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Mirror’s Edge: dell’importanza della direzione artistica

Mirror's Edge: bello da vedere

Mirror’s Edge: bello da vedere

Spesso, navigando su forum riguardanti il mondo videoludico, si nota come uno dei dibattiti sempre verdi e sempre attuali sia quello tra chi sostiene che una bella grafica sia fondamentale e chi invece porta avanti la crociata del puro gameplay.

A parte l’incredibile sterilità di discussioni del genere, ancor più inutili nella ormai “old-gen” a causa dell’appiattimento dei requisiti hardware con lo sviluppo console che dettava legge, mi piacerebbe focalizzare l’attenzione su un aspetto secondo me non banale, quello della direzione artistica.

Quante volte vi sarà capitato di rivedere, dopo anni, un titolo il cui aspetto visivo vi aveva fatto innamorare al tempo, e tutt’oggi non vi sembra invecchiato, emanando ancora quell’aura di fascino un po’ retrò? Beh, molto probabilmente in quei casi bisognerà ringraziare una direzione artistica piuttosto ispirata, che ha saputo donare all’opera una sua personalità che prescinde la risoluzione, gli fps e gli algoritmi di rendering.

Tutta questa prosopopea introduttiva non mi serve a null’altro che ad introdurre un gioco di qualche anno fa che ho ripreso in mano da poco e che, secondo me, ha una delle “scenografie” (passatemi il termine cinematografico) più affascinanti, ben riuscite e d’impatto degli ultimi tempi.

Come avrete letto dal titolo sto parlando di Mirror’s Edge, creatura di quella DICE più celebre per la serie Battlefield che per questa piccola perla.

Sono qui non per ricordarvi del peculiare gameplay basato sul parkour, al tempo in cui nei videogiochi era praticamente una novità, né per dirvi che a me il gioco piacque e piace tutt’ora tanto (pur con i suoi limiti che spero vengano limati nel sequel/reboot) per il suo ritmo forsennato, per la necessità di “apprendere” il come si gioca e per la sua linea narrativa distopica, ma appunto vorrei celebrarne la direzione artistica.

Mirror’s Edge ha fondamentalmente due protagoniste: la prima è Faith, l’eroina da noi impersonata, doppiata tragicamente da Asia Argento nella versione nostrana, che è una runner, specializzata nel viaggiare sui tetti dei palazzi a suon di salti al limite della vertigine, rotolate, scivolate e arrampicate; la seconda, clamorosa, è la Città, l’ambientazione grazie alla quale Mirror’s Edge per me è un titolo speciale.

“Ah vabbé, ma allora sei uno di quelli a cui piace solo il graficone!!! BiNbominkia!1!!1!11!!”

Stiamo calmi.

Per ambientazione qui sto intendendo esattamente ciò che la scenografia, che modella il mondo ricreato all’interno del quale ci muoviamo, riesce a restituire come impatto visivo e soprattutto emozionale.

Andiamo per gradi.

Prima di tutto sciogliamo il nodo riguardante la grafica, che non è quello che mi interessa ora: Mirror’s Edge prese vita grazie ad un motore simbolo di una generazione, l’Unreal Engine 3 che nella scorsa gen (Ps3/X360 e ovviamente PC) ha prestato i suoi poligoni al più vasto parco di titoli in assoluto. C’è ovviamente chi lo ha sfruttato meglio e chi peggio, ma ancora oggi fa la sua porca figura. Quello che ci preme ora sapere è come DICE abbia preso questo motore e lo abbia mescolato con un’arte digitale non da poco.

Secondo punto: che tipo di posto è la Città? È una metropoli moderna, viva, pulsante: i grattacieli, alte torri di vetro, svettano sul mare di palazzi bianchi riflettendo la luce di un magnifico sole come in una visione da paradiso; stando in piedi sul ciglio di un tetto e guardando il cielo azzurrissimo mi sono sentito più volte come se avessi il vento tra i capelli e l’intero mondo fosse ai miei piedi. Quel vento e quel calore dei raggi solari sulla pelle che fanno apparire magnifiche le mattine di tardo inverno quando le nuvole non ci sono, e senti il bisogno di aprire il cappotto. È una sensazione cui tutto l’ambiente contribuisce, un qualcosa che proviene dalla visione del limpido skyline, e da un sonoro che secondo me è da urlo. Non perché si stia parlando di una sconosciuta sinfonia di Beethoven, anzi: parlo del rumore delle ventole dell’aria condizionata, del traffico, dei martelli pneumatici e del vento che sposta i teloni dei ponteggi per i lavori: tutti quei suoni che identificano una città vissuta e vivente, che ti godi solo quando hai la possibilità di un giorno di ferie in mezzo alla settimana.

Ho sempre amato, e non mi so spiegare come mai, gironzolare per la città senza forse una meta nelle mattine in cui il mondo ha degli impegni ma io no. Le stesse vibrazioni che Mirror’s Edge sa restituire le ho provate passeggiando per le strade di New York, ma soprattutto per quelle di Milano. Vi sembrerà assurdo, ma se vi trovaste in centro a Milano di domenica pomeriggio, e provaste ad addentrarvi nelle strade dove ci sono istituti finanziari, banche ed uffici che ovviamente di domenica sono deserti, i rumori e la vibrazione proveniente dalla città sono le stesse che ho provato (e sono convinto provereste anche voi) giocando a Mirror’s Edge. Potere della suggestione? Non credo, secondo me si tratta di abilità degli artisti di DICE che sono riusciti a lasciarmi qualcosa, tramite la loro creazione.

Una metropoli moderna, dunque, strapiena di spunti interessanti, come le pubblicità sparse per il mondo di gioco, o i cartelloni, che ci suggeriscono molto di più di quel che la narrazione stessa faccia intendere. Prendendo spunto dai loghi monocromatici e modernissimi (quasi “Material design” come va di moda adesso), andiamo ad osservare il fiore all’occhiello della direzione artistica, lo spunto che più di tutti mi farà ricordare la città di Mirror’s Edge: sto parlando dei colori.

La palette cromatica di Mirror’s Edge è stupenda, ma clamoroso ne è soprattutto l’utilizzo scenografico e funzionale. Tutte le zone e le aree esplorabili sono contraddistinguibili dalla dominanza di un preciso colore, utilizzato per contrastare l’onnipresente bianco candido e brillante: il risultato è un impatto pazzesco, con colori che esplodono dai muri e rendono a mio avviso la Città uno degli scenari videoludici più belli mai realizzati, anche in relazione alla sua “semplicità”. Una “semplice” metropoli moderna che diventa indimenticabile ed unica grazie all’intuizione degli artisti di DICE che hanno scelto l’esplosività del monocromo su un bianco che richiama l’ordine e la pulizia estrema, insieme ad un design degli interni e degli esterni che non sfigurerebbe in un catalogo di architettura.

I cantieri, le fogne, i palazzi in costruzione con i loro ponteggi, la metropolitana, i semplici corridoi di servizio dei grattacieli, fino ad arrivare agli uffici: la cura nel donare ad ogni locazione una singola colorazione o una connotazione di colori che cambiano man mano proseguendo per la nostra strada è maniacale ed attentissima, ed è anche intelligentemente funzionale. Ad uno degli aiuti per l’aspirante runner sono gli elementi che permettono di correre, saltare, interagire ed in generale di proseguire si colorano di un rosso acceso quando entrano nel nostro campo visivo.

Altro spunto interessante, lo citavo prima, è l’onnipresente bianco, che secondo me è stato usato in un modo splendido per dare un’idea di ordine e pulizia maniacali che ci richiamano alla mente il regime dipotico/distopico sotteso, che unitamente al cielo azzurro e al sole donano alla Città un’atmosfera ancor più bella e pulsante. E la genialità sta anche nel fatto che tutti questi elementi in concomitanza ci faranno sentire la città viva e operosa anche se effettivamente incontreremo pochissimi personaggi, ma al contempo non ci sentiremo mai in un posto desolato, anzi!

Mirror’s Edge non ebbe un buon successo di vendite quando uscì nel 2008, rispetto all’hype che si generò sin dall’annuncio. Durava poco, è vero, ma fu bistrattato forse troppo da videogiocatori che però, col passare degli anni e l’abbassarsi del prezzo, se lo sono rigiocato e lo hanno apprezzato pur con i suoi difetti.

EA e DICE stanno preparando, come dicevo all’inizio, un sequel/reboot (non ci ho capito molto) del quale si sa ancora poco. Io il mio consiglio ve lo do: se non l’avete mai provato dategli una chance perché è una piccola perla che merita tutte quelle poche ore nel quale si completa. E ormai ve lo tirano praticamente dietro.

Non vi ho parlato per nulla del gameplay perché ovviamente non era questo lo scopo dell’articolo, bensì quello di ricordare e sottolineare come una direzione artistica ispirata possa rendere indimenticabili alcune opere grazie al forte impatto emotivo di cui riescono ad ammantarle.

Non so se esista, ma se ci fosse un artbook di Mirror’s Edge non esiterei a farlo mio.

Poi un giorno, forse, vi parlerò della mia fissa per gli artbook…

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