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GiappoNerdando #4: Gli Anime nella Realtà

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Questo articolo è in coppia con un altro che trovate qui dove cercherò di rappresentare la relazione tra fantasia e realtà in Giappone.

L’idea alla base è semplice: molti di noi sono venuti in contatto la prima volta con la terra tra Cina e Hawaii tramite i cartoni (e fumetti, e videogiochi) qui prodotti. Per quanto questi possano essere più o meno fantasiosi, offrono però spesso uno spaccato sulla quotidianità giapponese e di come gli abitanti del luogo vedano la loro stessa vita e società.

In questo articolo cercherò di raccontare brevemente come e quanto nella vita quotidiana in Giappone ci si possa imbattere in riferimenti a manga, anime e videogiochi ed in generale quanto questi possano essere parte integrante della quotidianità da queste parti.

La raccolta è frutto delle mie osservazioni in 5 mesi passati qui e delle numerose conversazioni che il mio lavoro mi ha consentito di avere con persone di ogni età e di varie estrazioni sociali.

(Il cibo sarà escluso perché gli verrà dedicato un articolo a parte. Un giorno. Forse.)

Spoiler: statue di venerazione a Goku ancora non se ne vedono, ma credo sia solo questione di tempo.

Premesse

Partiamo da un paio di presupposti, forse scontati ma che ritengo sia il caso di elencare, giusto per evitare confusione. In Giappone gli anime ed i manga sono popolari, più che in Italia, ma…

Non significa che chiunque sia un fan, anzi, direi che la maggior parte li inizia ad ignorare quando finisce il liceo. Il fatto che semplicemente da bambini un po’ tutti hanno visto Doraemon o Hanpan Man non implica che tutti diventino fan degli anime.

Non significa che la produzione mediatica giapponese si riduca a cartoni e fumetti. Vengono prodotti migliaia di serie tv e film ogni anno e ci sono svariati scrittori giapponesi estremamente popolari in patria di cui non sentiamo mai parlare.

Non significa che se andate per strada in cosplay la gente non vi trovi fuori luogo. Ci sono maid cafè e zone “dedicate”, ma sono ridotte a poche vie di Akihabara o di Harajuku.

Popolarità fuori target

Detto ciò, partiamo da uno dei miti che sin da piccolo sentivo: in Giappone anche gli adulti leggono i manga.

Si tratta di un argomento interessante: innanzitutto perché ci si potrebbe chiedere se non sia vero anche in Italia che molti ben sopra i 30 anni leggono regolarmente fumetti (per poi riporli in orizzontale in uno scaffale che evoca mostri del caos e black space marines).

Ora, sebbene questo discorso sia vero e senza dati a disposizione sulle demografiche delle vendite dei fumetti nel mondo, la principale differenza che mi sento di evidenziare è la seguente: in Giappone è molto più comune vedere persone leggere fumetti in pubblico.

Lo so, sembra una cosa assurda, ma ditemi: quante volte vedete qualcuno che chiaramente detiene già un diploma di scuola superiore leggere un fumetto su un autobus o un treno? Qui invece un buon 30% delle persone che va o torna da lavoro o scuola legge manga o guarda anime “davanti a tutti”, per così dire. (Entrambe le cose vengono fatte da cellulare ovviamente, le versioni cartacee stanno scomparendo, anche se è interessante e romantico come alcuni dei pochissimi che ho visto leggere Shonen Jump sul treno fossero degli over 60).

Mostri sacri

Detto quindi che c’è una certa presenza anche tra fasce d’età oltre il target principale di fumetti e cartoni, quanto viene sfruttata questa in quanto a loghi, sponsorship, pubblicità e così via?

La risposta è parecchio, ma con un caveat: la presenza è quasi del tutto riservata ad alcuni personaggi dalla popolarità sconfinata. Parliamo innanzitutto di quelli classici che ormai son diventati parte integrante della cultura popolare giapponese, come Doraemon, Hanpan Man e Mario. In secondo luogo altri estremamente conosciuti come Luffy, Goku o Totoro.

Così è possibile trovare adesivi “bimbo a bordo” con il faccione di Doraemon, un’infinità di biscotti di Hanpan Man, pubblicità per il turismo che vanno quotidianamente sulla tv del treno che sono strutturate come un livello di Super Mario e pubblicità contro il bullismo con Luffy.

Il punto è che, sebbene ci siano altre serie estremamente di successo in termini di vendite come Attacco dei Giganti o Boku no Hero Academia, i classici sono i classici, un po’ come Diabolik o Tex da noi.

Tutto il resto

Bene, quindi questo significa che il resto è ignorato? No, nient’affatto. Una delle più grandi differenze con l’Italia è esattamente che “gli altri” sono comunque visibili nella vita di tutti giorni, solo che solo per cose legate a quel fumetto o cartone stesso.

Faccio un paio di esempi, entrambi ambientati a Shibuya. A giugno è stata rilasciata una nuova edizione di Slam Dunk e per celebrarla vi era un cartellone enorme allo Shibuya Crossing (per chi non lo conoscesse: uno degli scorci più famosi di Tokyo e dove probabilmente per comprare un cm2 di spazio pubblicitario dovreste vendere tutti i vostri averi per le prossime tre generazioni).

Nello stesso periodo era stata annunciata la trasposizione animata di The Promised Neverland e per l’occasione una sezione intera della stazione di Shibuya (di nuovo, parliamo di una delle stazioni più trafficate al mondo) era dedicata a tavole originali con l’annuncio.

In questo senso credo che non soltanto la popolarità, ma la rilevanza sociale e culturale di anime e manga in Giappone sia su un altro livello rispetto a quanto vediamo in Italia. Per dire, riuscireste a immaginare Termini tappezzata da tavole di PK per l’annuncio di PKNE? Oppure un cartellone gigante in zona Duomo a Milano per l’ultimo numero di Rat-Man?

Ci sarebbe potenzialmente molto altro da elencare, ma questo era ciò che più mi premeva raccontare per ora.

Avete altri suggerimenti o ci sono altre curiosità che vorreste scoprire? Scrivetele nei commenti o nel nostro gruppo ufficiale Nerdando.com Assemble.

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