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Dark Souls: archeologia e maledizioni

Toh, un drago

Toh, un drago

Cari lettori di Nerdando.com, oggi vi presento un’opera che probabilmente di presentazioni non ne ha proprio bisogno.

È stata dibattuta, osannata e maledetta, ha fatto perdere la fede a coloro che l’hanno affrontata, e ne ha fatto nascere un’altra, una setta di adepti che non tollerano che se ne parli male.

Sto parlando del famosissimo Dark Souls.

E allora a cosa serve presentarlo?

Beh, diciamo che sono doverose alcune premesse a questo articolo, per farvi capire dove vorrei andare a parare.

L’opera in questione infatti, frutto del genio illuminato della From Software e del suo lead designer Hidetaka Miyazaki, è diventata celebre su internet soprattutto per un fattore, la sua ciclopica difficoltà. È diventata sinonimo di offese verso il divino, controller spaccati, sadismo degli sviluppatori, anche da parte di chi effettivamente non ci ha mai giocato. Meme, immagini satiriche, infinite discussioni sui forum. Un’opera che la grande comunità internettiana è persino riuscita, tramite un sondaggio quasi plebiscitario, a sdoganare dall’esclusività consolara per farla approdare su PC, ove, quasi paradossalmente, ha trovato un successo ancor maggiore in virtù della maggior base di giocatori che si autodefiniscono “hardcore”.

Perciò oggi mi piacerebbe andare ad indagare se realmente Dark Souls merita la fama che ha, e se in realtà oltre a questa bestiale difficoltà c’è altro da apprezzare, e perché.

Vi dico subito che Dark Souls è un’opera della quale io sono davvero innamorato. L’amore non è scoccato subito, c’è stato bisogno di un periodo di lontananza e di presa di coscienza perché la scintilla divampasse in un incendio, e mi aprisse gli occhi sulla enorme bellezza del titolo. E difatti nel 2014, come scrissi anche nei nostri award di fine anno, dominò le mie sessioni di gioco e di tempo libero. Ad aiutare lo scoccare di questa scintilla contribuì non molto il lavoro di un ragazzo conosciuto come Mike of the Desert, che sul suo canale Youtube Sabaku no Maiku ha portato avanti una monumentale opera di spiegazione di tutto ciò che riguarda Dark Souls nei minimi dettagli, essendone uno dei maggiori esperti non solo italiani.

Cos’è innanzitutto Dark Souls? La categoria è quella degli Action RPG: combattimento in tempo reale, esplorazione di un mondo, crescita delle statistiche. Giusto per dare una definizione sommaria. Il nostro ruolo è quello di “prescelto”, che dovrà scoprire le origini di una maledizione che ha infettato la terra di Lordran. Detta così, nulla di più classico. Ma ora partiamo.

Sono due gli aspetti su cui voglio concentrarmi per farvi capire cosa mi spinge ad amarlo.

Cominciamo dal primo, il sistema di combattimento.

Pietra angolare di tutto il gameplay è l’affrontare orde di nemici mostruosi, grotteschi, e veramente dannatamente bastardi. Da qui nascono le diatribe sull’insormontabile difficoltà, almeno finché non si prende coscienza. Eh già, perché a mio avviso il sistema di combattimento di Dark Souls è forse il più bello che abbia mai giocato in venti anni, tanto che tutti gli altri mi sembrano destinati a videogiochi per la prima età. Semplice nel concetto, ma tosto da padroneggiare, richiede una vera e propria bravura da parte del giocatore, a prescindere dalle statistiche e dalla potenza dei nemici: mai abbassare la guardia o disprezzare una minaccia perché siamo in un mondo che semplicemente non perdona.

E se ci pensate, stiamo esplorando una terra maledetta, perché mai dovrebbe perdonarci? Per avanzare nel mondo dovremo letteralmente sudarci ogni vittoria, e la sconfitta il più delle volte sarà propedeutica a migliorarsi. Sa essere frustrante, farà maledire il cielo più e più volte ma il bello è che (quasi) ogni volta che riceveremo dure bastonate, la colpa sarà nostra. C’è un sistema che deve essere padroneggiato, trovando un proprio stile che si adatta al modo in cui noi stessi vogliamo affrontare le minacce. Ogni arma ha un proprio set di animazioni per i differenti tipi di attacco, e imparando a sfruttarle capiremo la vera bellezza del combattimento in Dark Souls.

Difficile? Direi piuttosto molto impegnativo, perché richiede dedizione e bisogna davvero prendere la mano sia con le minacce che ci si parano davanti, sia con noi stessi e capire come meglio ci riesca il combattere. Ed è molto importante comprendere quanto anche la difesa sia fondamentale, dove parate con lo scudo (se lo abbiamo) e schivate con la rotolata, da imparare il prima possibile, saranno i nostri unici baluardi contro la morte. Vabbé vi concedo che a volte è difficile perché ci sono delle infamate piazzate forse per il puro sadismo degli sviluppatori. Se vi dico Fortezza di Sen, o arcieri sulla balaustra e vi viene un brivido lungo la schiena, sapete di cosa parlo.

E considerate che, in virtù dell’alta difficoltà, superare certi passaggi e sconfiggere certi nemici provocherà una soddisfazione immane che raramente ho provato in altre occasioni: ditemi voi se i combattimenti di un Assassin’s Creed qualunque, con i nemici che si mettono in fila per farsi infilzare dai contrattacchi, alla lunga non vi sono sembrati solo delle scocciature tutte uguali. Vi siete sentiti forti? Mai quanto vi sentirete pieni di voi dopo aver sconfitto un boss… per poi scoprire che c’è sempre un pesce più grosso.

D’altronde non è roba da tutti i giorni utilizzare un boss alto due piani come tutorial per farvi capire che è meglio che vi prepariate a morire.

Il secondo aspetto che mi fa adorare Dark Souls si ricollega alla questione della difficoltà e vi spiego perché.

Sto parlando del lore e della trama. Con “lore” si intende il complesso di ambientazione intesa come mondo di gioco e la costruzione delle sue basi come la storia, le credenze, il background dei personaggi e tutto ciò che c’è dietro, che definisce la nostra missione ed i posti che andremo a visitare.

Dark Souls si rifà ad un immaginario medioevo europeo molto goticheggiante ed oscuro, e ciò che è più straordinario è che si tratta a tutti gli effetti di un mondo defunto e perduto che, dal canto suo, non ci dà informazioni, né fa in modo di spiattellarci in faccia ciò che negli altri giochi siamo abituati a sapere sia nelle prime ore di gioco che proseguendo.

E questo si esplica sia nel fatto che la trama non viene in alcun modo spiegata se non siamo noi ad andarcela a cercare, sia in termini di puro gameplay perché non c’è nessuno che ci viene a dire come si gioca o a cosa servano molti elementi che incontreremo.

Signori, dobbiamo metterci in mente che siamo una specie di archeologi in una terra in cui incontreremo pochissime persone, ed ancor meno persone “sane”, e nessuna di esse sarà volenterosa di spiegarci alcunché, se non tramite dialoghi ermetici che farebbero forse felice il miglior Ungaretti. Lordran è un mondo morto, allo scatafascio e tutto ciò che era, compresi gli dei, sono morti e disfatti. Ognuno agisce per interesse personale e saremo sostanzialmente soli nella nostra crociata per scoprire il nostro destino.

Come faremo allora a sapere cosa ci facciamo in quel posto? La grandezza del lore di Dark Souls è nei particolari e nulla, ma proprio nulla, è lasciato al caso. Dalle descrizioni degli oggetti, dalle mezze frasi criptiche pronunciate, dai dettagli dei luoghi che visiteremo, entreremo a conoscenza di una storia epica di grandezza e decadenza, di eroici furori, di storie disperate e malinconiche, di amore ed amicizia, tanto che arriveremo al punto che affrontare certi combattimenti ci provocherà un tuffo al cuore non indifferente. Pur essendo la parte meglio nascosta del gioco, la trama è davvero, a mio avviso, un punto di eccellenza, e anche il finale, come tutto, sarà ambiguo e determinato dalla nostra sola volontà, con la possibilità inoltre di uno svolgimento parallelo della seconda parte della storia che non troveremo se non per caso. Come potrebbe accadere in realtà. Pazzesco.

I personaggi che incontreremo, abbiamo detto, sono pochi, ma colpiscono e rimangono nel cuore: chi potrà mai dimenticare Siegmeier di Catharina, o il mitico Solaire di Astoria? Lo stesso discorso si applica benissimo ai nemici che saremo costretti ad affrontare, soprattutto quelli che un tempo erano valenti cavalieri come il valoroso Ornstein l’Ammazzadraghi, o Sif il Lupo Grigio, e la sequela continua, con personaggi che non incontreremo davvero ma il cui nome riecheggia nella leggenda, come il prode cavaliere Artorias, il Camminatore degli Abissi.

Dark Souls, forse non tutti lo sapranno, è in realtà un gioco dalla forte ed importante componente multiplayer. Essendo connessi, saremo parte di un mondo frequentato da migliaia di non morti come noi, e pur non potendoli incontrare a meno di particolari condizioni, ne percepiremo la presenza ovunque. E tutto è perfettamente integrato nel background, che ve lo dico a fare. E volete sapere una cosa? Pur con queste presenze tutte intorno a noi, la rappresentazione della solitudine in un luogo ostile non potrebbe esser migliore: un piccolo cerchio di luce attorno al nostro avatar è ciò che ci conforta in mezzo a tanta oscurità, e forse riesce a farci sentire ancor più soli.

Luce, concetto che ritorna prepotentemente nelle uniche zone “sicure”, i falò. Falsa sicurezza, dato che riposare ad un falò riporterà in vita tutti i nemici…

From ha dipinto un affresco meraviglioso, ed aspetta soltanto che qualcuno gratti via la polvere della decadenza e dell’oblio, proprio come archeologi. Archeologi che avranno il privilegio di scorrazzare per una landa sì morta, ma tuttora meravigliosa, con suggestioni architettoniche e visuali incredibili, che difficilmente scorderò. Un mondo eterogeneo ma completamente collegato e coerente, che vi spingerà a chiedervi cosa vi aspetta, e la meraviglia è dietro l’angolo.

Perfetto paradigma della filosofia adottata da From per quest’opera è il fatto di aver nascosto una delle location più belle in assoluto, in un posto che soltanto i più tenaci riusciranno a trovare. Com’era quella storia dei paladini del Santo Graal?

Grandi soddisfazioni attendono tutti coloro che sapranno farsi rapire da questo mondo micidiale ma meraviglioso.

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