Indie

The Town of Light – Un horror nostrano

L'ambientazione inquietante di The Town of Light

L’ambientazione inquietante di The Town of Light

Ebbene sì: non avevo ancora avuto occasione di provare il famoso Oculus Rift prima dell’ultimo Lucca Comics & Games, e ciò non è molto in linea con il voler scrivere di novità e futuro videoludico. Ma chi l’avrebbe mai detto che il mio personale battesimo nella realtà virtuale 2.0 l’avrei avuto con un titolo così particolare ed intimista, nella cornice più caotica e maestosa che si potesse avere?

Non sono qui però per parlarvi di Oculus, ma proprio di quel titolo che sfrutta questo strumento per amplificare a dismisura le sensazioni che gli sviluppatori di LKA*it Studios, indie nostrani venuti dalla Toscana, vogliono restituirci.

Il titolo in questione è The Town of Light, avventura esplorativa di stampo horror­-psicologico, che mi incuriosiva già da qualche tempo dopo averne letto alcune anteprime in giro per la rete; trovarla in presentazione giocabile a Lucca è stata davvero una bella sorpresa.

La tematica è di quelle belle toste, si parla dell’era buia dei manicomi prima della Legge Basaglia, e dell’esperienza di una donna, René, che vi era rinchiusa in gioventù. Il lavoro di documentazione svolto è maestoso, basta visitare il sito ufficiale per sbirciare nell’elenco delle fonti utilizzate dai creativi durante lo sviluppo, che hanno scelto inoltre di ambientare tutta la vicenda in un luogo che più reale non si può: l’ex ospedale psichiatrico di Volterra, ricostruito con dovizia di particolari sia architettonicamente che per quanto riguarda documenti ufficiali e cartelle cliniche, basandosi anche su interviste a ex-pazienti e dottori, e chi più ne ha più ne metta.

In sostanza, non potevo farmi sfuggire l’occasione di provare questa esperienza così particolare.

Infilato il casco, mi trovo di fronte all’ingresso di un edificio diroccato, che già al primo impatto mi fa capire la gran cura che i grafici di LKA hanno profuso nel loro lavoro: il bel motore grafico è impreziosito dalla sapienza nel saper costruire quel tassello che ritengo fondamentale per il tipo di esperienza, ovvero l’atmosfera. I raggi del sole che filtrano dalle finestre, l’aria sudicia e dimessa, erbacce e calcinacci in toni grigi e marroni. Il valore aggiunto della grafica non è tanto la grafica in sé, ma il saperla utilizzare: il design azzeccato accoppiato con la realtà virtuale di Oculus fanno davvero un bel lavoro.

Inizio ad esplorare, spaesato da dover muovere realmente la testa per voltarmi, recupero un documento e proseguo per un corridoio pensato per la dimostrazione: le porte si chiudono di fronte a me, soffitto e pavimento si confondono, la realtà si smembra e la luce abbacinante dei ricordi mi assale. Mi ritrovo in un letto di corsia, circondato (in realtà dovrei parlare al femminile) da altri pazienti che si agitano nei letti, la mente e la vista offuscate dal tepore di una luce da primo pomeriggio tardo primaverile… o dalle medicine? Un’infermiera mi guarda, con un sorriso dolce, che mi mette a mio agio e mi inquieta allo stesso tempo… una voce dal passato (o dal presente?) mi fa capire che quella persona è stata importante, sicuramente un appiglio in un posto così orribile.

Questa scena non riesco a togliermela dalla testa, perché l’immedesimazione è totale: guardare il proprio corpo disteso sul letto in una tale atmosfera è stato forte, e nonostante la mia lunga esperienza da videogiocatore, mi fa sempre piacere quando certi momenti riescono ad impattare così potentemente su di me.

Un accenno di flashback, mostrato come fosse una graphic novel, accenna alla durezza della mia condizione: strappata alla normalità, rinchiusa in quel posto senza speranza.

La prova finisce purtroppo troppo presto, ma la sensazione, forse quella che conta più di tutte in un’esperienza del genere, rimane in sottofondo e la senti come il retrogusto amaro, come il rimpianto che risale nel momento sbagliato.

Ho visto poco di The Town of Light, ma credo di aver intuito dove gli sviluppatori vogliano condurci: l’horror che ci vuole raccontare LKA è quello dentro di noi, nell’abisso della mente umana devastata da un’esperienza straniante. Mi aspetto scene forti, ma più dal punto di vista emotivo e sensoriale, che visive, data la tematica.

Un passo in più per mostrare a tutti come il videogioco, come mezzo culturale vero e proprio, possa dire la sua.

Giocarlo con Oculus sarà probabilmente la scelta migliore dato il tipo di esperienza, e presentarlo in fiera in questo modo è una mossa azzeccata. Quello dell’avventura esplorativa e “sensoriale” è un genere che mi ha sempre attratto e confesso che scioccamente non avevo affatto intuito quanto potesse guadagnare dal supporto alla realtà virtuale.

Posso dirvi una cosa? Non vedo l’ora che esca, per potermi godere a luce spenta, cuffie insonorizzate e in tutta comodità un qualcosa che promette già bene così.

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