Sapete ragazzi, nell’autunno del 1998 il mondo dei videogiochi era talmente diverso da quello attuale che sembrano passati secoli da allora.
No, non è l’inizio di una puntata particolarmente nerd di “How I met your mother”, ma uno sguardo nostalgico ad un’epoca ormai remota in cui essere “gamer” era tutta un’altra faccenda rispetto ad oggi.
Già, perché è facile definirsi “gamer” oggi, con tutte le comodità fornite da internet, dal costante bombardamento di informazioni, dalla facilità di accesso e reperibilità di qualunque cosa ci venga in mente che possa solleticare il nostro nerdismo.
È facile definirsi “gamer”, quando ci sono persone che giocano per te, e vengono trattate alla stregua di grandi star, grazie a Youtube. Altro che video di gameplay, scleri al microfono e montaggi professionali. E album di figurine.
È facile definirsi “gamer” oggi, quando con i tablet e gli smartphone abbiamo una ricca offerta di titoli non per forza casual da portarsi sempre dietro. Certo, una volta c’era il Gameboy, ma era diverso. Quello era pionierismo.
E da trentenne, oggi, sono fiero di aver vissuto un’epoca di frontiera, di novità, in cui tutto ciò che era fatto a pixel sembrava davvero animato da una magia speciale, una vera e propria porta su un nuovo mondo.
Fermandomi a riflettere, mi viene in mente che parte della magia forse scaturiva dal fatto che essere “gamer”, allora, te lo dovevi sudare.
Non sto parlando della difficoltà dei giochi, ma proprio della facilità di approvvigionamento e reperibilità dei titoli nell’epoca preistorica del pre-digital delivery.
La principale fonte di conoscenza videoludica della mia adolescenza, oltre al vivo scambio culturale con i coetanei, erano le mitiche riviste. Ne ero un avido consumatore, e per me rappresentavano un appuntamento mensile fisso ed imprescindibile. L’edicola diveniva il portale d’accesso privilegiato al mio hobby. Le recensioni sbilanciavano pesantemente la decisione d’acquisto di un titolo, facevano salire scimmie più grosse di King Kong e le anteprime erano colossali portatrici di salivazione aumentata pur contando tre screenshot in croce, dai quali si tentava di recepire il più possibile. Le svisceravo da cima a fondo, ogni santo mese.
Ma la chicca assoluta erano i CD Demo. I mitici dischi argentati che in 700 MB prima e in 4,7 GB poi permettevano a noi poveri derelitti, dotati della linea a 56 kacc…ehm, kbps, di godere di succulente versioni dimostrative dei titoli più attesi. Sempre se usciva, una versione dimostrativa.
E se la mettevano sul cd del mese.
Altrimenti, nada.
Non so se voi abbiate mai avuto il piacere di utilizzare questi arcani manufatti di quell’epoca nuova, ma se un titolo mi interessava davvero, io la demo la svisceravo alla morte, con la vana speranza di vedere sempre qualcosa di nuovo in più, pregando un qualche dio di silicio che nascosto nel codice ci fosse un misterioso metodo per sbloccare nuove aree, nuove cose da vedere o, magari, proseguire come se si trattasse di una versione completa.
Poveri CD Demo, e povere demo: ora grazie ai vari Torrent, eMule e file sharing vari le versioni pirata fungono da vere e proprie versioni di prova, e non c’è più magia in questo. Tutto fornito su un piatto d’argento. Oltre ad essere banalmente illegale.
E poi ora la demo non si usa più. Ora ci sono i video di gameplay. I trailer uber cinematografici. Guardare, ma per toccare tira fuori il danaro.
Se le demo appartengono ormai al passato, un’altra emozione di noi gamer d’antan che oramai s’è persa nei flutti del tempo è quella della ricerca spasmodica di un titolo quando finalmente avevamo deciso di acquistarlo.
Innanzitutto dovevi conoscere la data di uscita del titolo, sempre basandosi su ciò che dicevano le riviste, e se queste si sbagliavano era un viaggio a vuoto. Così come si faceva un buco nell’acqua se il titolo che cercavi tanto era di nicchia e magari non distribuito ufficialmente in Italia. In quel caso, a parte colpi di fortuna, bisognava rinunciare o gettarsi nel periglioso mondo degli acquisti online, che alla fine del XX secolo erano un mondo confuso. Signori, all’arrivo di Paypal mancava ancora qualche anno.
Vivere in una città piccola di certo non aiutava, ma la soddisfazione di accumulare paghette su paghette per poi andare in negozio, prendere l’ultima, meravigliosa scatolona dallo scaffale e sviscerarne la confezione durante il tragitto per tornare a casa era impagabile.
Oggi, tra vetusti cestoni di centri commerciali che svendono i videogiochi scatolati, offerte in digital delivery che ti bombardano da ogni lato, Humble Bundle e saldi estivi, le nostre librerie digitali sono così sature che dovremmo prendere in prestito vite di altri per giocare tutti i titoli che accumuliamo. A che serve una demo, se un gioco completo posso pagarlo 3 euro? Il problema è che resta lì a far polvere nella libreria, mentre ricordo di aver dedicato ore della mia vita anche ad indegne porcherie presenti sui cd demo, semplicemente perché poter provare qualcosa di nuovo era un passo verso l’ignoto. Un passo meritato.
Tanta nostalgia in quest’articolo, ma molto probabilmente non ci tornerei in quell’epoca. Il mondo va avanti, e forse un po’ di magia si è persa. Ma quei momenti io me li tengo stretti perché mi fanno ricordare cosa significa avere una passione.