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Doctor Who – Analisi della dodicesima stagione

Contiene minori spoiler della Dodicesima Stagione di Doctor Who

Appena terminata la seconda stagione di Tredici ed è giunto il momento di trarre le conclusioni.
Se questo articolo lo avessi scritto a metà stagione, sarebbe stato impietoso, lo ammetto, ma la seconda parte ha dato un bel colpo di sterzo ad una direzione suicida e ha rimesso in moto l’entusiasmo.

Ma andiamo con ordine.
Sono tre anni che mi sto scervellando per capire cosa non sta funzionando nelle ultime due stagioni.
Non mi è facile perché ci sono tante piccole cose che mi fanno storcere il naso: mi dà fastidio la perenne musichetta di sottofondo, il fatto che sembri tutto girato in teatro di posa, una regia ricoperta della polvere di decenni. Però non è questo. Non solo almeno.
Sicuramente tre companion sono troppi e non hanno lo spazio necessario per essere sfruttati a dovere o approfonditi per bene. Forse 10 episodi sono pochi: nei 13 classici c’era molto più spazio di manovra.
E ancora: Jodie (che pure adoro) sembra ancora legata ad un cliché di faccette buffe e risulta meno sfaccettata di altri dottori. Lo ammetto: nella prima stagione 12th lo trovavo insopportabile, ma che evoluzione nel tempo!

Insomma: tante piccole cose che stridono, ma non sono sufficienti a far buttare via tutto. C’è qualcosa di molto, molto più serio.
Alla fine credo che il problema sia nelle sceneggiature: spesso lasciano dei buchi, buttano roba sul fuoco per poi finire in nulla (il tipo che voleva interferire con la timeline di Rosa Parks? Che fine ha fatto? Ci sarebbe stato molto da costruire su di lui, invece che dedicarsi a ragni e ragnetti). Eppure è stato un bell’episodio, emozionale, ma nel climax, il momento sull’autobus, si chiedeva alla regia di fare uno sforzo in più, che non c’è stato. E tutto il pathos del momento si è disperso in un attimo.

In questa stagione va meglio ma, guarda caso, gli episodi migliori sono quelli più legati al canon, al passato.
Ma anche le classiche risoluzioni del Dottore, spesso, sono calate decisamente troppo dall’alto, senza un tutto tondo che dia logica e spessore. Nel settimo episodio in modo particolare: senza fare spoiler, si passa da “disastro pazzesco” a “tutto risolto” e non si capisce come. Davvero: ho provato a riguardarlo, ma sembrano mancare delle scene di girato.
Eppure anche qui c’era del buon materiale. Gli Eterni avrebbero potuto far partire un arco narrativo articolato e complesso da gestire (ricordate quante trame si sono raccolte in “Un uomo buono va in guerra”?). Possibile che lo showrunner non ne sia stato in grado? Non sia all’altezza del prodotto? Sta qui il problema?

Insomma: credo che Chris Chibnall, nonostante l’ottimo lavoro fatto con Broadchurch, qui stia pesantemente toppando.
Dovrebbe sfruttare molto di più l’abilità di Jodie, facendo evolvere rapidamente questo personaggio che sembra ancora troppo abbozzato: mi mancano i monologhi potenti, le lacrime che ti strappava Moffat, i dialoghi raffinati (se ne sono visti davvero pochi finora) tra umani e non, tra Doc e Villain.

Ma, come dicevo, il finale si riprende. I duri e puri hanno storto il naso per un canone stravolto, 55 anni buttati via e idiozie simili. Vero che si scoprono e si fanno assunzioni davvero pesanti, ma tutto sommato è un grandioso cliffhanger che riporta il treno del Dottore su binari di alta velocità, se il trend continuerà ad essere in ascesa, la prossima stagione potrebbe davvero essere esplosiva (come lo è stata l’ultima di 12th).

Veniamo quindi alle cose migliori: Graham si conferma un ottimo comprimario (sì: spero che gli altri due spariscano e resti solo lui), ironico e sagace, con idee brillanti e spregiudicate, una sua personalità ben definita. Sarebbe un’ottima spalla di un Dottore dagli umori così altalenanti. Perché sì, finalmente il “Doctah” ha fatto uscire fuori il Signore del Tempo e ha messo in riga chi stava alzando troppo la cresta.
Nel bellissimo episodio #8 “The Haunting of Villa Diodati” prende le redini della situazione e castiga la superficialità di Ryan e Jaz, ricordando chi è che comanda davvero (e finalmente!).

Ho molto apprezzato anche Nikola Tesla’s Night of Terror, per l’omaggio al genio del celebre inventore (e Goran Visnjic che lo interpreta), e molte parole andrebbero spese per Fugitive of the Judoon, cosa che purtroppo non posso fare per evitare pesantissimi spoiler. Guardatelo e venitene a parlare con noi sui nostri canali social.

Nel doppio episodio finale possiamo invece apprezzare la nuova incarnazione del Master che avevamo già imparato a conoscere nel bell’incipit di marca “bondiana” Spyfall.
Folle, enigmatico, superbo. Il Master è tornato e fa più paura che mai. Un’incarnazione davvero molto diversa da quella di John Simm e ancor più dalla splendida Michelle Gomez; ma Sacha Dhawan (britannico di origini indiane) ci ha messo davvero poco a mettere la sua impronta in questo personaggio, e lo scontro finale (tutto psicologico) con il Dottore mi è piaciuto davvero molto.

Insomma: una stagione dalle due facce, per fortuna in deciso crescendo.
Incrociamo le dita e speriamo bene per la prossima, in attesa dello speciale di fine anno.

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