Dungeons & Dragons

Non è un gioco per vecchi #22 – Baldur’s Gate

Baldur's Gate!

Baldur’s Gate!

Saliamo ancora una volta sulla nostra nerdosissima capsula del tempo e torniamo indietro di un paio di decenni, a quando, appena uscito dall’adolescenza, scoprii casualmente quell’universo meraviglioso chiamato Dungeons & Dragons.
Non voglio dilungarmi sui rivolti psicosociali del gioco di ruolo, in modo particolare di ambientazione fantasy, ma occorre precisare che iniziai a giocare (prima a D&D e poi ad AD&D 2nd edition) nel 1991 e terminai grossomodo nel 2004, in concomitanza (ma non in correlazione) con l’essere diventato un uomo adulto.
La passione per AD&D fu tale per cui quando non si giocava, se ne parlava, e quando non se ne parlava, si scrivevano regole, schede e avventure; e quando non si giocava, non si parlava e non si scriveva, si cercava di giocare di ruolo su PC e Amiga.

Era il 1998 quando, improssivamente, l’equilibrio dei videogiochi di ruolo venne travolto da quello tsunami chiamato Baldur’s Gate. È importante ricordare che, fino a quel momento, il punto di riferimento era Eye of the Beholder (di cui ho parlato a lungo in un precedente articolo) che, con tutti i suoi pregi, aveva l’evidente limite di non dare la sensazione di “avventura”.
Baldur’s Gate, invece, inizia collocando un party all’interno di un’ambientazione molto precisa: i Forgotten Realms (che in EotB fanno solo da sfondo), portando in primo piano e dando forma visiva concreta a quel che fino a quel momento avevamo solo immaginato nelle nostre interminabili sessioni di gioco.
Per la prima volta muovevamo una compagnia di avventurieri all’interno di una mappa dipinta nei minimi dettagli, con possibilità di esplorazione di grotte, dungeon, foreste e, soprattutto, città. Baldur’s Gate è infatti una delle città più importanti dei Realms (seconda solo a Waterdeep, la città degli splendori) e per chi, come me, era abituato unicamente a girare nei tunnel claustrofobici di EotB, fu come essere proiettati su un altro pianeta, immenso, pericoloso e bellissimo.

Il gameplay venne pesantemente rivoluzionato: dalla visione in soggettiva, si passò alla mappa isolineare dall’alto, col mouse chiamato a selezionare i membri del party per fornire istruzioni, pianificare attacchi, magie e così via. Fu una festa per occhi e per la mente, al punto che da quel momento in poi i giochi “alla Baldur’s Gate” si moltiplicarono come funghi, diventando il nuovo standard del genere.

Il tutto era condito da una storia avvincente e, per chi giocava di ruolo nei Realms, assolutamente plausibile, con le oscure manovre del dio malvagio Bane a tramare nell’ombra contro la serenità dei Reami.

Da allora sono passati molti, molti anni e, come detto, sono nati decine di giochi (tra cui spicca, ad esempio, Planescape Torment) sul modello dipinto da Baldur’s. Tuttavia, come per tutti capostipite, nessun gioco, mai, fu più in grado di regalare quella profonda ed unica emozione che si ha quando, per la prima volta, un sogno diventa realtà.

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