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Black Science – Anarchy in the lab

La copertina del primo volume di Black Science

La copertina del primo volume di Black Science

Una confessione: non conosco Rick Remender.

O meglio, so chi è ma non ho mai letto niente di suo. La prima volta in cui ho letto il suo nome è stato quando stavano pubblicando in Italia il suo Punisher War Journal. Non leggevo la serie all’epoca e, francamente, l’idea principale su cui si basava la saga, cioè ammazzare Frank Castle e farlo rinascere come mostro di Frankenstein al servizio della Legione dei Mostri, mi è sempre sembrata una cazzata. Magari anche divertente, ma comunque una cazzata poco interessante per me.

Le altre sue serie principali sono uscite in contemporanea con il mio graduale disinteresse per la Marvel quindi niente, mi sono perso tutto. Per me Remender è quello che ha ucciso il Punitore per usarlo come mostro di Frankenstein.

Tuttavia, come tutti gli autori di questa generazione, anche Remender scrive progetti personali e come quasi tutti gli altri autori li pubblica per la Image Comics. E questo è il motivo per cui sono qui.

Di base, i progetti personali mi attirano molto di più dell’ennesima finta rivoluzione Marvel. Scusate per i rimbrotti da vecchio lettore scoreggione, ora la finisco e parlo di Black Science.

Black Science parte a fine 2013 ad opera di Rick Remender e Matteo Scalera, tra i pochi disegnatori italiani ad aver iniziato la carriera direttamente negli States, lavorando per Marvel, DC e Image.

Di cosa parla Black Science?

Parla di dimensioni parallele.

Un gruppo di scienziati capitanati da Grant McKay realizza una macchina in grado di viaggiare attraverso le dimensioni. L’obiettivo è prendere il meglio delle altre dimensioni per risolvere tutti i grandi problemi dell’umanità. E magari cercare di capire da dove veniamo tutti.

C’è anche una spiegazione pseudo-scientifica a supporto del come riescono a viaggiare tra le dimensioni. Le mie scarse conoscenze di fisica mi fanno dire che è una spiegazione che funziona (spoiler minore: c’entrano le cipolle), ma io non so niente di fisica quindi non prestatemi troppa attenzione. In ogni caso, non lamentatevi con me se non ritenete plausibile la spiegazione di Remender.

Ovviamente le cose non vanno tutte per il verso giusto. Tanto per cominciare, la macchina (the Pillar nella versione inglese che ho letto io, non so se nel volume Bao è tradotta letteralmente come “il Pilastro”) si attiva da sola e sopratutto non quando avrebbe dovuto, trascinando in giro per le dimensioni, tra gli altri, i figli di Grant, Pia e Nathan e il viscido Kadir, scienziato nemico di Grant ma capo del progetto dal punto di vista finanziario.

Dunque un gruppo male assortito di scienziati più due ragazzini si trovano a spasso per le dimensioni. Il primo posto dove arrivano è una specie di mondo medieval-futuristico con rane e rospi giganti come specie dominante. C’è persino una rana concubina con i copri-capezzoli. Non è furry, ma ci va vicino (o girino. Scusate, è una battuta orrenda lo so).

Nella seconda si trovano in una guerra di trincea tra Europei e civiltà pre-colombiane avanzatissime. Poi in una realtà tipo Tatooine. Purtroppo non ci sono né la banda della cantina, né spogliarelli di specie strane. Infine in una dimensione dove sono tutti delle scimmie.

Di sicuro Remender ha una grandissima fantasia nell’inventarsi mondi diversi fino all’inverosimile e Scalera li rappresenta tutti benissimo. Sono mondi reali, o quantomeno plausibili e ben rappresentati. Prima ho scherzato sulla rana concubina ma provateci voi a rendere plausibile una cosa del genere.

Nell’introduzione al volume, Scalera viene paragonato a Alberto Breccia e Sergio Toppi. Ecco magari no, ma di sicuro il disegnatore italiano ha tirato fuori un lavoro diverso dai canoni americani e dal fortissimo impatto visivo.

I due autori creano mondi ricchi di spunti e stupefacenti, e non è per niente facile stupire così tanto il lettore con le ambientazioni, sopratutto uno come me che ne ha lette di cotte e di crude negli anni. Ad ogni modo, Scalera è perfetto nel rappresentare le idee folli e non di Remender.

Per questo e altri motivi sembra quasi una versione disfunzionale e moderna dei Fantastici Quattro. Il concetto di famiglia a spasso per le dimensioni (o le galassie) è, in teoria, l’incipit base del Quartetto (ma anche di Lost in Space) e curiosamente assomiglia proprio al ciclo di Matt Fraction sui Fantastici Quattro. Tra i due contendenti vince a mani basse Black Science però. E non solo perché Scalera riesce a disegnare più di tre personaggi con le facce diverse, a differenza di Mark Bagley.

Il motivo principale per cui raccomando Black Science a chiunque (mentre non lo farei per i Fantastici Quattro di Fraction) è che il titolo ha un ritmo e delle trovate che ti fanno rimanere incollato alla pagina. Si tratta di una serie fruibile per tutti. È una serie d’azione fantascientifica, tipo Guerre Stellari ma senza la Forza e con più morti.

La storia parte già con i protagonisti persi nelle dimensioni, solo flashback frequenti raccontano meglio cosa è successo prima, chi sono i personaggi e le loro motivazioni. Il primo numero comincia col botto e non si tira il fiato per quasi tutto il volume.

Il ritmo della storia è indiavolato, non ci si ferma un attimo né nei viaggi tra le dimensioni né nelle rivelazioni sui protagonisti. Remender non ha bisogno di creare cliffhanger alla fine di ogni numero, perché in realtà bastano gli avvenimenti all’interno di ogni singola storia.

Tuttavia, ci sono anche degli aspetti che mi sono piaciuti meno. Niente di serio, ma si tratta di aspetti che mi fanno aspettare la serie nei prossimi numeri per trarre qualche altra conclusione.

In particolare, ci sono tanti elementi toccati ma non sviluppati che lasciano un po’ l’amaro in bocca. Non ho intenzione di rivelare niente di particolare, ma in generale posso dire che c’è tanta carne al fuoco e spero che non si riveli solo fumo. Alcuni situazioni scompigliano molto le carte su quanto spiegato e Remender dovrà, a questo punto, spiegare molte cose con il passare della serie.

Come volume non è assolutamente fruibile da solo, bisogna proseguire con la lettura. È un aspetto tipico dei fumetti americani, ma allo stesso tempo l’ho trovato un po’ irritante. Sopratutto perché so già che mi scoccerà dover aspettare mesi prima di poter proseguire. Ok, forse no perché in America è già uscito il secondo volume, ma ho il sospetto che non cambierà molto.

Ad ogni modo, ho aspettative piuttosto alte per le prossime storie e spero che Remender ci spieghi un altro po’ di avvenimenti. Sarebbe un peccato non sviluppare una cosa fica come la Lega degli Scienziati Anarchici, solo il nome è intrigante.

In definitiva, Black Science è una serie dalle ottime premesse, scritta bene e disegnata ottimamente. Tutti elementi che la proiettano tra le migliori serie attualmente prodotte in America, secondo me. L’unico problema è capire quanta voglia avete di salire a bordo di una serie che potrebbe metterci un po’ prima di avere anche solo un piccola conclusione.

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