La legge di Murphy dice: “Se qualcosa deve andare male, andrà male”. Niente, se non questo assioma, descrive meglio l’esperienza di gioco che offre Black Fleet: il secondo titolo nato dalla collaborazione tra l’italiana Asterion e la francese Space Cowboys.
Potrebbe sembrare esagerato, però non sono l’unico ad aver avuto quest’impressione giocando a questo “rubabandiera piratesco”. Con il gruppo di “nerd scavatori” con cui mi ritrovo, siamo riusciti a fare diverse partite ed in ognuna, almeno un giocatore si è trovato nella frustrante situazione di non riuscire a fare nulla. Ovviamente ne scaturirà l’ilarità degli avversari più fortunati che non potranno far altro che accanirsi verso il povero zimbello del tavolo (solitamente io).
Ma facciamo un passo indietro e descriviamo brevemente il gioco.
In Black Fleet ogni giocatore verrà chiamato a gestire contemporaneamente una nave mercantile, una nave pirata e un vascello della flotta imperiale, con il fine di trasportare le merci tra i porti e le isolette raffigurate sul tabellone, arricchendosi il più possibile. Con i dobloni si potranno comprare prima le costose carte progresso (con prezzo crescente, ognuna porta dei bonus al giocatore) ed infine la carta vittoria. Ne consegue incredibilmente che il primo a comprare la carta vittoria sarà il vincitore.
Ogni giocatore parte con due carte movimento (in cui sono specificate le caselle di movimento di ogni nave della flotta) e due carte fortuna, che servono a rompere la monotonia del gioco. Le navi, poi, hanno diritto ognuna a un’azione diversa: con la nave mercantile è possibile prendere merci in un porto per poterle poi vendere in un altro (il guadagno sarà maggiore quanto più lontano è il porto); con la nave pirata si può rubare una merce alle navi mercantili nemiche (facendo guadagnare al giocatore due dobloni) o seppellire la merce nelle isolette disabitate; infine, la nave imperiale ci darà la possibilità di affondare le navi pirata nemiche (anche qui 2 dobloni al giocatore).
Fine.
Il gioco quindi è estremamente semplice e all’apparenza monotono, infatti le carte movimento differiscono poco l’una dall’altra. Tutta l’imprevidibilità (e le bestemmie) sta nelle carte fortuna. Sono troppo sbilanciate l’una con l’altra: ci sono carte, ad esempio, che ti permettono semplicemente di scambiare di posizione due navi adiacenti, ma altre che invece ti permettono di attraversare il tabellone quasi in un solo turno, ribaltando in un attimo ciò che si era creato, favorevole o sfavorevole che sia. I giocatori sono succubi delle carte fortuna che vengono pescate: spesso si è costretti a partecipare passivamente al gioco cercando di limitare i danni, mentre gli altri chiudono transazioni impossibili guadagnando tonnellate di dobloni insperati.
I dobloni appunto. A mio parere questo è l’unico punto di forza del gioco: la qualità dei materiali. Abbiamo in dotazione del materiale ricchissimo: le navi sono ricchissime di dettagli, i cubetti colorati dei materiali sono in legno e, soprattutto, i dobloni sono in metallo! Tutto bellissimo. E come tutte le cose bellissime, costa tanto. Ecco, mi ero ripromesso di non parlare del prezzo di un gioco, ma qui devo cedere: quasi 70 euro a me paiono un po’ esagerati. La raffinatezza dei particolari e la qualità realizzativa stonano con la semplice superficialità delle meccaniche di gioco.
Anche l’ambientazione è un po’ insipida: il classico mondo piratesco senza fronzoli non è minimamente contestualizzato. I giocatori dovranno gestire semplicemente la flotta bianca o la flotta marrone, senza nessuna differenza di sorta. A questo punto preferisco la schietta sincerità di Libertalia: un gioco di carte completamente diverso da Black Fleet, semplice e veloce nelle dinamiche, ma con una cura sensibile nei particolari. Ad esempio, ogni covo che ci troveremo a gestire ha un disegno diverso dall’altro e soprattutto ha una radice storica (o leggendaria?) precisa, cioè sono pirati veri!
Per concludere, Black Fleet è un gioco volutamente semplice e superficiale, creato per fare breccia nel grande pubblico ed è per questo, credo, che si è voluto prestare particolare attenzione verso i materiali: penso abbiano voluto creare un “bell’oggetto” che rimanga alle famiglie, semplificando all’osso la componente strategica e dando estrema importanza agli imprevisti.
Credo si sia capito che io preferisco giochi non tanto più complessi, ma come minimo più profondi e bilanciati. Mi piacerebbe che siano i miei errori a decidere di che morte debba morire e non la fortuna sfacciata del giocatore alla mia sinistra.