In questa nuova puntata della nostra rubrica sui giochi con un po’ di anni sulle spalle, voglio finalmente parlarvi di un titolo pazzesco, uno di quelli che non solo ti divertono per lungo tempo, ma si ritagliano un pezzetto del tuo cuore e rimangono lì per molti anni, dopo aver contribuito a plasmare i tuoi gusti ed il tuo immaginario in modo definitivo.
Molti lettori, specie i più giovani, avranno conosciuto Fallout grazie alle sue più recenti incarnazioni uscite anche su console, gli splendidi Fallout 3 (Bethesda, 2008) e Fallout: New Vegas (Obsidian, 2010), con l’attesissimo quarto capitolo in uscita da qui a pochi mesi.
Ma scommetto che, per quanto possiate aver apprezzato questi enormi gioconi, non sarete tutti andati a scavare nel passato della saga, che chiamare glorioso è non rendergli giustizia, un po’ per pigrizia, un po’ per disinteresse, un po’ perché il retrogaming non è una pratica così immediata, ma richiede un briciolo di passione e dedizione ulteriori. Ma noi di Nerdando.com siamo qui anche per illuminarvi la via!
I tre capitoli “precedenti” alla svolta 3D arrivarono soltanto su PC a cavallo del cambio di millennio, e soprattutto i primi due, Fallout (1997) e Fallout 2 (1998) fecero la parte dei leoni nella rinascita del gioco di ruolo per computer, genere in forte declino all’epoca. Il terzo titolo, Brotherhood of Steel (2001) era uno strategico-tattico piacevole, ma non mitologico come i due giochi di ruolo appena citati.
In particolare voglio soffermarmi sul primo capitolo, dato l’affetto incredibile che mi lega a questo titolo, e voglio provare a spiegarvi perché anche oggi vale la pena investirci qualche decina di ore del vostro prezioso tempo.
Fallout: A post-nuclear Roleplaying Game è ambientato, come forse saprete, un centinaio di anni dopo una spaventosa e brevissima guerra atomica che ha devastato il mondo, nello specifico gli Stati Uniti e la Cina, che si sono missilati a dovere e ora si ritrovano con distese desolate, aride, sparse di rovina e praticamente senza legge. In questo delizioso panorama futuro, impersoniamo un abitante del Vault 13, uno dei tanti bunker sotterranei predisposti dalla famosa VaultTech Inc. per permettere alla popolazione americana di salvarsi dall’eventualità di un conflitto nucleare. Ebbene, dopo quasi 100 anni di isolamento, toccherà proprio a noi uscire per la prima volta dal Vault, con la missione di recuperare il famigerato “chip per l’acqua”, che permette agli abitanti del bunker di depurare l’acqua e quindi di sopravvivere. Uscendo perciò all’aria aperta, faremo la conoscenza di un mondo completamente nuovo ai nostri occhi, cambiato radicalmente dalle conseguenze del conflitto.
E vi assicuro che la sensazione è stata unica. E lo è stata ogni volta che l’ho ricominciato.
Conobbi Fallout grazie ad una demo presente su un CD di PC Gamer, la installai perché, agli albori della mia carriera da gamer, avevo la bramosia di provare qualunque cosa per farmi una cultura. In un sabato pomeriggio di diciotto anni fa, quel mondo polveroso fatto di radiazioni, giacche di pelle, lamiere, violenza e humor nero (si, l’ispirazione a Mad Max è palese) mi risucchiò a tal punto, che, come diceva quello famoso, “ancor non m’abbandona”. La demo era incentrata fondamentalmente sul combattimento, rigorosamente a turni, ma molto dinamico, violento ed intelligente.
Purtroppo all’epoca le mie finanze erano quel che erano (a 13 anni non è che potessi pretendere chissà cosa), e dovetti rinunciare a Fallout per tre anni finché, nel mio primo esperimento di acquisto online (di una – ahimé – ora lunga carriera) riuscii a farmi arrivare per posta la collection contenente il primo ed il secondo capitolo.
Finalmente le wasteland della California erano lì di fronte a me, pronte per essere esplorate, nella loro brutale meraviglia.
Ora, so che se andate a cercare gli screenshot di Fallout su Internet vi sarà difficile provare stupore, a causa di una grafica isometrica e di colori abbastanza vintage, ma vi assicuro che la scoperta di quel mondo costruito con tale bravura e passione fu scioccante. Le rovine della civiltà precedente, le citazioni al passato, la libertà d’azione e la molteplicità di cose da fare, da vedere, di personaggi clamorosi con cui parlare, secondo me, spiccano oggi così come nel 1997.
A partire dall’azzeccatissimo sistema S.P.E.C.I.A.L. di costruzione del personaggio ispirato a G.U.R.P.S. (che è rimasto lo stesso anche nei nuovi capitoli), Fallout fu una bomba atomica nel panorama dei giochi di ruolo, perché offriva un approccio nuovo, una storia ed una ambientazione così intriganti che non si vedevano da anni, ed era (ed è) divertentissimo ed impegnativo da giocare.
In Fallout tutto contribuiva ad un’esperienza che rimane indimenticabile. Il close up sui personaggi importanti durante i dialoghi (addirittura animati, chi si ricorda il mutante?), il sistema di baratto con i tappi come valuta, il filmato iniziale con l’iconica frase “War. War never changes.”, cui fa da sottofondo la meravigliosa “A kiss to build a dream on” cantata dall’inconfondibile voce di Louis Armstrong, il sarcasmo e l’ironia che sfociano in humor nero sia nei testi che negli elementi di contorno come le finte locandine pubblicitarie, sono tutte componenti che sono divenute un vero cult nel mondo videoludico, firma distintiva inconfondibile dell’universo concepito dai geniali creativi della Black Isle Studios, pace all’anima sua.
No, non mi sono dimenticato dell’elemento forse più importante che caratterizza l’estetica di Fallout: il “retro-futurismo”. Un parolone con cui è definito il peculiare “stile” (o design) che caratterizza questo bellissimo mondo postatomico: siamo nel 2161, la guerra atomica è datata 2077, ma immaginiamoci che il design si sia fermato più o meno agli anni ’50, evolvendosi tecnologicamente a partire da lì, con particolare attenzione all’energia nucleare: quindi avremo automobili tipiche americane del dopoguerra con motori atomici, armi a raggi come quelle delle riviste pulp di fantascienza, computer e schermi a fosfori verdi con reminiscenze da bunker antiatomico della guerra fredda. E poi c’è lui, il famosissimo Vault-Boy, assurto a simbolo della serie, che qui ritroviamo come “interprete” delle abilità nella scheda del personaggio, piccolo dettaglio gustoso in un mare di contenuti curatissimi.
La storia e il mondo di Fallout, dicevo, sono particolarmente affascinanti e ben pensati: qualche tempo dopo la pubblicazione del gioco, uno dei designer del gioco, il grande Chris Avellone, pubblicò la “Fallout Bible”, una serie di documenti scritti durante lo sviluppo del gioco con lo scopo di spiegare meglio il background e la storia di fondo. Ovviamente, da bravo fissato, li lessi, e lì mi accorsi ancor di più di quanto Fallout non sarebbe lo stesso senza la sottile ironia molto sui generis che lo pervade. Questo risalta particolarmente pensando ai Vault, i grandi rifugi postatomici costruiti per proteggere la popolazione americana. Sebbene la Vault-Tec si propagandi come l’azienda che vuole il bene della popolazione, che si bea di una pubblicità fatta di proclami compiacenti e faccioni sorridenti che prendono in giro le réclame per l’uomo medio degli anni ’50 e ’60, lo scopo è quello di eseguire esperimenti sociali segreti su fasce selezionate della popolazione, per la maggior parte immorali e con tragici esiti. Di questi tragici esiti saremo testimoni girovagando durante le nostre avventure, ed è un aspetto in linea con lo spirito generale del gioco: un destino tragico per il mondo, ma sul quale si ride anche, molte volte amaramente.
Ci sarebbe moltissimo di cui parlare ancora, come ad esempio le fazioni (Fratellanza d’Acciaio uber alles), le quest, i compagni d’avventura, nonché il senso d’ansia e di urgenza trasmesso dal limite di tempo imposto per la risoluzione delle due main quest presente nella versione iniziale del gioco, poi rimosso per garantire una libertà di esplorazione ancor maggiore.
Il seguito, uscito l’anno dopo e ambientato qualche decennio più avanti, era un Fallout più grosso, più rifinito nelle meccaniche (seppur infestato alla morte di bug vari poi risolti) e più vasto, che permetteva addirittura di arrivare a vivere una sorta di vita parallela, mettendo su famiglia, trovando un lavoro anche amorale come lo spacciatore di droga; permetteva l’utilizzo di un mezzo come l’automobile e, in generale, presentava una incredibile quantità di quest e situazioni originalissime e ben pensate.
Però l’impatto e le emozioni che il primo Fallout mi seppe donare sono ancora qualcosa che nella mia memoria rimangono unici: e unica rimane la rosicata mostruosa di perdere il salvataggio pre-finale, frutto di sei mesi di avventure, per colpa di un Hard Disk rotto.
Il finale dovetti vederlo su Youtube anni dopo perché, seppur avendolo ricominciato molte volte, non riuscii mai a tornare di nuovo a vedere la scena finale, complici le mille avventure che ancora dovevo vivere. E anche l’amarezza di perdere i salvataggi, dannazione, quella è un colpo al morale mica da poco.
Io sarò pure un pazzo fomentato che di Fallout ne ha quattro copie in quattro formati diversi (ovviamente lo scatolone originale recuperato dopo anni di ricerche è custodito gelosamente come sacra reliquia), ma vi consiglio, prima di perdervi in quella che sarà una meravigliosa e terribile Boston del dopobomba, di fare un bel tour anche in California.
Sono passati anni, ma i capolavori sono sempre in forma smagliante!