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Game of Thrones – Telltale sul Trono di Spade

Game of Thrones

Game of Thrones

L’inverno è arrivato. E magari fossero tutti così!

“Mapporcadiquella…”

Sono sbigottito. Sullo schermo scorrono i titoli di coda di “Iron from Ice”, il primo di sei episodi della nuova serie della Telltale Games dedicata all’universo narrativo di A Song of Ice and Fire di G.R.R. Martin, che i più conosceranno con il nome del primo libro, “Il trono di spade”.

L’ultima scena è un cazzotto nello stomaco, ma di quelli forti, ed è lì che mi sono definitivamente convinto che Telltale Games sia partita con il piede giusto.

Cercare di introdurre in modo serioso la saga in questione è tentare di sparare ovvietà in sequenza, data la maestosa popolarità che questa ha acquisito negli ultimi tre anni, grazie soprattutto all’omonima serie TV. Posso però accennarvi alla mia esperienza con le Cronache, che cominciò nell’autunno del 2009, quando l’aver terminato gli esami universitari ed essere tornato a vivere a casa, mi diedero il tempo e il modo di cominciare a gustarmi le vicende ambientate in quel di Westeros: nel giro di una quarantina di pagine la prosa e l’avvincente narrazione di Zio George mi avevano rapito e nulla sarebbe stato più lo stesso.

I miei elementi preferiti? Sicuramente la costruzione di una realtà così complessa e maledettamente plausibile di un medioevo alternativo, con casate, vassalli, araldica, costumi, cibi ed usanze e l’elemento “low-fantasy”, con il soprannaturale presente in modo sporadico e del tutto misterioso. Inoltre la splendida caratterizzazione in primis delle ambientazioni e poi dei personaggi così tridimensionali, vivi e reali da far spavento. Non avere un protagonista chiaro ma tanti punti di vista né una chiara caratterizzazione di buoni e cattivi da fantasy classico, ma piuttosto una distinzione trasversale che parla di onore, lealtà come contraltare all’opportunismo e al tradimento, ha fatto sì che elevassi ASOIAF fino in cima alle mie personali classifiche di gradimento di qualunque cosa.

Strano a dirsi, non sono un gran fan della serie TV che ho visto solo a pezzi e non mi ha mai convinto del tutto, in virtù delle scelte bislacche fatte dagli scrittori e di qualche cambiamento un po’ troppo azzardato che reputo insulso.

Però è proprio la serie che bisogna ringraziare se il franchise è assurto a vera e propria icona pop dei nostri tempi, e se Telltale Games ha deciso di prendere in carico l’arduo compito di trarne un videogioco degno del nome che porta, dato che i precedenti non è che siano stati così brillanti.

Io dei tipi di Telltale mi fido abbastanza (anzi no, li amo proprio), dato che negli anni scorsi hanno tirato fuori gran bei lavori, oltre ad essere praticamente tra i pochi in grado di saper trattare degnamente licenze cinematografico/fumettistiche: The Walking Dead né è un esempio eclatante, la Season One ha vinto premi su premi, è stata osannata dalla critica, e mi ha commosso, straziato il cuore, e strappato un posto nei miei ricordi che difficilmente si cancellerà (chi non vorrebbe una figlia come Clementine?).  La Season Two e The Wolf Among Us (tratto dalla graphic novel Fables, grazie ancora Telltale) arrivate l’anno successivo sono state la conferma dell’eccellenza di cui dispone la casa californiana soprattutto nel campo della scrittura e anche un lieve avanzamento dal punto di vista tecnico.

Arriviamo dunque al pezzo da novanta, la licenza che scotta: non deve essere stato facile gestire l’onere di non buttar via la possibilità di lavorare con un universo così amato e di successo. E Telltale non solo l’ha gestita alla grande, ma secondo me e per quanto sia possibile comprendere dal solo primo episodio, rischia di aver dato alla luce il suo nuovo capolavoro, ai livelli di quel The Walking Dead che osannavo prima.

Avevo il terrore che si accontentasse di fare il compitino, che tanto vendeva lo stesso, ma evidentemente qui ha tirato fuori le unghie, soprattutto sul versante scrittura, sua punta di diamante: i colpi di scena, l’intreccio della trama e i personaggi sono davvero di alto livello, e se qualcuno mi dicesse che le vicende della Casa Forrester, “protagonista” del gioco, siano state strappate via da Storm of Sword, nascoste fino ad oggi e risbucate fuori sotto altra forma, ci crederei senza problemi. Anche la struttura dei romanzi (e di conseguenza della serie) è stata mantenuta ed utilizzata alla grande per mantenere alti sia il ritmo della narrazione che la tensione: i famigerati POV, i punti di vista di personaggi diversi, che rendono la saga corale (quindi non focalizzata su un singolo protagonista), sono presenti e ci permettono di impersonare differenti membri della casata, tutti ottimamente caratterizzati ed a cui mi sono affezionato non appena apparsi.

Ho risentito quell’ansia, quel timore, quella situazione di sottile tensione per ogni singola scelta, per ogni singolo dialogo, forse ancor più che nella season one di TWD ed è qui che risiede la grandezza di queste avventure: a voler ben vedere, a livello di gameplay non ci sono stati sconvolgimenti epocali, piuttosto una conferma che, se supportato da una sceneggiatura ed una regia di spessore, il modello della “visual novel” interattiva tiene incollati allo schermo e riesce a coinvolgere nelle storie narrate anche più che gameplay molto più articolati. Vi assicuro che in alcuni passaggi sono rimasto bloccato a riflettere per più di un minuto senza avere il coraggio di agire…e non sempre il gioco permette di prendersi il tempo che si vuole!

A mio avviso, eccezionale è stata la coraggiosa scelta di ambientare queste vicende in un punto ben preciso della saga, corrispondente più o meno alla parte finale del terzo libro, A Storm of Sword (credo corrisponda alla terza serie). Coraggiosa perché non tutti quindi potranno godere delle vicende qui narrate, ma bisognerà avere come prerequisito una certa militanza  martiniana. Può non essere una scelta condivisibile, ma, per me, rappresenta un ulteriore indizio del fatto che il gioco sia stato creato da fan per i fan che già conoscono retroscena, personaggi principali, ambientazioni, vicende pregresse (con annessi spoileroni giganti sulla trama), e possono quindi sentirsi già di casa a Westeros. E il bello è che con i personaggi “famosi” interagiremo eccome, ma non saranno assolutamente loro a tenere il palcoscenico da soli, anzi! Ah, doppiati dagli attori originali, qui non si scherza affatto.

La nota “dolente” delle produzioni Telltale è di solito il comparto tecnico, non al top, ma mascherato da un riuscito effetto cell-shading adeguatissimo, date le serie trattate finora. Ma con Game of Thrones come si fa, dato che gli interpreti sono umani? I modelli dei personaggi rimangono sempre sul “fumettoso”, ma via i contorni e la china, la colorazione diventa molto simile a quella di un quadro ad olio, richiamando in più frangenti le illustrazioni ufficiali che si possono trovare su internet e sull’enciclopedia da poco uscita. Bella mossa e adeguatissima al contesto.

Il mio unico problema calzante, adesso, è l’attesa mostruosa creatasi per il secondo episodio, sperando in una schedula dell’uscita dei prossimi capitoli un po’ più serrata rispetto alle lunghe tempistiche di Fables e TWD, dato anche che la situazione che si prevede non è delle più felici per il nostro casato (e quando mai). E stavolta gli episodi sono sei anziché cinque come da tradizione, quindi la sofferenza per l’attesa s’allungherà!

Insomma, Telltale pare aver imbroccato la via giusta per questo grosso calibro ed io non vedo l’ora che arrivi il prossimo plot-twist a farmi sbroccare contro Martin e la sua genia. Ah, l’effetto Red Wedding

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