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Quando il martedì sera era l’Anime Night #6 – Death Note

death note

Death Note (デスノート) è un manga scritto da Tsugumi Ohba e disegnato da Takeshi Obata da cui sono stati tratti film live-action, romanzi ed un anime di 37 episodi (anche qui: opening ed ending molto idonee, sountrack in generale eccellente).

In Italia fu trasmesso da MTV un po’ a sorpresa, quando decise di riprendere l’Anime Night pochi mesi dopo averne annunciato la cancellazione e, caso unico tra gli articoli scritti fino ad ora, ammetto di non averlo mai visto in tv, dato che quando andò in onda avevo già letto e riletto il manga e visto l’anime sottotitolato.

Death Note in Giappone è stato pubblicato da Weekly Shōnen Jump; e “chissenefrega” direte voi, giustamente. Il motivo per cui lo sto specificando, è che Shōnen Jump è la rivista settimanale dove da sempre escono i più famosi battle manga; faccio qualche esempio a caso: Hokuto no Ken, Dragon Ball, Naruto, One Piece, Jojo fino a Stone Ocean.
Non tutti i manga pubblicata sono di questo genere, ovviamente (Slam Dunk, per dire, è sempre di Shōnen Jump), tuttavia Death Note è quanto di più lontano ci possa essere dalla formula del manga per ragazzini.

La storia creata da Ohba e splendidamente illustrata da Obata infatti è molto tetra e vicina al dramma shakesperiano, estremamente verbosa e dalle forti connotazioni psicologiche ed etiche.
Come nelle migliori di queste storie, il presupposto è semplicissimo: esistono 13 Dei della Morte che possono uccidere qualunque umano conoscendone il nome ed il volto, trascrivendo il nome sul proprio “Death Note”, quello che sembra essere un normale quaderno a righe con la copertina nera. Un giorno, uno di questi Dei della Morte, Ryuk, decide per noia di lasciare un Death Note sulla terra e vedere che succede.
Il destino vuole che questo sia trovato da Light Yagami, un diciassettenne giapponese quantomai singolare: Light infatti è anche lui annoiato, stufo di un mondo marcio che guarda dall’alto in basso per via del suo incredibile intelletto. Trovato il quaderno, il ragazzo decide che lo userà per ripulire la società uccidendo tutti i criminali, fino a diventare il dio di un nuovo mondo.

Ho sentito a volte paragonare la figura di Light e la sua relazione con Ryuk al Faust di Goethe, tuttavia credo che ci sia un riferimento letterario migliore per il protagonista di Death Note. La filosofia di base di Light, il suo narcisismo ed il modo in cui questo lo distanzia dalla sua famiglia e da possibili altri affetti riprende molto il pensiero di Rodion Romanovic Raskol’nikov, protagonista di Delitto e Castigo, romanzo che in Giappone è molto famoso ed ha ispirato altri autori come Yukio Mishima.
Come Rodja, inoltre, Light sembra sempre quasi voler rivelare il suo crimine, rivendicare la propria “creazione”, come si vede quando uccide Raye Penber e Naomi Misora. E come nel romanzo di Dostoevskij, il protagonista deve vedersela con uno scaltro e famoso investigatore, che sembra da subito comprendere d’istinto la colpevolezza del suo “avversario” e che nonostante tutto si pone in modo amichevole e confidenziale.

L’essere così simile ad un romanzo russo dell’800 ha la sua conseguenza nel fatto che Death Note, soprattutto nella prima parte (corrispondente ai primi 7 volumi ed ai primi 26 episodi), è molto introspettivo e con scarsa azione. Nonostante ciò e nonostante il tipo di rivista su cui venisse pubblicato, Death Note ha riscosso un successo incredibile in Giappone e fuori.
Le ragioni principali sono da trovarsi innanzitutto nella grande capacità di Ohba di mantenere una trama lineare ma ricca di colpi di scena e sempre carica di tensione, piena di momenti in cui l’apprensione è al massimo e si può sentire l’ansia dei personaggi; poi nell’ottima caratterizzazione dei personaggi, Light ed L in primis, ma anche i comprimari, come Soichiro Yagami, padre di Light e rappresentante di quella fiducia cieca nella giustizia “buona” che è pari solo al suo amore per la sua famiglia.

Vorrei tornare però su Light. Di solito leggendo o vedendo l’anime di Death Note si sposa la causa di uno dei due personaggi, L o Light; personalmente, ero dall’inizio dalla parte di Light (no, non perché penso che sia giusto uccidere i criminali, ero dalla sua parte perché è un FUMETTO).
Trovo che Light sia uno dei migliori personaggi che abbia mai letto in un opera a fumetti, giapponese o di altra nazionalità che sia, ed è questo il motivo per cui per un certo periodo Death Note è stato, insieme ad un altro, il mio manga preferito.
È animato da un sentimento di giustizia fortissimo ma che è subordinato alla sua ambizione, al ricoprire quello che lui ritiene naturalmente il suo ruolo nel mondo. Nel finale ricorda come tutti abbiano usato il Death Note per fini personali laddove lui ha deciso di usarlo per il mondo, non rendendosi conto di come da tempo stesse perseguendo solo un sogno del tutto egocentrico e per il quale è stato disposto ad uccidere sconosciuti, manipolare e mentire a chiunque ed infine sacrificare il proprio stesso padre.

La sua discesa nelle tenebre è tratteggiata in maniera perfetta durante la storia ed è di esempio di come si possa creare un fumetto che ha come protagonista il “cattivo” e di come lo si possa portare a compimento senza deviare da questa assunzione: gli autori vogliono mostrarci come Light sia sempre stato dalla parte sbagliata e non abbia mai avuto altre intenzioni; la sua fine è violenta e senza redenzione, rinnegato persino da Mikami, colui che più di tutti credeva nella sua missione.

Spesso, a ragione o a torto, si considera la produzione giapponese di opere animate ed a fumetti come molto inquadrata in certi schemi e tendenze. Anche alcuni degli anime di cui abbiamo parlato in questi articoli cadono in queste categorizzazioni, non necessariamente negative. Death Note è però la prova che, di tanto in tanto, qualcosa di totalmente originale e profondo possa emergere e trovare successo, a dispetto di ogni aspettativa.

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