Non è un gioco per vecchi

Non è un gioco per vecchi #28 – Utopia: The Creation of a Nation

Mettiamo subito in chiaro una cosa: io odio i gestionali stile Sim City. Perché allora, nel lontano 1991, ho speso letteramente mesi della mia vita con questo giocattolino della Gremlin Interactive? La risposta è semplice: perché Utopia: The Creation of a Nation, ormai datato oltre misura, all’epoca era capace di offrire una originale mistura di strategia, competizione e gestione. Il tutto ambientato nello spazio e senza basarsi su meccanismi cervellotici di risorse, edifici e astronavine pew pew.

Sì, perché dopo aver scelto i posti migliori dove insediare la nostra civiltà, dopo aver piafinicato la strategia di evoluzione, l’estrazione delle risorse, dopo aver convinto il consiglio di amministrazione a darci via libera per i nostri progetti, arrivavano gli alieni. Una colonia fiorente e ricca attira sempre le attenzioni nemiche, ed ecco iniziare la fase competitiva, in cui occorreva piazzare in modo strategico le difese di terra, costruire una flotta armata e prepararsi a difendere con le unghi e coi denti (o meglio coi laser) i nostri fantasmagorici e sudati insediamenti.

All’inizio, Utopia: The Creation of a Nation proponeva la scelta di uno tra dieci diversi pianeti da colonizzare, ognuno diverso dagli altri e abitato da differenti razze aliene. Sfortunatamente non era possibile stringere alleanze o cambiare fazioni, alla fin fine si trattava di un gioco abbastanza lineare, dal punto di vista politico, mentre scendeva in profondità sulla gestione della popolazione, dal tasso di nascita alla pressione fiscale, fino al commercio. Altro punto di debolezza, a mio avviso, era il fatto che la civiltà aliena con cui eravamo in competizione fosse collocata al di fuori della mappa, per cui non si poteva vedere mai. Al massimo era possibile utilizzare la rete di spionaggio per scoprire le difese e organizzare raid, ma tutto quel che ottenevamo erano messaggi di feedback.

Il titolo, Utopia, si riferiva al livello di bontà del nostro operato. Possiamo dire che rappresentava un indice di felicità della colonia spaziale. Meglio andava, più il livello aumentava. Più i cittadini si sentivano felici e ben protetti e più ci avvicinavamo al 100% di utopia, ovvero all’idillio perfetto. L’unico mio cruccio, nonostante ci abbia giocato per una valanga di ore, è di non aver mai raggiunto quel 100%. Mi sono sempre fermato a 99. La colonia era a tappo, al punto che non potevo più costruire nulla; i nemici venivano sbaragliati non appena si affacciavano; i silos erano pieni di risorse minerarie fino a scoppiare. Il gioco, in pratica, procedeva da solo. Cosa mancava allora per conquistare quell’1% residuo?

Non l’ho mai scoperto. Ma forse, a distanza di anni, mi sorge il dubbio che Utopia: The Creation of a Nation fosse fatto proprio per terminare così. Dopo tutto, se raggiungessimo l’utopia, questa non sarebbe più tale, giusto?

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