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Kholat – Orrore nel gelido inverno sovietico

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Era il febbraio dell’anno 1959 quando un gruppo formato da nove esperti di spedizioni in alta montagna si avventurò nelle gelide alture degli Urali, nel tentativo di raggiungere il monte Otorten, sul versante nord di quella che è tristemente nota come Cholatčachl’, la “montagna dei morti”.
Un repentino peggioramento delle condizioni meteo costrinse il gruppo a fermarsi sul passo, ma il telegramma che avrebbero dovuto inviare una volta giunti a destinazione non venne mai spedito: della spedizione si persero le tracce.
Qui terminano i fatti ed iniziano le congetture.

Una prima spedizione di salvataggio riuscì ad individuare i resti della tenda: tagliata dall’interno e con impronte di piedi nudi che si allontanavano; evidenze decisamente bizzarre, dato che la temperatura doveva aggirarsi attorno ai -30°. Ma il mistero non avrebbe fatto che infittirsi ancor di più: furono necessari ben due mesi di ricerche, prima di riuscire a recuperare tutti i corpi scomparsi.

Se ad un primo sguardo si ipotizzò che fossero tutti deceduti per ipotermia, l’autopsia rivelò invece cause della morte molto più difficili da spiegare: due di loro riportavano gravissime lesioni interne, pur senza avere danni esterni; uno fu trovato col cranio fratturato, ma con una lesione non fatale; mentre di un altro corpo non venne ritrovata la lingua, strappata via dalla bocca. Tutti i corpi riportavano un livello di radiazioni superiore alla media e non giustificabile in alcun modo.

Dopo lunghe indagini, l’incidente del passo Djatlov venne quindi archiviato e la morte degli escursionisti causata da “una irresistibile forza sconosciuta”.

Recensione

Da questo mistero ancora aperto, e su cui sono state fatte le congetture più fantasiose, parte il lavoro dell’Indie polacca IMGN.PRO, già autrice dell’ottimo Superhot.

Kholat è quello che potrebbe tranquillamente essere definito un gioco narrativo, e in particolare un walking simulator. Scordatevi però le immagini poetiche e l’incedere riflessivo di Dear Esther: l’inverno sovietico è un vero inferno sulla terra, con infinite distese innevate pronte a celare pericoli di ogni sorta, dalle trappole per orsi ai crepacci.
In questo paesaggio alieno ci troveremo a vagare nella speranza di far luce sull’antico mistero, armati unicamente di una mappa, una bussola ed una torcia. E sì: di tanto, tanto coraggio.

Gameplay

Iniziamo dicendo subito che Kholat è un gioco notevolmente complesso, per niente facile da approcciare e da apprezzare. La mappa è grande, anche se non enorme, e non abbiamo alcun modo di capire dove siamo momento per momento. Per orientarci abbiamo a disposizione una semplice bussola e alcune annotazioni topografiche. Sta a noi riuscire ad orientarci, trovare punti di riferimento fissi, seguire i percorsi malamente tracciati nella neve ed evitare i terribili pericoli che conducono a morte certa. Sì, perché oltre a trappole, frane e crepacci, l’area è infestata da una strana nebbia luminescente capace di uccidere in pochi attimi, e soprattutto da un aliena creatura arancione, malvagia, ineluttabile, dalla quale è impossibile difendersi ma solo fuggire (se la si vede per tempo e da debita distanza).

Insomma: il primo impatto è semplicemente traumatico. Non c’è nessuna indicazione su dove andare e su cosa fare; dopo aver girovagato per un po’ giungiamo alla conclusione che dobbiamo semplicemente esplorare alla ricerca di indizi che gettino luce sull’enigma della scomparsa della spedizione. Qui e là, immersi nella neve, troveremo accampamenti, note, diari. Seguendo questi frammenti di memoria riusciremo (con un po’ di creatività) a ricostruire cosa sia realmente accaduto.

In realtà il gioco è molto avaro di informazioni ed estremamente punente. Morire è un attimo e perdersi è ancora più facile: privi di riferimenti su mappa, privi di un tracciamento aggiornato, il senso di smarrimento è totale ed è facile essere presi sia dallo sconforto che dalla voglia di abbandonare il gioco.
Per i più tenaci, tuttavia, Kholat è in grado di regalare grandi soddisfazioni. Dopo un paio d’ore ci accorgeremo di iniziare a riconoscere alcuni percorsi, alcuni scorci. Si imparerà ad usare la bussola e a fissare dei punti sulla mappa. Perdersi sarà ancora all’ordine del giorno, soprattutto quando si tenta di fuggire dalla creatura, tuttavia risulterà meno frustrante e difficile ritrovare il percorso abbandonato.

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Comparto tecnico

La prima cosa a colpire, occorre dirlo, è un comparto tecnico assolutamente eccezionale: i paesaggi sono di una struggente bellezza e il lavoro fatto dall’Unreal Engine 4 è semplicemente sopraffino, con esplosioni di colori, nitidezza di immagini ed effetti di luce dinamici a dir poco verosimili. Anche il comparto sonoro è di prima qualità, e costituisce forse il vero punto di forza del titolo: un accompagnamento musicale fantastico, malinconico ed emozionale, capace di sottolineare il dramma dell’escursione fatale.

Sigilla il titolo la voce di Sean Bean, che leggerà per noi l’introduzione con la storia degli sfortunati esploratori e tutti i testi che avremo modo di trovare durante il nostro cammino.

Terminate le giuste lodi, però, ora viene il momento delle cose che mi hanno lasciato non poco perplesso.
La cosa peggiore sono sicuramente i salvataggi: non è possibile creare situazioni di salvataggio personalizzate, tutto è demandato al ritrovamento degli accampamenti e delle note; questo vuol dire che capita spessissimo di morire perché finiti in un crepaccio o perché assaliti dalla creatura arancione e scoprire che dopo il (lunghissimo) caricamento, abbiamo perso più di mezz’ora di gioco e dobbiamo ricominciare da capo con tutte le difficoltà di orientarci e ritrovare il percorso giusto.

La creatura, poi, appare senza preavviso in modo casuale. Possiamo passare dieci volte da un punto senza incappare in problemi e poi soccombere l’undicesima, oppure venir catturati dal mostro mentre stiamo tranquillamente consultando la mappa e poi scoprire che la creatura non è più presente al caricamento successivo.
Gli accampamenti offrono l’unico punto di supporto al gameplay, dato che attivano il trasferimento veloce. Ma andare a caccia di indizi, che poi è l’unica cosa che il gioco ci chiede, è davvero difficoltoso: non si può saltare, si può correre solo per pochi attimi e soprattutto si continua morire e a perdere mezzore intere di gioco senza poterci fare davvero nulla per impedirlo.

Insomma: sfidante è una cosa, frustrante è un’altra. Il lavoro fatto per confezionale Kholat è complessivamente buono, ma sono certo che non tutti saranno in grado di apprezzarlo a dovere.
Sicuramente i ragazzi di IMGN.PRO vanno lodati per la capacità di aver voluto osare.

Kholat è interamente sottotitolato in italiano ed è disponibile per PC e Xbox One al prezzo di 17,99 Euro.

Nerdando in breve

Kholat è quella che possiamo definire come “esperienza”. Se positiva o negativa, dipende molto dal vostro approccio al gioco.

Nerdandometro: [usr 1.5]

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