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ICY – Viaggio nella Bianca Desolazione

ICY

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La sveglia è dura, ogni mattina.

Tra il vento che sferza costantemente la crosta di neve ghiacciata che ricopre il mondo, il freddo che mangia le ossa e penetra fino al cervello, e la scomodità del dormire in branda alla quale non ci si abitua mai abbastanza, la vita del nomade è dura.

Ma ci sono loro, la tua Famiglia. I compagni di una vita con cui hai scelto di condividere questa esistenza dolorosa. Nei loro sguardi, contornati e adombrati da sciarpe, cappelli e cappotti consunti, leggi la rassegnazione e la speranza. E la fiducia in te, che sei stato recentemente scelto come Capofamiglia.

Da te dipende la sopravvivenza del gruppo, ma non lo hai scelto tu di essere il capo, nossignore. Le circostanze, le maledette circostanze in un maledetto mondo caduto come il nostro, sanno essere brutali e improvvise, come le tempeste di neve, in cui puoi perdere tutto nel giro di pochi minuti. Eh si, i tuoi compagni alla fin fine sono quel tutto.

Benvenuti nella Bianca Desolazione, benvenuti in ICY, gioco di ruolo ambientato in una terra precipitata nella devastazione e nel caos a causa di una misteriosa glaciazione che ha portato alla scomparsa della civiltà come la conosciamo oggi.

Sapete quanto mi piaccia il post-apocalittico, e avere la possibilità di precipitarmi per l’ennesima volta in un ipotetico futuro dove tutte le speranze sono perdute, non fa che stuzzicarmi, per di più in una ambientazione così originale e grazie al duro lavoro di un piccolo team tutto italiano chiamato Inner Void Interactive, che ringrazio per averci fornito l’opportunità di provare la loro opera prima.

In Inner Void la passione per i giochi di ruolo è evidentemente forte, e questo aspetto trasuda da tutte le pieghe della loro opera, che parla proprio agli appassionati di storie ricche e coinvolgenti. Ve lo dico già da ora: ICY non è per tutti, ma è rivolto ad un piccolo popolo esigente che non cerca il graficone o gli effetti speciali, ma che ama calzare le cuffie, spegnere la luce e farsi coinvolgere da un’atmosfera che tante amatissime opere del passato sapevano ricreare con pochi pixel e tante idee.

Qui troverete ottima scrittura, splendidi disegni, e una musica che ti trasporta nella desolazione, fino a farti sentire il freddo nelle giunture, e il piacere del crepitio del fuoco alla sera. E un sistema di gioco che, seppur semplificato rispetto a produzioni molto più blasonate, fa di tutto per intrigare e piacerci e risulta più profondo di quello che si possa pensare al principio.

Nella terre imbiancate post-glaciazione interpretiamo un nomade, ovvero un sopravvissuto che vaga per il mondo in cerca, appunto, di sopravvivere, e questo insieme ad un gruppo di persone che condividono lo stesso destino e si sono in qualche modo scelte per stare insieme. Per questo motivo, i gruppi di nomadi si chiamano Famiglie. Questo concetto mi ha intrigato molto, perché è qualcosa che rende molto più profondo il legame di utilitarismo puro dei classici gruppi di sopravvissuti come ad esempio nelle opere con gli zombie. È la socialità di cui l’uomo ha bisogno anche in un mondo disperato come questo. Un certo evento che non sto qui a spoilerarvi metterà in pericolo la famiglia, e questo sarà l’incipit delle peripezie del nostro eroe e dei suoi compagni di viaggio, che saranno anche reclutabili durante l’avventura e che non saranno semplici sagome incolori, ma personaggi ben definiti e ben scritti, con storie alle spalle, una loro personalità e con i quali sarà importante dialogare e ragionare, perché si sa, soprattutto in situazioni estreme avere da gestire un mix eterogeneo di persone con caratteri e visioni diverse equivale ad andare in giro con una granata senza spoletta (E io, come in tutti i gdr che si rispettano e nella vita reale, sono sempre un illuso che cerca di portar pace tra tutti. E sempre male finisce).

A parte gli orridi paragoni, è importante sottolineare che il sistema di gioco è una specie di mix tra gdr e visual novel (senza donnine discinte come in quelle giapponesi), che per certi versi ricorda anche un po’ i mitici libri-game della nostra giovinezza; molti potranno certamente ritenerlo troppo statico per gli standard attuali, ma per i miei gusti è un punto in più per un gioco che punta tantissimo su storia ed atmosfera. I dialoghi sono gestiti tramite un sistema a risposta multipla che nasconde, nel motore, una moltitudine di stat-checks (ovvero: molte risposte sono accessibili per alti livelli di eloquio o intimidazione, altre se abbiamo un punteggio alto in una data abilità) che però sono trasparenti, così da aumentare ancor più la tensione ed il coinvolgimento. Nello stesso modo si svolgono gli snodi della trama, dove saremo chiamati a scegliere “cosa fare” in base alla situazione, e sempre in modo diverso in base a come abbiamo deciso di sviluppare il nostro protagonista.

Io vi dico subito che sono di parte, perché questi stili di gioco un po’ di nicchia e diversi dagli stili classici li ricerco apposta, perché mi piacciono, per uno strano mistero di alchimia tra passato, nostalgia e perché chi non si adegua al classico di solito ha sempre qualcosa in più da lasciarmi.

A latere della risoluzione delle quest, importantissime sono esplorazione, razzia di posti abbandonati, e la caccia, che ci permetteranno di mantenere le fondamentali scorte di cibo, medicinali e munizioni (che sono più o meno la moneta del gioco, anche se qui, come da tradizione falloutiana, vige il caro vecchio baratto) a un livello sufficiente per affrontare il viaggio nelle terre desolate. Viaggio che compiremo principalmente su una mappa statica che rappresenta il mondo di gioco, sulla quale potremo muoverci in lungo e in largo, per arrivare nei luoghi visitabili ove ci sarà data la possibilità, a seconda del contesto, appunto di esplorare, cacciare, razziare o di affrontare incontri casuali di vario genere.  Il sistema che gestisce queste fasi è legato ad un’interfaccia che ci permette di effettuare scelte sulle azioni da compiere: ad esempio, ispezionando un edificio “standard” avremo modo di scegliere se dedicare più ore all’esplorazione, diminuendo il rischio che possa accadere qualcosa, oppure di raggiungere i piani superiori, in base a se disponiamo di rampini e corde, o ancora come agire in caso di serrature bloccate. Un sistema semplice che forse avrebbe bisogno di una maggior varietà negli incontri random e nelle situazioni, ma che alla fine rappresenta una parte di contorno che non arriva mai ad annoiare.

Non arriva ad annoiare certamente l’avventura principale con le sue subquest, perlomeno al punto della storia al quale sono arrivato io: i personaggi e le missioni spingono a proseguire il viaggio, e sono ben connesse sia con l’ambientazione che con i momenti “intimi” della Famiglia, in cui dialogheremo con gli altri compagni per le questioni più disparate. Non c’è nulla da fare, all’epoca quel dannato Baldur’s Gate II mi viziò con i rapporti interpersonali tra personaggi e ora è sempre una delle caratteristiche che cerco e desidero nei gdr.

Non ancora vi ho parlato del combattimento, che è gestito secondo un’interfaccia simile a quella delle sezioni di caccia e razzia: niente tempo reale, potremo semplicemente scegliere come attaccare i nemici che ci si pareranno davanti, che tipo di armi utilizzare e, all’occorrenza, affrontare situazioni particolari, come ad esempio un compagno messo a terra da un nemico che sta per ucciderlo: anche in quel caso, e in base alla nostra abilità, dovremo scegliere come agire per portare in salvo lo sfortunato. Le statistiche degli scontri riguardano il gruppo, e sono principalmente salute e morale.

La gestione del gruppo è invero un po’ scarna; non avremo accesso agli inventari se non al nostro personale, e potremo solo decidere se curare o dialogare con i nostri compagni. Una scelta che magari diminuisce la profondità strategica del gioco, ma che in un certo senso rappresenta coerentemente il fatto che siamo un capogruppo, mica una bambinaia.

Vorrei soffermarmi un momento sulla parte artistica: abbiamo detto che ICY non è certamente un tripla A che dispone di tutti i mezzi tecnici per impressionare l’utente, ed è stato realizzato con tanti sacrifici e con una campagna di finanziamento riuscita su IndieGogo; le schermate sono statiche, ma i disegni e le illustrazioni che ne costituiscono il cuore sono, a mio personale gusto e giudizio, belli e calzanti, e riescono a catturare e restituire un feeling perfetto del mondo desolato, grazie ai colori freddi, i dettagli e la coerenza del “decadente” dei macchinari e degli edifici. Lo stile mi piace molto perché è quello degli artwork (che di solito vengono poi utilizzati per rendere le scene nei motori 3D) e io vado pazzo per quel genere di illustrazioni. Sulla pagina Facebook di Inner Void potrete farvi un’idea in merito.

Ma poi, vogliamo parlare del fatto che qui tutti i personaggi (sia del gruppo, che quelli che incontriamo) abbiano un proprio ritratto, rendendoli riconoscibili, e nel più blasonato Wasteland 2 no? Lo so che non è un confronto sensato, ma insomma, è per farvi capire la cura riposta dal team nella caratterizzazione del mondo da loro creato.

Credo di essere ancora lungi dal terminare il gioco, e sono certo che ci siano ancora tante sorprese nascoste da scoprire nella neve e nel ghiaccio sferzati dal vento gelido ed incessante. Mi sta piacendo, questo posso dirlo senza dubbio. Ma come dicevo prima, capisco che non sia un tipo di gioco che possa piacere a tutti, e in questo non c’è nulla di male.

Un piccolo team che, con la sua prima opera, mostra ciò cui può puntare, e soprattutto una voglia di fare che non si fa abbattere dall’evidenza di un’industria italiana del videogioco che arranca, fatta di piccole ma soprattutto poche realtà che ci credono, ma non vengono supportate “ufficialmente” come, ad esempio, avviene oltre le Alpi. A tal proposito, personalmente reputo deprecabili i commenti negativi fioccati a proposito del gioco su un noto sito di recensioni, da parte di persone che, ovviamente, hanno una visione molto limitata delle potenzialità del medium videoludico, ma soprattutto pensano evidentemente che creare qualcosa non richieda tempo e soldi. Commenti come “c’e veramente qualcuno che compra questo gioco? nel 2015” mi danno molto da pensare su quanto l’utente medio della nuova generazione possa essere intontito e abituato solo a pensare ai blockbuster, ma non farò il vecchio brontolone, pur essendolo.

Piccola nota: il gioco al momento è solo in inglese, ma Inner Void mi ha informato del fatto che la lingua italiana sia prevista in uno dei prossimi aggiornamenti. Comunque sia, non si tratta di un inglese troppo complicato se non avete voglia di attendere. Ah, è un’esclusiva PC e lo trovate su Steam.

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