Gennaio 1998.
Avevo un mio pc personale da soltanto sei mesi, e già agli albori della mia carriera videoludica su questa piattaforma cercavo di capire quali titoli potessero offrirmi delle esperienze indimenticabili. Avevo comprato da un mio amico, di seconda mano, The Curse of Monkey Island, il terzo capitolo delle avventure del buon vecchio Guybrush Threepwood, attratto dalla splendida grafica disegnata a mano e dall’irripetibile ironia che permeava ogni dialogo, battuta ed enigma. Fu quel titolo che mi fece innamorare delle avventure grafiche, e della mai troppo compianta LucasArts.
Ricordo che in una scena del gioco ambientata a Puerto Pollo, ad un certo punto Guybrush entra in un ristorante dove, riverso su un tavolo, c’è un tizio che sembra inerte. Andando ad osservarlo meglio, il tizio si rivela essere uno scheletro, e sulla sua spilletta si leggeva: “Chiedimi di Grim Fandango”. Che diavolo è, Grim Fandango?
30 Ottobre 1998.
Dopo aver risparmiato per qualche mese, mi presento fiero alla cassa di quello che era il mio negozio di videogiochi, Union Computer, con uno scatolone colorato che non vedo l’ora di aprire, che recita: “Un’epica storia di crimine e corruzione nella Terra dei Morti”. Lascio le mie centomila lire, prendo le cento lire di resto, e corro a casa.
Quella sera pioveva, come nei migliori incipit dei film noir.
Non avevo un appartamento come quello di Sam Spade, ma ero pronto a cominciare un viaggio indimenticabile, che segnò, purtroppo, (ma ancora nessuno lo sapeva) anche la fine di un’epoca d’oro dei videogiochi.
Le avventure grafiche, che avevo cominciato ad amare in quell’anno di gaming su pc, ebbero in Grim Fandango il loro canto del cigno.
Non riesco a bandire la nostalgia, se parlo di Grim Fandango, perché oltre ad essere un capolavoro già di per sé, rappresentò per un quattordicenne appassionato di storie ben narrate un’esperienza ed un viaggio di quelli che ti rimangono dentro ancora dopo molti anni.
Tim Schafer de il suo team si ispirarono al folklore messicano, e alla concezione dell’aldilà degli Aztechi, per creare un’ambientazione davvero inedita e sorprendente, così come coloro che lo abitano: i personaggi, ispirati alle tradizionali calacas, bambole della Festa del giorno dei morti, hanno le fattezze di scheletri, che vivono nella Terra dei Morti, una sorta di mondo che fa da anticamera (o da limbo) per arrivare al Nono aldilà, destinazione finale di tutte le anime dipartite.
Detta così potrebbe sembrare un’ambientazione cupa, angosciante, quasi da horror: e invece, in linea proprio con il folklore messicano, il giorno dei morti rappresenta una festa e la città di El Midollo, luogo di inizio della nostra avventura, è proprio una metropoli addobbata a festa per l’occasione.
I colpi di genio non finiscono qui, perché il nostro protagonista, il buon Manny Calavera, è un agente che si premura di procurare e vendere pacchetti di viaggio per l’attraversamento della Terra dei Morti in un tempo proporzionale al comportamento in vita dei propri clienti.
Saranno una crisi lavorativa ed esistenziale, l’incontro con una “donna” stupenda e l’avidità di spietati criminali a fare da incipit ad un viaggio che porterà il caro Manny in giro fino agli estremi confini di questa landa mitologica per quattro anni della sua vita ultraterrena, e che porterà noi che lo accompagneremo a gustare una trama raffinata, dialoghi brillanti (e dal creatore di Monkey Island, Day of the Tentacle e Maniac Mansion non ci si aspettava altro), enigmi impegnativi e momenti di divertimento, commozione e rabbia, ai vertici assoluti di un genere che proprio con Grim Fandango inizierà ad avere una lunga crisi di identità.
Guardando qualche immagine di Grim Fandango su internet, probabilemente vi sarete imbattuti in Manny vestito di tutto punto con uno smoking bianco: vi ricorda qualcuno? Forse un certo Humphrey Bogart in un certo capolavoro del cinema chiamato Casablanca? Ebbene si, in Grim Fandango, Tim Schafer e il suo team pensarono bene di rendere ancora più indimenticabile l’atmosfera miscelando il folklore messicano al sapore unico dei film noir degli anni ‘40.
Signori, il risultato è ovviamente strepitoso, e rimarrete incantati dalle ambientazioni ricche di fascino e dai temi più adulti della media degli altri titoli della Lucas: Rubacava, città misteriosa che richiama a gran voce la San Francisco de “Il Mistero del Falco”, e allo stesso tempo Casablanca (il Calavera Café, con Glottis al pianoforte come Sam è indimenticabile); El Midollo, con i suoi tipici edifici in stile Art Decò, contaminato dall’arte azteca; la colonna sonora, che se ascoltata a parte vi evocherà immagini di strani complotti su moli nebbiosi, fumosi jazz club ove Duke Ellington si esibisce sul palco e femme fatale dagli occhi languidi e segreti inconfessabili, per poi stupirvi all’improvviso con esplosioni di musica folk sudamericana.
I personaggi rispecchiano in tutto e per tutto quella particolare estetica: Manny, tenebroso e disincantato, avrà in Glottis una controparte più ironica e solare; i cattivi, sottili, spietati e subdoli e l’angelica Mercedes, donna gentile ma non indifesa.
Ad un’estetica clamorosa, Grim Fandango fece eco anche con una innovazione importante dal punto di vista più tecnico: l’interfaccia ad oggetti e verbi, la famosa SCUMM marchio di fabbrica della LucasArts, già ridotta e ridefinita in The Curse of Monkey Island in questo titolo scompare completamente, e Manny stesso diventa interfaccia. Il mouse non serve più, il motore GrimE permette a Manny di voltare lo sguardo verso gli oggetti interessanti, e il suo abito diviene l’inventario. Un sistema che fu criticato all’inizio, ma che fece storia: il primo punta e clicca dove non si cliccava più, e con i personaggi in 3d completo.
Era quasi un delitto fino ad oggi dover penare per recuperare questa perla assoluta, e doversi sobbarcare patch amatoriali per l’installazione e fix per giocarci senza (quasi) problemi sui moderni sistemi operativi: la Double Fine di Tim ha deciso di recuperarla, rimodernarla secondo i consueti standard e ripubblicarla a prezzo stracciato su PC, Linux, MacOS, Ps4 e PSVita. Per quanto riguarda il PC, lo trovate sia su Steam che su GOG, che hanno deciso di mantenere disponibili tutti i doppiaggi dell’epoca: perciò acquistandolo potremo godere della meravigliosa versione italiana, che annovera doppiatori di primo piano e una recitazione di alto livello.
Sono sicuro che se anche non l’avevate mai sentito nominare, dovreste fare un favore alla vostra carriera da gamer, ed a quella di vostri amici, parenti, conoscenti e fidanzate: Grim Fandango va giocato perché è un capolavoro immortale, e perché, se volete anche fare i fighi acculturati, potrete dire di aver provato e gustato l’ultima grande avventura della fabbrica dei sogni LucasArts, il magniloquente canto del cigno di un’epoca in cui le avventure grafiche erano i veri fiori all’occhiello dell’industria videoludica. L’uscita di Grim Fandango segnò l’inizio di una crisi del genere che arrancò per un decennio, forse troppo chiuso in sé stesso per cercare di rinnovarsi e tornare agli antichi fasti, e lo stesso titolo Lucas fu riconosciuto come un insuccesso commerciale, seppure osannato dalla critica. L’uscita del modesto quarto capitolo della saga di Monkey Island non cambiò affatto le carte in tavola (anzi), e la mitica divisione che aveva dato vita a quei capolavori immortali chiuse i battenti.
Avete una fidanzata che non comprende il vostro amore per i videogiochi, e pensa siano infantili? Mostratele Grim Fandango.
Avete dei genitori che pensano perdiate troppo tempo con i videogiochi? Ammettete che è vero, ma sottolineatelo esclamando: “Si, ma che capolavori!” e mostrategli Grim Fandango.
Avete amici che pensano che essere gamer significhi conoscere soltanto Minecraft, Clash of Clans o Call of Duty? Fategli fare un salto di qualità e mostrategli Grim Fandango.
Avete un conoscente che ha appena comprato un Pc e non sa che “giochino” installare per “passare un po’ di tempo”? Oltre a redimerlo dalle sue parole oltraggiose, fategli un favore introducendolo alla decima arte, e mostrategli Grim Fandango!
Buon viaggio verso il Nono Aldilà…e Viva la Revolución!