioiellini.
Manfredi si è, come al solito, ben documentato e le storie sono piene di riferimenti culturali e non che mandano in brodo di giuggiole lo storico dentro di me. Non so quanto fedele e accurato sia Manfredi, ma in senso generale funziona tutto alla grande. Quindi no, non vedremo Adam Wild con un Kalashnikov, ma in compenso imbraccia una gatling gun da vero duro. E picchia pure i belgi. Giuro che è la prima volta che vedo dei belgi su un fumetto italiano.
Adam Wild è il classico eroe scavezzacollo e dalla morale granitica. È un personaggio impulsivo in tutti i sensi. Per certi versi è un eroe vecchio stile, ma immerso in un contesto reso molto più moderno del solito, lontano dall’Africa da cartolina che immaginiamo.
Accanto ad Adam spicca la bellissima Amina, grazie alla quale abbiamo innanzitutto un personaggio femminile veramente spaccaculi, e poi una coppia interrazziale per niente scontata.
Centrale nel mettere in moto molte situazioni è il conte Molfetta. La prima cosa che vorrei far notare è che è italiano. E a me piace molto quando compaiono personaggi italiani in fumetti d’azione e in fumetti storici, perché va bene tutto ma non possono esserci sempre solo americani ed inglesi!
Poi volevo sottolineare come il nostro conte è un personaggio sfaccettato, non è solo la spalla comica (sebbene spesso funziona così). È un nobile altezzoso e si vede, ma è anche un personaggio solare e curioso.
Gli africani non sono dei “buoni selvaggi” che dicono “si buana” e seguono i bianchi, né sono tutti buoni mentre i bianchi sono cattivi, ma sono personaggi veri e tridimensionali, alcuni buoni altri biechi e corrotti, proprio come doveva essere nella realtà.
In sostanza, Adam Wild mi piace e vi dovrebbe piacere proprio perché è una serie classica ma moderna. È classica perché lo stile di scrittura rimanda alla grande tradizione avventurosa italiana che va da Salgari alla Bonelli prima maniera. Allo stesso tempo però è moderna perché affronta situazioni e argomenti di grande peso, intrattenendo sempre alla grande.
Leggere Adam Wild significa lasciarsi trasportare in un altro mondo, seguendo ogni mese avventure diverse. Quando ho le mani su un nuovo numero non vedo l’ora di leggerlo e divertirmi, senza dover pensare a nient’altro che non sia il seguire la storia e vedere come farà Adam a tirarsi fuori dai guai. Niente rimandi o crossover con altri fumetti o mille personaggi da ricordare o grandi tematiche artistoidi, ma solo il piacere della lettura di un buon fumetto.
Anche perché, se c’è una cosa che la Bonelli ha dimostrato sempre nella sua storia è che fumetto d’autore e fumetto popolare non esistono, esistono solo fumetti belli e fumetti brutti. E Adam Wild è un fumetto bello.
Quindi speriamo che questo primo anno di storie sia solo il primo di tanti.