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Kingsman – Secret Service: quando british e gore si incontrano

Kingsman - The secret service

Kingsman – The secret service

Si può parlare male di un film che si apre con scene di guerra sulle note di “Money for nothing” dei Dire Straits? Si può parlare male di un film che inserisce una delle più epiche sequenze di lotta del decennio, per di più ambientata in una chiesa protestante e accompagnata dalla stupenda “Free bird” dei Lynyrd Skynyrd? Del film che ha convinto Matthew Vaughn a rinunciare alla saga degli “X-men” pur di dirigere una produzione inglese? E di un film che riunisce Colin Firth, Mark Strong e Micheal Caine, in pratica l’elite del cinema inglese, e ci aggiunge due super americani come Samuel L. Jackson e Mark Hamill? No, oggettivamente non si può. E allora non si può parlare male di “Kingsman – Secret Service”.

Il film inglese dell’anno si ispira alla miniserie a fumetti firmata Mark Millar e Dave Gibbons intitolata “Secret Service”. Da noi era praticamente sconosciuta prima dell’uscita della pellicola nelle sale, ma chi apprezza lo stile di Millar non faticherà a riconoscerne l’impronta dietro alle immagini che scorrono sul grande schermo. Uno dei grandi pregi del film, infatti, è quello di non snaturare, come spesso accade, il materiale fumettistico da cui trae spunto ma di rimanergli fedele e riuscire a valorizzarlo al meglio.

La storia ruota intorno al giovane Eggsy Unwin, classico ragazzo dei bassifondi londinesi che si ritrova tra le reclute dei Kingsman, un’organizzazione supersegreta di spie costituita da moderni cavalieri (i nomi in codice degli agenti sono tutti quelli dei personaggi del ciclo arturiano) che, anziché indossare l’armatura, indossano impeccabili completi su misura e si comportano da perfetti gentlemen britannici: agenti letali ed in grado di non perdere il loro à plomb nemmeno nelle situazioni più intricate. Naturalmente i Kingsman vengono di norma reclutati tra l’elite inglese ma Eggsy ottiene un’opportunità grazie a Galahad (Colin Firth), fermamente convinto che la nobiltà non derivi da un diritto di nascita ma dalle capacità personali. Durante l’addestramento di Eggsy, i Kingsman si trovano alle prese con una terribile minaccia mondiale: il ricchissimo magnate americano Richmond Valentine (Samuel L. Jackson) ha infatti architettato un piano che, nell’intento di salvare il pianeta dal parassita umano che lo abita, eliminerà la maggior parte della popolazione della Terra ed è pronto a tutto pur di metterlo in atto.

Nel momento in cui l’icona del cinema inglese, 007, subisce un restyling in chiave più moderna e meno snob, “Kingsman – Secret Service” sceglie la strada opposta e rende onore ai Bond del passato in un film spiccatamente anni ’70, in cui le spie sono full british e fiere di esserlo. Questa è stata una delle scelte che mi ha più convinta nel film di Vaughn e che mi proiettata immediatamente in un clima di nostalgia positiva. Guardando la pellicola, infatti, non si può fare a meno di pensare ai vecchi film di 007 con Roger Moore, pieni di gadget immaginifici, cattivi sopra le righe (la Gazelle di “Kingsman”, armata di letali protesi alle gambe, non ha nulla da invidiare ai villain del James Bond anni ’70) e protagonisti impeccabili, che non perdono mai la calma o il controllo della situazione. L’operazione, comunque, non viene tenuta nascosta: nel corso della pellicola non si contano i riferimenti, più o meno diretti, alla spia più famosa del mondo. Ma anche ai suoi colleghi più giovani, come Jason Bourne o il televisivo Jack Bauer. Il film cita e gioca con i capisaldi del genere e lo fa in modo fresco, pienamente consapevole della strada intrapresa. Ma non c’è solo questo in “Kingsman – Secret Service” e, d’altronde, non poteva essere altrimenti se Matthew Vaughn, sulla cresta dell’onda dopo aver diretto “X-men – L’inizio”, ha scelto di rinunciare a “Giorni di un futuro passato” e ad un cachet stellare per aggiudicarsi la regia di questa produzione inglese. Alla componente british, infatti, si aggiunge quella gore, immancabile nelle opere di Millar e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i due elementi, così agli antipodi, si sposano benissimo all’interno del film, grazie soprattutto all’ottimo lavoro di Vaughn. James Bond che incontra Quentin Tarantino? Più o meno, in pratica e, senza alcun dubbio, è stato questo a conquistarmi e convincermi che sì, “Kingsman” è un gran bel film. La perfetta commistione di à plomb britannico e gore allo stato puro è un’idea geniale, che mi ha letteralmente tenuta incollata allo schermo. C’e violenza, in “Kingsman”, tanta violenza. Ci sono moltissimo sangue e scene estremamente cruente ma il tutto è presentato in chiave eclettica, fumettistica e quasi divertente, e non stona nell’atmosfera generale del film, anzi bilancia perfettamente il resto delle immagini. In particolare, c’è una scena che già da sola vale tutto il costo del biglietto: una sequenza di lotta perfettamente coreografata, che ricorda da vicino lo stile di Guy Ritchie (e non è un caso, Vaughn ha lavorato con lui a “Lock & Stock” e a “The Snatch”) e mescola al meglio le due componenti di cui parlavamo, sia tra loro che con la colonna sonora, azzeccatissima, guadagnandosi così di diritto un posto negli annali del cinema d’azione (e nella lista delle mie scene preferite in assoluto).

Ulteriore freccia all’arco di “Kingsman – Secret Service” sono le interpretazioni dei protagonisti. Ad un praticamente esordiente Taron Egerton, ottimo attore principale, si uniscono mostri sacri del cinema e ciascuno di loro aggiunge il proprio, fondamentale, apporto al film. Colin Firth, in particolare, già incarnazione del perfetto gentleman inglese, smentisce coloro che pensavano non fosse adatto a film d’azione, dimostrandosi convincente ed a suo agio nella parte. Mark Strong, finalmente in un ruolo non da cattivo, e Micheal Caine sono all’altezza della situazione e conferiscono spessore a due personaggi che, in mani diverse, rischiavano di non risaltare a sufficienza. Un irriconoscibile Mark Hamill si presta ad un interessante cameo in un ruolo inconsueto per chi lo ricorda nei panni di Luke Skywalker. Menzione d’onore, comunque, per Samuel L. Jackson, che continua a potersi scegliere le parti migliori che il cinema è pronto a regalargli. In “Kingsman – Secret Service”, si diverte a tratteggiare un antagonista insolito, sopra le righe e molto ben caratterizzato.

In conclusione, un prodotto molto valido e godibile, che regala nuova linfa ad un genere, quello dei film d’azione, che appariva ormai stanco e ripetitivo. A me è piaciuto molto per l’originalità e la confezione senza sbavature, che lo rende avvincente e perfetto per perdersi per un paio d’ore in un mondo fantastico e diverso, che è poi l’obiettivo che il cinema dovrebbe centrare sempre. Consigliato non solo agli amanti di Millar e dei cinecomic ma anche ai nostalgici delle vecchie spystories e agli innamorati dell’intramontabile stile britannico.

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